L'Azteco
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L'Azteco

  1. 1,024 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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L'Azteco

Informazioni su questo libro

Questa è la storia di Mixtli l'Azteco e dell'ultima e più grande civiltà sorta in quella parte del pianeta che gli Aztechi chiamavano l'Unico Mondo.Nato povero e umile, Mixtli sale la scala sociale divenendo prima scriba e poi guerriero. Accumula una straordinaria fortuna con i commerci ed esplora il continente nord americano raggiungendone anche le regioni più remote. Al suo fianco assistiamo ai barbari massacri e alla gloria delle Guerre dei Fiori, allo splendore delle bandiere di piume che sventolano su Tecnochtìtlan, alla fiera dignità del popolo delle Nubi. Dalla sua voce apprendiamo storie perverse di sangue e passione fino all'arrivo di Hernán Cortés.Leggenda, storia, mistero, mito sono intrecciati in questo libro che contiene dieci, cento, mille romanzi.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2017
Print ISBN
9788817097451
eBook ISBN
9788858691496

Dedica

a Zyanya



Tu dici dunque che a perire son destinato
Come i fiori che sempre ho amato
Nulla del nome mio dovrà restare,
Nessuno la mia fama potrà ricordare?
Ma son giovani i giardini che ho seminati,
i canti che cantai sempre saranno intonati!

HUÈXOTZIN
Principe di Texcòco
circa 1484

IN CEM-ANÀHUAC YOYÓTLI

IL CUORE DELL’UNICO MONDO

LA PLAZA CENTRALE DI TENOCHTÌTLAN, 1521

(sono indicati soltanto i monumenti più importanti, e/o quelli menzionati nel testo)
1 La Grande Piramide
2 Il tempio di Tlaloc
3 Il tempio di Huitzilopòchtli
4 L’ex tempio di Huitzilopòchtli, successivamente (dopo il completamento della Grande Piramide, 1487) il Coateocàli, o tempio di numerose divinità minori nonché di dei acquisiti da altre nazioni
5 La pietra di Tixoc
6 La Tzompàntli, o Mensola dei Teschi
7 Il cortile delle danze cerimoniali Tlachtli
8 La piattaforma della Pietra del Sole
9 Il tempio di Tezcatlipòca
10 Il Muro del Serpente
11 La Casa del Canto
12 Il Serraglio
13 Il palazzo di Axayàcatl, successivamente di Cortés
14 Il palazzo di Ahuìtzotl, devastato dall’alluvione, 1499
15 Il palazzo di Motecuzòma I
16 Il palazzo di Motecuzòma II
17 Il tempio di Xipe Totec
18 Il tempio dell’Aquila
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CORTE DI CASTIGLIA VALLADOLID

Al Legato e Cappellano di Sua Maestà,
Don Fray Juan de Zumàrraga, di recente
nominato Vescovo della Sede del Messico,
nella Nuova Spagna, un incarico:

Affinché meglio possiamo conoscere la nostra colonia della Nuova Spagna, le sue singolarità, le ricchezze sue, le genti che la popolano, e le credenze e i riti e le cerimonie da esse ivi celebrate, desideriamo essere informati di tutto ciò che gli Indios caratterizzò nel corso della loro esistenza in quel paese prima che giungessero le nostre forze di liberazione, ambasciatori, evangelizzatori e colonizzatori.
Ordiniamo, per conseguenza, che voi vi informiate presso gli anziani Indios (avendo prima fatto pronunciare ad essi il giuramento onde garantirne la veridicità) per quanto concerne la storia del loro paese, dei loro governi, delle tradizioni, delle costumanze, eccetera. In aggiunta alle notizie che vi procurerete da testimoni, ordinerete che consegnati vi siano tutti gli scritti, le tavolette o gli altri documenti di quei tempi trascorsi che confermare possano quanto verrà detto, e ordinerete ai vostri frati missionari di ricercare e richiedere i detti documenti tra gli Indios.
Trattandosi di questione importantissima e necessarissima affinché un peso venga tolto dalla coscienza di Sua Maestà, vi ordiniamo di provvedere allo svolgimento della predetta ricerca con tutta la prontezza, accuratezza e diligenza possibili, e di redigere con gran copia di particolari il vostro resoconto.
(ecce signum) CAROLUS R✠I
Rex et Imperator
Hispaniae Carolus Primus
Sacri Romani Imperi Carolus Quintus

IHS

S. C. C. M.

Alla Sacra e Cesarea Maestà Cattolica l’Imperatore Don Carlos, Nostro Signore e Re:

Possano la grazia, la pace e l’affettuosa benevolenza di Nostro Signore Gesù Cristo essere con Vostra Maestà Don Carlos, per divino volere eternamente augusto Imperatore; e con la stimatissima Regina Madre Doña Juana, insieme alla Maestà Vostra Sovrani di Castiglia, di Léon di Aragòn, delle Due Sicilie, di Gerusalemme, di Navarra, di Granada, di Toledo, di Valencia, di Galizia, di Maiorca, di Siviglia, di Sardegna, di Còrdova, di Còrecega, di Murcia, di Jaén, dei Caraibi, di Algeciras, di Gibilterra, delle Isole Canarie, delle Indie, delle isole e terre del Mare Oceano; Conti delle Fiandre, del Tirolo, et cetera.

Fortunatissimo ed Eccellentissimo Principe: da questa città di Tenochtìtlan-Mexìco, capitale del dominio vostro della Nuova Spagna, in questo giorno dodicesimo dopo l’Assunzione, nell’ anno di Nostro Signore mille cinquecento venti e nove, saluti.

Non più di diciotto mesi sono trascorsi, Vostra Maestà, da quando noi, sebbene gli ultimi dei vostri vassalli e sudditi, ubbidimmo al volere della Maestà Vostra assumendo questa triplice carica di Vescovo del Messico, Protettore degli Indios e Inquisitore Apostolico, compiti riuniti tutti nella nostra sola e povera persona. Nove mesi appena sono trascorsi dal nostro arrivo in questo Nuovo Mondo, ove molte e strenue fatiche ci aspettavano.
In armonia con il mandato delle predette cariche, ci siamo impegnati con zelo onde «istruire gli Indios nel dovere loro di avere e adorare l’Unico Vero Dio, che è in Cielo, e per Grazia del Quale le creature tutte vivono e sono mantenute» — e parimenti «di rendere edotti gli Indios di quella Invincibilissima e Cattolicissima Maestà, l’Imperatore Don Carlos, cui, per volere della Divina Provvidenza, il mondo intero deve ubbidire, servendolo».
Inculcare questi insegnamenti, Sire, si è dimostrato lungi dall’ essere facile o rapido. Esiste tra i nostri compatrioti spagnoli, qui, un detto da lungo tempo preesistente all’arrivo nostro: «Gli Indios non possono udire se non attraverso le natiche». Ma noi ci sforziamo di tener presente che questi miserabili e spiritualmente impoveriti Indios — o Aztechi, come quasi tutti gli spagnoli si riferiscono, ormai, a tale loro particolare tribù o nazione in questi luoghi — sono inferiori a tutto il rimanente genere umano, ragion per cui, nella pochezza loro, meritano la tollerante indulgenza nostra.
Oltre a provvedere all’istruzione degli Indios — che esiste solamente un Unico Dio nel Cielo, e l’Imperatore sulla terra, del quale essi tutti sudditi sono divenuti e che tutti devono ubbidire — e oltre a occuparci di molteplici altre questioni ecclesiastiche e civili, abbiamo tentato di soddisfare la personale richiesta rivoltaci dalla Maestà Vostra: di preparare al più presto un resoconto sulla situazione di questa terra paena incognita, sulle abitudini e consuetudini di vita degli abitatori suoi, le costumanze et cetera in precedenza esistenti in questo paese arretrato.
La reale cedula della Nobilissima Maestà Vostra specifica che noi, nel preparare la cronaca, ci informiamo «presso gli anziani Indios». Ciò ha necessitato una lunga ricerca, inquantoché la distruzione totale di questa città ad opera del Capitano Generale Hernàn Cortés ci ha lasciato ben pochi Indios anziani cui richiedere una credibile storia oralmente tramandata. Gli operai stessi che attualmente ricostruiscono la città sono principalmente donne e fanciulli, gli stolti e i vecchi rimbambiti non in grado di battersi durante l’assedio, e i bruti villici arruolati nelle circostanti campagne. Zotici e tangheri tutti.
Cionondimeno riusciti siamo a stanare un unico anziano Indio (dell’età di circa sessantré anni) in grado di fornirci il resoconto desiderato. Questo Mexicatl — egli rifiuta sia l’appellativo di Azteco, sia quello di Indio — possiede un alto grado di intelligenza (per la sua razza), sa esprimersi con chiarezza, ha quell’istruzione precedentemente consentita in questi luoghi, ed è stato, ai tempi suoi, scrivano di quella che passa per scrittura tra queste genti.
Nel corso dell’esistenza sua egli ha avuto numerose occupazioni oltre a quella di scrivano: è stato guerriero, cortigiano, mercante girovago, persino una sorta di emissario degli ultimi governanti di questi luoghi presso i primi liberatori castigliani qui giunti, e tali compiti di inviato consentito gli hanno di impadronirsi in modo passabile della lingua nostra. Sebbene il suo castigliano incespichi di rado, noi, naturalmente, desideriamo l’esattezza in ogni particolare. Abbiamo perciò trovato un interprete, un ragazzo adolescente che conosce notevolmente bene il nàhuatl (come questi Aztechi chiamano il loro gutturale linguaggio formato da lunghe e sgraziate parole). Nella stanza degli interrogatori abbiamo inoltre fatto sedere quattro dei nostri scrivani. Questi frati sono esperti nell’arte della scrittura rapida mediante caratteri, conosciuta come annotazioni Tironiane, l’arte impiegata a Roma per trascrivere sotto forma di memorandum ogni frase del Santo Padre, e inoltre per trascrivere qualsiasi cosa venga detta nel corso di colloqui tra molte persone.
Abbiamo invitato l’Azteco a prendere posto e a narrarci la storia della vita sua. I quattro frati, laboriosamente intenti a vergare i loro ghirigori Tironiani, non hanno, da allora in poi, perduto una sola delle parole che cadono dalle labbra dell’Indio. Cadono? Preferibile è dire: parole che si riversano a torrenti, di volta in volta ripugnanti o corrosive. Presto potrete rendervi conto di quello che intendiamo dire, Sire. Sin dal primo momento in cui ha aperto bocca, l’Azteco ha manifestato assenza di rispetto per la nostra persona, la veste nostra, la nostra carica quale missionario personalmente prescelto di Vostra Maestà Venerabile, un’assenza di rispetto che costituisce una implicita offesa per la persona stessa del nostro Sovrano.
Le prime pagine del racconto dell’Indio seguono immediatamente dopo questa premessa esplicativa. Sigillato e destinato soltanto agli occhi Vostri, Sire, il plico contenente il manoscritto partirà da Tezuìtlan de la Vera Cruz posdomani, affidato al Capitano Sànchez Santovenà, comandante della caravella Gloria.
La saggezza, la sagacia e il discernimento della Cesarea Maestà Vostra essendo universalmente note, ci rendiamo conto di rischiare il Vostro imperiale scontento con la presunzione di far precedere da un caveat le pagine allegate, ma, nella nostra veste episcopale e apostolica, sentiamo tale obbligo su di noi. Siamo sinceramente desiderosi di attenerci alla cedola di Vostra Maestà, di inviare un rapporto veridico su tutto ciò che merita di conoscere di questo paese. Ma altri, oltre a noi stessi, diranno alla Maestà Vostra che gli Indios sono creature spregevoli, nelle quali difficilmente si riscontrano sia pur soltanto vestigia di umanità; creature che non hanno una comprensibile lingua scritta; che non hanno mai avuto leggi scritte, ma soltanto barbare tradizioni e costumanze; che sono state e sono ancor oggi dedite a ogni sorta di intemperanza, paganesimo, ferocia e lussuria carnale; che, fino a non molti anni or sono, hanno torturato e massacrato i loro stessi simili in nome di una «religione» bastarda.
Non ci è possibile credere che da questo Azteco arrogante, o da qualsiasi altro indigeno, per quanto capace di esprimersi, possa venirci un rapporto degno di nota o edificante. Né riusciamo a credere che il nostro Santificato Imperatore Don Carlos possa non rimanere scandalizzato dagli iniqui, lascivi ed empi balbettamenti di questo altezzoso esemplare di una razza pusillanime. Ci riferiamo alle pagine accluse come alla prima parte della cronaca dell’Indio. Ma ferventemente ci auguriamo che essa sarà altresì, per volere della Maestà Vostra, l’ultima.

Possa Dio Nostro Signore proteggere e preservare la preziosa vita, la molto regale persona e il cattolicissimo stato di Vostra Maestà per innumerevoli anni, con l’ampliamento dei regni e dei domini Vostri, come il Vostro cuore regale desidera.
Di Vostra S.C.C.M., il sempre fedele servo e cappellano,

(ecce signum) Fr. Juan de Zumàrraga
Vescovo del Messico
Inquisitore Apostolico
Protettore degli Indios

INCIPIT

La cronaca narrata da un anziano Indio della tribù comunemente denominata Aztechi, il racconto del quale è rivolto a Sua Eccellenza il Reverendissimo Juan de Zumàrraga, Vescovo del Messico, e trascritto verbatim ab origine da
Fr. TORIBIO VEGA DE ARANJUEZ
FR. JERONIMO MUNÕZ G.
FR. DOMINGO VILLEGAS Y YBARRA
ALONSO DE MOLINA, interpres

DIXIT

Mio signore

Perdonami, mio signore, se non conosco i titoli ufficiali e onorifici che ti spettano, ma confido di non correre il rischio che tu, mio signore, ti ritenga offeso. Sei un uomo, e non un solo uomo tra tutti gli uomini ch’io ho conosciuto nel corso della mia vita si è mai risentito sentendosi dare del signore. Dunque, mio signore...

O forse eccellenza?
Ayyo, è un titolo anche più illustre... quello che noi di queste terre chiameremo un ahuaquàhuitl, un albero dalla grande ombra. Eccellenza ti chiamerò, pertanto. Tanto più mi colpisce il fatto che un personaggio di così eminente eccellenza abbia voluto convocare uno come me per dire parole alla presenza di Tua Eccellenza.
Ah, no, Eccellenza, non protestare se sembro adulare Tua Eccellenza... È risaputo ovunque nella città, e questi tuoi servitori, qui, mi hanno chiaramente spiegato, quale uomo augusto tu sia, Eccellenza, mentre io non sono altro che un logoro straccio, uno sfilacciato relitto di quello che ero un tempo. Tu, Eccellenza, sei vestito e agghindato e sicuro di te come si conviene alla tua vistosa supremazia, mentre io sono soltanto io.
Ma Tua Eccellenza desidera ascoltare che cosa io ero. Anche questo mi è stato spiegato. Tua Eccellenza desidera sapere che cosa il mio popolo, questa terra, le nostre esistenze erano negli anni trascorsi, nei covoni degli anni prima che piacesse al re di Tua Eccellenza e ai suoi portatori di croce, e portatori di balestre, di liberarci dalla schiavitù della barbarie.
È esatto, questo? Allora Tua Eccellenza non mi chiede una facile cosa. Come posso, in questa piccola stanza, con il mio piccolo intelletto, con il poco tempo che gli dei, che il Signore Iddio può avermi assegnato per giungere al termine del mio cammino e dei miei giorni, come posso evocare la vastità di quello che era il nostro mondo, la varietà delle sue genti, gli eventi dei covoni su covoni di anni?
Pensati, immaginati, raffigurati, Eccellenza, come quell’albero dalla grande ombra. Vedine mentalmente l’immensità, i rami possenti e gli uccelli tra essi, il fogliame lussureggiante, la luce del sole sulle foglie, la freschezza che l’albero getta su una casa, una famiglia, la ragazza e il ragazzo che erano mia sorella e me stesso. Potrebbe, Tua Eccellenza, comprimere quell’albero dalla grande ombra nella ghianda minuscola che il padre di Tua Eccellenza ficcò un tempo tra le gambe di tua madre?
Yya ayya, ti sono dispiaciuto e ho sgomentato gli scrivani. Perdonami, Eccellenza. Avrei dovuto supporre che le copule in privato degli uomini bianchi con le loro donne bianche devono essere diverse — svolgersi con maggiore delicatezza — di quelle che li ho veduti imporre alle nostre donne in pubblico, con la forza. E, senza dubbio, la copula cristiana che generò Tua Eccellenza dovette esserlo anche di più.

Sì, sì, Eccellenza, desisto.
Ma Tua Eccellenza si rende conto della difficoltà in cui mi trovo. Come fare in modo che Tua Eccellenza scorga a prima vista la differenza tra noi inferiori di allora e voi superiori di adesso? Forse un piccolo esempio basterà, e poi non dovrai più darti la pena di ascoltare ancora.
Guarda, Eccellenza, i tuoi scrivani: nella nostra lingua «coloro che conoscono la parola». Sono stato io stesso scrivano e ben ricordo quanto era faticoso mettere su pelle di daino o su carta di fibra o su carta di corteccia anche soltanto le ossa spolpate delle date e degli accadimenti storici, con una qualche misura di precisione. A volte riusciva difficile persino a me leggere a voce alta le mie stesse figure, senza incespicare, dopo gli appena pochi momenti necessari perché i colori si asciugassero.
Ma i tuoi conoscitori di parole ed io ci siamo esercitati, aspettando l’arrivo di Tua Eccellenza, e sono meravigliato, sono colpito dallo stupore, a causa di ciò che uno qualsiasi dei tuoi reverendi scrivani può fare. Può scrivere e rileggere a me non soltanto la sostanza di ciò di cui io parlo, ma persino ogni singola parola, e con tutte le intonazioni, e le pause e le enfasi del mio discorso. Lo riterrei un talento della memoria e della mimica — anche noi avevamo i nostri rammentatori di parole — se egli non mi dicesse, non mi dimostrasse, non mi provasse, che tutto è scritto là, sul suo foglio di carta. Mi congratulo con me stesso, Eccellenza, per aver imparato a parlare la tua lingua con quel poco di capacità che la mia povera mente e la mia povera lingua possono conseguire, ma la vostra scrittura sarebbe al di là delle mie possibilità.
Nella nostra scrittura con immagini, parlavano i colori stessi, i colori cantavano o piangevano, i colori erano necessari. Ne avevamo molti: rosso sangue, oro ocra, verde ahuàcatl, blu turchese, il giallo-rosso della gemma del giacinto, il grigio argilla, il nero mezzanotte. Ma anche tanti colori non erano sufficienti per cogliere ogni singola parola, per non parlare delle sfumature e degli abili giri di frase. Eppure ognuno dei tuoi conoscitori di parole può fare proprio questo: registrare per sempre ogni sillaba, con una singola penna d’oca anziché con una manciata di canne e pennelli. E, cosa meravigliosissima, con un solo colore, il decotto nero ruggine che, mi dicono, è inchiostro.
Benissimo, Eccellenza, eccotela in una ghianda la differenza tra noi Indios e voi uomini bianchi, tra la nostra ignoranza e la vostra conoscenza, tra i nostri antichi tempi e i vostri nuovi giorni. Riuscirò a convincere Tua Eccellenza del fatto che il mero tratto di una penna d’oca ha dimostrato il diritto del tuo popolo a dominare e il fato del nostro popolo, di essere dominato? Senza dubbio, Tua Eccellenza non richiede altro da noi Indios: la conferma del fatto che la conquista del vincitore è decretata, non già dalle sue armi e dai suoi artifizi, e neppure dal suo Dio Onnipotente, ma dall’innata superiorità della sua natura rispetto a esseri inferiori come noi. Tua Eccellenza può non avere ulteriormente bisogno di me o delle mie parole.
Mia moglie è anziana e inferma e priva di cure. Non posso affermare che si affligga non avendomi al suo fianco, ma la mia assenza la irrita. Malata e irascibile com’è, l’irritazione non le giova. Né giova a me. Pertanto, con sinceri ringraziamenti a Tua Eccellenza, per l’accoglienza di Tua Ecccellenza a questo vecchio rottame, ti auguro...

Le mie scuse, Eccellenza. Come tu fai rilevare, non ho il permesso di Tua Eccellenza di andarmene quando voglio. Sono al servizio di Tua Eccellenza fino a quando...

Di nuovo le mie scuse. Non mi sono accorto di aver ripetuto «Tua Eccellenza» più di trenta volte nel corso di questo breve colloquio, né di averlo detto con un qualsiasi particolare tono di voce. D’ora in poi mi sforzerò di moderare il rispetto e l’entusiasmo nei confronti dei tuoi titoli onorifici, Señor Vescovo, e di attenermi a un tono di voce irreprensibile. E, come tu ordini, continuerò.
Ma che cosa devo dire, adesso? Che cosa dovrei fare ascoltare alle tue orecchie?
Lunga è stata la mia vita, in confronto alla misura delle nostre esistenze. Non morii nell’infanzia, come accade a tanti dei nostri bambini. Non morii in battaglia o nei sacri sacrifici, come tanti hanno volontariamente fatto. Non soccombetti per aver ecceduto nelle libagioni, o per essere stato aggredito da una bestia feroce, o per il marciume invadente dell’Essere Divorato dagli Dei. Non sono morto per aver contratto una delle paventate malattie che arrivano con le vostre navi, e a causa delle quali tante migliaia su migliaia sono periti. Ho vissuto persino più a lungo degli dei, che per sempre erano stati esenti dalla morte, e che per sempre sarebbero dovuti essere immortali. Ho vissuto per più di un intero covone di anni, così da vedere e fare e imparare e ricordare molto. Ma nessun uomo può sapere tutto, sia pure del proprio tempo, e la vita di questo paese cominciò ere incommensurabilmente lunghe prima della mia. Soltanto del mio tempo posso parlare, soltanto il mio tempo posso riportare a una parvenza di vita nel tuo inchiostro nero ruggine.
«V’era uno splendore di lance, uno splendore di lance!»
Un vecchio della nostra isola di Xaltòcan solev...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L'azteco