Di bambini e altre magie
eBook - ePub

Di bambini e altre magie

Guida al mondo immaginario dei nostri figli per educarli senza forzature

  1. 160 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Di bambini e altre magie

Guida al mondo immaginario dei nostri figli per educarli senza forzature

Informazioni su questo libro

C'è un mondo popolato da "creature fantastiche, fate buone, streghe invidiose e vendicative, orchi malvagi, mostri famelici, ombre minacciose; un mondo fatto di apparizioni e sparizioni, di amici invisibili dove tutto è possibile, purché possa essere pensato, e dove le spiegazioni, quelle precise, aderenti alla realtà dei fatti e apparentemente inconfutabili non scacciano le paure". È il mondo in cui i bambini vivono ogni giorno, e dove non sempre è chiaro il confine tra ciò che si immagina e quel che poi davvero accade. Non sempre è facile comprenderlo, e spesso le domande dirette portano a risposte per noi adulti incomprensibili. Il segreto è non dimenticare che in quel mondo viviamo anche noi, e che è pieno dell'incanto dei primi momenti, lo stesso che un tempo abbiamo provato. Ma come ritrovare la magia adesso? Come capire cosa coglie l'interesse improvviso di un bambino, cosa risveglia la timidezza nei suoi primi, veri, sorrisi, o perché piange? Elisabetta Rossini ed Elena Urso ci insegnano come ricominciare a guardare le cose dagli occhi di un bambino, e a vivere con loro la percezione magica del reale, sospendendo per un attimo il nostro sguardo adulto. Questo libro traccia per noi un percorso, fatto di esempi e di storie reali, per orientarci nell'immaginario dell'infanzia, e ci accompagna nel trovare soluzioni alle esigenze dei nostri figli, perché per aiutarli a crescere dobbiamo saper entrare, con delicatezza, nel loro mondo fantastico.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2017
Print ISBN
9788817093156
eBook ISBN
9788858690420

La vita immaginativa e il pensiero

La vita immaginativa

«Cosa stai facendo?»
«Le foto all’inverno. Vedete, il prato bianco, i rami ghiacciati, sembra quasi che abbia nevicato...»
«Vuoi fare una foto alla fatina dell’inverno?»
«No, voglio fare una cosa ancora più bella, venite, vi spiego. Guardate qui dentro nella macchina fotografica; vedete tutti questi cristalli di ghiaccio? Sembrano quasi aghi, è una cosa rara, si chiama galaverna e nasce dalla nebbia quando fa molto freddo e...»
«Qui non c’è la fatina dell’inverno. Noi andiamo a cercarla. Ciao.»
Così, in una fredda domenica mattina al parco, è iniziata e finita in fretta la conversazione tra Adele ed Eva, due gemelle che avrebbero compiuto cinque anni la primavera successiva, e un gentile signore. Così come si erano avvicinate in modo sicuro e repentino all’ignaro fotografo, allo stesso modo le bambine lo avevano piantato in asso, raggelato un po’ per il freddo e un po’ per il totale disinteresse in cui era caduto il suo racconto.
All’inizio di un incontro, Veronica, la loro mamma, ci riporta questo aneddoto ridendo, perché dopo la fuga delle sue figlie è stata lei a doversi sorbire una minuziosa, dettagliata e interminabile spiegazione scientifica del raro fenomeno, quando avrebbe preferito di gran lunga un caffè bollente. «Hanno l’attenzione che dura quanto il battito d’ali di una farfalla» prosegue Veronica.
Forse è vero, e vale per tutti i bambini, ma la durata di quel battito dipende dall’interesse suscitato in loro dalle diverse cose, e anche dalla nostra capacità di entrare in sintonia con quello che in un particolare momento i bambini vogliono comunicarci. È difficile, soprattutto quando iniziano a parlare bene, perché da quel momento ci sono sempre più occasioni in cui ci dimentichiamo della loro età e ci mettiamo in relazione con loro come se fossero decisamente più grandi di quanto non siano.
La conversazione con il fotografo è probabilmente fallita per questo motivo, il gentile signore ha tentato di spiegare nel dettaglio ciò che stava facendo, ed era certamente una cosa molto bella, ma le gemelle volevano rimanere nella loro fantasia. La fatina! Loro volevano scovare la fatina dell’inverno; chissà, forse ne avevano parlato mentre camminavano per raggiungere il parco, forse l’avevano trovata in qualche libro o era nata dalla loro immaginazione, poco importa: credono alle fate, è inverno, perché non cercare la fatina di questa fredda stagione? A Eva e Adele non era neanche venuto in mente che il signore non credesse all’esistenza della fatina, non hanno sentito la necessità di convincerlo della sua esistenza: se loro ci credevano, ci doveva credere anche lui, ci dovevano credere tutti; ma lui non si era mostrato interessato. Noi adulti siamo concentrati sul mondo che vediamo e di cui, più o meno, conosciamo il funzionamento, e ci piace spiegare ai bambini come vanno le cose; ci piace, come è giusto, insegnare loro cose nuove, catturarne l’attenzione svelando loro i mille e più perché del mondo. Ma è altrettanto bello e importante ascoltare, entrare e sostare per un po’ nella vita immaginativa dei piccoli, soprattutto quando sono loro a invitarci.
«Una cosa ancora più bella» aveva detto il fotografo alle bambine, senza neanche menzionare la fatina; era lì che aveva perduto il loro interesse, lì che il battito d’ali della loro attenzione aveva accelerato e cambiato direzione. Cosa poteva esserci di più bello della fatina? «Non l’ho ancora trovata la fatina, cerchiamola insieme! Forse si nasconde tra questi aghi che sembrano quasi cristalli di ghiaccio. Sapete come si chiamano?» Se la sua risposta fosse stata più o meno questa, è probabile che l’interesse di Eva e Adele sarebbe rimasto, loro sarebbero rimaste, perché incuriosite e comprese. Per un po’ avrebbero parlato tutti e tre la stessa lingua, e il nostro fotografo avrebbe così avuto anche l’occasione per spiegare il raro fenomeno atmosferico che aveva imbiancato quella mattina invernale.
Rimanere in quello che i bambini ci dicono: molto bello e altrettanto difficile, perché il loro è davvero un modo altro di percepire se stessi, il mondo e se stessi all’interno del mondo.
Veronica si era rivolta a noi per alcune difficoltà che stava attraversando, una delle quali ci aiuta a muovere un ulteriore passo verso la magia dei bambini. Questa difficoltà pervadeva molte abitudini quotidiane e consolidate, e trovava il culmine in un’abitudine serale apparentemente innocua, anzi addirittura tenera: la lettura di Cappuccetto Rosso. Eva e Adele avevano iniziato da qualche mese a manifestare diverse paure, una dopo l’altra: un giorno era il buio, un altro era l’ombra dell’armadio, un altro ancora era il rimanere da sole in camera; a volte erano tutte insieme nella stessa giornata. Alcune paure sembravano maldestri tentativi di rimanere un po’ di più con la mamma, di ritardare il momento della buonanotte, di evitare di fare le cose da sole, perché farle insieme è sempre più bello. Con comprensione e pazienza, lucine notturne disseminate qua e là e accurate ispezioni delle ombre di tutti i mobili della casa, Veronica aveva provato così a far superare queste paure alle sue bambine; ma i risultati tardavano ad arrivare. Finché un giorno se ne era presentata una più spaventosa e terrificante delle altre, quella del lupo.
Veronica davvero non capiva come fosse possibile: non aveva mai raccontato di lupi impenitenti e non li aveva mai utilizzati come espediente per far rispettare regole e divieti alle bambine. Non era mai ricorsa a figure autoritarie o spaventose, né a poliziotti né a misteriosi uomini neri; si era sempre assunta lei la piena responsabilità di ogni no o divieto. Ancora di più: era sempre stata attenta a non esporre le piccole a storie paurose, aveva omesso particolari e ripulito racconti, sostituendo ogni dettaglio cruento con soluzioni più blande come sgridate o punizioni. A casa loro la fine di Cappuccetto Rosso recitava così:
Oh, nonna, che orecchie grosse!
Per sentirti meglio.
Oh, nonna, che occhi grossi!
Per vederti meglio.
Oh, nonna, che grosse mani!
Per meglio afferrarti.
Ma, nonna, che bocca spaventosa!
Per meglio divorarti.
E subito il lupo balzò dal letto, ma in quel momento arrivò il cacciatore che urlò, e urlò, e sgridò così forte il lupo che questi si mise a piangere e a chiedere scusa, promettendo di non farlo mai più, poco prima di scappare con la coda tra le zampe. E nessuno lo vide più.
È un amabile finale, senza immagini forti, senza cattivi incapaci di redimersi, senza aggressività. Senza finale, in realtà. Ogni volta in cui Veronica leggeva questa fiaba, e le bambine la chiedevano in continuazione, un nuovo lupo nasceva, si insinuava nell’immaginazione di Eva e Adele e scompariva nel nulla senza mai morire. Era pentito, sì, aveva chiesto scusa, certo, ma continuava a vagare nel bosco e nella loro casa, che si popolava di un nuovo lupo famelico ogni volta che la mamma apriva il libro e iniziava a leggere: «C’era una volta una cara ragazzina; solo a vederla le volevan tutti bene, e specialmente la nonna...». E se fosse tornato? E se la sgridata non fosse stata sufficiente? Come poteva Cappuccetto Rosso essere al sicuro nel bosco? Come potevano loro sentirsi al sicuro? Eva e Adele vivevano una continua sospensione e uno stato costante di attesa.
A Veronica piaceva la dimensione magica in cui la trasportavano le sue bambine, ci stava volentieri. Aveva lasciato un bel po’ di magia nella loro vita, ma quella che piaceva anche a lei, dolce e delicata. Aveva rimosso del tutto quegli aspetti che invece la facevano sentire a disagio: raccontava di fate, di folletti mai dispettosi, di giganti buoni e orchi golosi di dolci, ma non di matrigne invidiose, di perfide sorellastre, di streghe che abitavano in invitanti casette di marzapane, o di lupi davvero cattivi, infingardi, astuti e affamati. Nessuno abbandonava nessuno, nessuno moriva. Non c’erano trasformazioni né incantesimi né maledizioni. Tutti erano potenzialmente buoni o pronti a un cambiamento positivo.
«Non voglio trasmettere messaggi per me sbagliati, come il fatto che si possano uccidere i lupi e che bisogna aspettare che arrivi qualcuno a salvarci. E non voglio neanche instillare paure o ansie nelle mie bambine. È per questo che evito accuratamente i passaggi violenti.»
Veronica ha compiuto una scelta ragionata e consapevole che, però, non tiene in considerazione il fatto che le paure e i turbamenti profondi sono già dentro di noi fin dalla nascita, come lo sono le emozioni, sia quelle positive sia quelle negative e tumultuose. Non sarebbe stata lei a trasmetterle alle sue bambine attraverso l’ammissione del lato più oscuro del mondo magico.
Quando ripuliamo accuratamente la vita immaginativa dei bambini, perlustrando ogni angolo, sostituendo ad arte la cattiveria con la bontà, la bruttezza con la bellezza, l’invidia con la bontà d’animo, e chiudendo a chiave alcune porte dell’immaginazione, il nostro intervento risolutore lascia dei solchi in cui i bambini rischiano di cadere.
Possiamo impegnarci per addolcire la vita immaginativa dei bambini, ma loro la popoleranno ugualmente di streghe, stregoni, matrigne e mostri, perché sono queste le forme che i bambini danno alle paure.
Questo non significa che bisogna esporre ovviemente di proposito i bambini a esperienze paurose non adatte alla loro età, ma non bisogna neanche ignorare la presenza di alcuni pensieri o eliminare del tutto gli ostacoli e le difficoltà dalla loro vita, siano esse reali oppure no. Con lo sviluppo del linguaggio si modificano i pensieri, i bambini si addentrano nel mondo dei ricordi e della memoria e danno una forma e un nome alle sensazioni che provano, ai desideri o ai timori.
Mostro, lupo cattivo o simili sono le forme che i bambini danno alle paure o ai turbamenti, e lo fanno senza bisogno che qualcuno gliene parli: questi pensieri sono già lì, dentro di loro. Il pensiero del mostro o del lupo non è un problema in sé; ciò che conta sono le soluzioni che i bambini riescono a trovare per affrontare il pensiero del mostro o del lupo e non esserne sopraffatti. Negare l’esistenza di tutto ciò che «non è bene» significa lasciare i bambini soli con alcuni loro pensieri, con le loro paure e ambivalenze, con la sensazione di provare sensazioni sbagliate e biasimevoli, privi di ogni indicazione su come affrontare tutto questo tumulto sconcertante e spaventoso.
Veronica si era fermata al significato letterale della fiaba, all’uccisione del lupo come un gesto di violenza su un meraviglioso animale, e non voleva trasmettere alle sue figlie questo messaggio. Ma il lupo della fiaba è un simbolo, incarna i sentimenti e le emozioni negative, è davvero cattivo e malvagio e non può redimersi: deve essere sconfitto, deve essere ucciso. I bambini questo lo capiscono bene, sentono il senso di una storia che va dritto alla loro emotività, e lo capiscono molto meglio di noi adulti, che leggiamo con la nostra razionalità e riduciamo la storia al suo significato letterale. I personaggi delle fiabe sono tipici, sono buoni o cattivi; non c’è posto per le sfumature nelle fiabe, come non ce n’è nei bambini, perché per loro una cosa è giusta o è sbagliata, una persona è buona o è cattiva. I piccoli faticano a conciliare sentimenti opposti; faticano ancora di più a comprendere che una persona possa essere a volte buona e a volte no.
La matrigna, ad esempio, serve proprio a questo: i bambini si arrabbiano con i loro genitori e quando si arrabbiano li vedono cattivi, come se si trasformassero in altre persone; la rabbia e l’ostilità che provano è reale e normale, ma fa nascere in loro un altrettanto normale senso di colpa. Come si possono provare questi sentimenti verso la propria mamma o il proprio papà? Grimilde, la matrigna per eccellenza, si sacrifica e si presenta come la figura verso cui si possono indirizzare tutti questi sentimenti, perché incarna la cattiveria, è malvagia e lo è sempre. E, soprattutto, è matrigna e non mamma; questo sdoppiamento va incontro e rispetta il funzionamento del pensiero dei bambini: la mamma buona è salvata, la matrigna condannata.
Le fiabe, quindi, procedono per simboli, presentano difficoltà, semplificano situazioni universali, ammettono l’esistenza degli ostacoli come parte della vita di tutti e mostrano come, attraverso l’impegno, le difficoltà possano essere superate. Ogni protagonista deve affrontare avversità, scelte sbagliate e situazioni pericolose, e non si ritrae mai, ma le affronta con coraggio. Le fiabe hanno un andamento comprensibile per i bambini, perché parlano alla loro emotività e raccontano un mondo in cui il bene e il male – che è molto affascinante – sono presenti, ma indicano loro come affrontare quelle situazioni. Soprattutto hanno un lieto fine, di cui i bambini hanno davvero bisogno per scoprire che, quando si trovano davanti a un problema, possono trovare una soluzione.
Lo psicoanalista Bruno Bettelheim ha descritto in modo inarrivabile l’importanza di questi aspetti:
Coloro che misero al bando le fiabe tradizionali decisero che se c’erano dei mostri in una fiaba narrata a dei bambini, dovevano tutti essere bonari; ma trascurarono il mostro che un bambino conosce meglio e lo preoccupa di più: il mostro che sente o teme di essere, e che a volte arriva a perseguitarlo. Tenendo questo mostro all’interno del bambino inespresso, nascosto nel suo inconscio, gli adulti impediscono al bambino d’intesservi intorno delle fantasie sull’immagine delle fiabe che conosce. Senza tali fantasie, al bambino non è dato di conoscere meglio il proprio mostro, né vengono forniti suggerimenti sul modo in cui egli può dominarlo.8
Abbiamo letto insieme con Veronica Cappuccetto Rosso nella sua versione più pura, senza illustrazioni né epurazioni, e ne abbiamo discusso insieme, ma non per convincerla della bellezza e dell’importanza di questa o altre fiabe per le sue bambine; piuttosto per avere un ponte comunicativo che ci permettesse di parlare con lei un altro linguaggio per un po’, un linguaggio fatto di molti simboli e di poca razionalità adulta. E Veronica ha trovato in queste pagine anche la risposta all’altro suo timore, quello di infondere in Eva e Adele l’idea che si dovesse aspettare l’arrivo di qualcuno pronto a salvarci: ma la bambina di questa fiaba partecipa attivamente al proprio salvataggio! Nel finale di Cappuccetto Rosso dei fratelli Grimm, infatti, il cacciatore taglia con un paio di forbici la pancia del lupo, addormentatosi dopo aver divorato la nonna e la bambina, e le salva entrambe. Ma poi è Cappuccetto Rosso ad avere l’idea risolutrice: prendere delle grosse e pesanti pietre con cui riempire la pancia del lupo, che così, nel tentativo di scappare, muore.
Che paura ho avuto! Com’era buio nel ventre del lupo! Poi venne fuori anche la vecchia nonna, ancor viva, benché respirasse a stento. E Cappuccetto Rosso corse a prendere dei pietroni, con cui riempirono la pancia del lupo; e quando egli si svegliò fece per correre via, ma le pietre erano così pesanti che subito si accasciò e cadde morto.9
Questo sì che è un finale risolutivo e rassicurante. Questo finale propone un ruolo attivo della protagonista, che non è solo salvata dal cacciatore, ma concepisce in prima persona un modo per sconfiggere pericoli e paure. Questo finale garantisce a Eva e Adele e a tutti i bambini che il lupo non può tornare, che non si aggira circospetto in casa loro, dentro all’armadio, sotto al letto o nascosto dietro a una porta. Questo finale parla un linguaggio magico che ha il potere di placare le paure.
Veronica ha fatto dei doni alle sue bambine: quando si è sentita pronta, ha regalato loro la fine della storia che meritavano di avere, e due braccialetti magici, uno per ciascuna, da tenere al polso perché capaci di scacciare tutti i mostri. Ha raccontato di quello che le faceva paura da piccola e ha condiviso con loro il suo segreto, un breve ritornello capace di scacciare all’istante ogni terribile creatura: «Lupi cattivi, mostri malvagi, a nulla possono i vostri presagi». Ha preso sul serio le loro paure, ha setacciato armadi e cassetti per assicurarsi che non ci fossero mostri nascosti, e lo ha fatto ogni sera finché ce n’è stato bisogno; ha abbandonato l’idea di cacciare i mostri con la razionalità, cercando di convincere le sorelline che non esistono, e con del fil di ferro e la vecchia passione per gli origami, ha creato uno scaccia-mostri da appendere alla finestra della loro camera. Si è messa in ascolto dei pensieri delle sue bambine.
Non aveva mai parlato così tanto di mostri o lupi cattivi, eppure le gemelle ne avevano sempre meno paura, perché sapevano già che i mostri esistono, perché i bambini non sanno meno: sanno diversamente.
Noi abbiamo regalato a Veronica una copia del libro di fiabe.

Il pensiero dei bambini

«Tu l’hai fatta già grande, la tua bambina.»
Così ha sentenziato Marcello, quattro anni ancora da compiere, quando ha conosciuto Anna, che alla fine dell’estate avrebbe iniziato il liceo. Anna era la figlia di cari amici dei suoi genitori che si erano trasferiti a Londra oramai da qualche anno, e quell’estate Pietro e Diana avevano deciso di andare a trovarli e di trascorrere qualche giorno di vacanza tutti insieme. Prima di partire avevano raccontato con entusiasmo al piccolo Marcello del viaggio che avrebbero fatto, dell’aereo che li avrebbe portati più in alto delle nuvole e dei loro amici che da tempo non vedevano.
L’affermazione di Marcello, in bilico tra constatazione e ponderata delusione, ha fatto sorridere tutti, perché è arrivata inaspettata e fulminea, con un tempo comico perfetto. Marcello ci dà un agile, pulito e preciso esempio del pensiero dei bambini e del modo con cui interpretano il mondo: il loro unico punto di vista. E anche quando ci sembra di essere chiari, precisi e dettagliati nelle spiegazioni, ecco che anche in quel momento c’è spazio per un fraintendimento tra grandi e bambini. Marcello ha fatto un ragionamento semplice, basato sulla sua esperienza: io sono un bambino di quasi quattro anni, andiamo a trovare gli amici di mamma e papà, questi amici hanno un bambino proprio come la mia mamma e il mio papà, questo bambino è come me. Marcello ha un unico punto di vista, il suo, e interpreta e dà senso alle cose in base a quello; le premesse da cui parte sono corrette, ma le deduzioni a cui arriva non necessariamente lo sono. Questo sono i bambini: attenti osservatori, memoria infallibile, sapienti conoscitori, e anche maghi. Perché sono il centro e l’unico riferimento possibile per i loro ragionamenti: il mondo è creato all’occorrenza e interpretato...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Il rispetto per ciò che si è, di volta in volta
  5. Il mondo senza confini
  6. Un mondo di apparizioni e sparizioni
  7. La magia del movimento e della parola
  8. La vita immaginativa e il pensiero
  9. Babbo Natale esiste! Il potere delle fiabe
  10. Le bugie: paura e desiderio
  11. Il lutto: riti, tempo e confini
  12. Realtà e finzione: nessun confine
  13. Conclusioni
  14. Indice