Io ci sono
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Io ci sono

  1. 224 pagine
  2. Italian
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Io ci sono

Informazioni su questo libro

"Lo so. Non ti fidi. Hai aperto questo libro per curiosità, con la speranza inconfessabile di trovare, già nelle prime righe, la soluzione a tutti i tuoi problemi." Non esistono formule magiche, e Roberto Cerè lo sa bene. Prima di essere un mental coach di successo, infatti, è un uomo che ha conosciuto la sconfitta, la delusione e la paura, e le ha affrontate senza eroismi o facili ricette. Armato di determinazione, spirito di autoconservazione e un pizzico di coraggio, ha vinto la sfida. Un simile risultato si costruisce nel tempo, un passo alla volta, e non può essere confinato nel recinto della biografia individuale, va condiviso. Così Roberto ha iniziato ad aiutare gli altri - dapprima le aziende e i loro manager, poi cerchie sempre più ampie di persone desiderose di ottenere il meglio da loro stesse - a fare altrettanto. In questo libro il Dr Cerè condensa il suo percorso personale e spirituale, mostrandoci le tre fasi di crescita emotiva e psicologica che ci attendono: 1. Io non ci sono. 2. Io ci sono, per me stesso. 3. Io ci sono, per gli altri. Una sorta di marcia in tre tappe che va dalla caduta alla ripresa, per poi approdare a una più profonda comprensione di quello che ci circonda. Il tutto nel solco della ricerca di se stessi, di quel "padre interiore" che è la voce di una coscienza sana ed empatica. Io ci sono non propone formule miracolose, ma consigli efficaci, per migliorarci sul lavoro come nella vita affettiva, per affrontare i momenti difficili traendone insegnamenti e sviluppando uno sguardo sereno sulle incertezze del futuro. Un manuale che vi ispirerà, pagina dopo pagina, a trasformare il libro della vostra vita in una lettura indimenticabile. La versione digitale è arricchita da esclusivi video extra in cui il dottor Cerè approfondisce alcuni dei temi trattati nel libro.

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Informazioni

Prima parte

Io non ci sono

1

Al buio

Immaginiamo di poter fermare il tempo e di rivedere al rallentatore un momento particolarmente buio nella vita di un uomo. L’onda di pensieri che gli attraversa la mente traspare dal suo volto. I muscoli della sua faccia traducono quella tempesta di sentimenti: l’incredulità, la rabbia, il bisogno di capire, il dolore, l’autocommiserazione. Ha la netta sensazione che resterà prigioniero della paura e della sfiducia. La paura di non farcela, la sfiducia nelle proprie capacità.
Quest’uomo potrebbe essere chiunque. Quest’uomo, un giorno, lo siamo stati tutti.
Ci sono infinite possibilità per toccare il fondo e forse tra noi ognuno ha fatto quella terribile esperienza in mille modi diversi. Eppure, il più delle volte, colleghiamo l’idea di fallimento al mero aspetto economico. La stessa espressione «sono rovinato» fa immediatamente pensare a un uomo che ha perso tutto al tavolo da gioco, o che è strozzato dai debiti. Riusciamo a immaginarcelo mentre si passa le mani tra i capelli e tra sé e sé ripercorre la scia di decisioni sbagliate che lo hanno portato a quel momento, a quella realizzazione. Di rado, quel modo di dire evoca nella nostra mente qualcuno che si ritrovi senza amici, lontano dalla sua famiglia o ad affrontare una brutta malattia.
Eppure quella sensazione di drammatico smarrimento, lo strisciante e ineluttabile avvicinarsi della fine di qualcosa che ci è caro, prima o poi la sentiamo addosso tutti, indipendentemente da quel che abbiamo in banca, da quanto ci soddisfa il nostro lavoro o da quali siano le nostre condizioni di salute.
Chiunque tra noi, per le ragioni più disparate, può trovarsi faccia a faccia con la voglia di arrendersi, di tirare i remi in barca e di lasciarsi abbandonare alla deriva di un ingrato destino. La scintilla può essere innescata da un problema di salute, da un rovescio di fortuna professionale, da quell’ostacolo che ci si para davanti e non possiamo aggirare. La sua presenza incombente ci induce a prendere le nostre piccole e umane difficoltà e a passarle sotto la lente d’ingrandimento dell’inadeguatezza.
Ognuno di noi ha avuto il suo bagno di cruda realtà. Chi in un modo, chi nell’altro, in diversi scenari e con diverse intensità. Ma quanti di noi sono riusciti a rialzarsi? Quanti di noi hanno trovato la determinazione necessaria a scacciare i brutti pensieri, a evadere dalla prigione in cui il destino e i nostri errori ci hanno rinchiuso?
Qualcosa è andato storto e adesso siamo bloccati. Che fare? Evadere o restare prigionieri? Rialzarsi o rimanere a terra, lì dove siamo stati sbattuti?
Fino a un attimo prima andava tutto bene, credevi di avere il mondo sotto controllo. Adesso invece tutto sembra volgere al peggio e sta a te decidere se lasciarti trasportare dalla corrente o sbracciarti per raggiungere la riva. Sulla carta sembra una scelta obbligata: «Be’, ovvio! Scelgo di toccare terra e mettermi in salvo!». E invece in tanti si stanno solo illudendo d’aver compiuto una scelta, anche se nel migliore dei casi non fanno altro che lamentarsi della situazione in cui sono finiti, mentre l’acqua comincia a spingerli a fondo in un sinistro mulinello.
Rimettersi in sesto non è un automatismo. Certo, il nostro istinto di conservazione ci obbliga a far di tutto pur di sopravvivere, ma in ultima analisi la voglia di reagire è sempre e soltanto il frutto (e la conseguenza) di una scelta razionale tra impegnarsi e lasciar correre, tra reagire e subire. E sarà l’esito di questa decisione a dimostrare se sei un adulto, o ancora un bambino.

Spezzando la bacchetta magica

Nella mia lunga e intensa esperienza di life coach ho incontrato molte resistenze: persone che diffidano a prescindere, uomini d’affari abituati a vedere trappole e trabocchetti dappertutto, gente cresciuta nella convinzione paranoide che chiunque voglia fregarli in un modo o nell’altro. Io stesso, in certe occasioni, ho storto il naso leggendo i libri di chi promette cure miracolose senza che sia previsto alcuno sforzo per renderle efficaci.
Per questo sento l’obbligo morale di sgombrare subito il campo dalla folle idea che esistano scorciatoie indolori per il successo: il cammino della vita è tutto meno che una passeggiata. Richiede costanza, impegno, fatica e una buona dose di pazienza e sopportazione. Se qualcuno vi spinge a credere il contrario o è un truffatore o – beato lui! – non ha mai avuto un momento difficile in tutta la sua vita.
E se non sai cos’è il dolore della caduta, la paura di restare solo e il timore di non riuscire a rimetterti in piedi, di certo non hai diritto di dire agli altri cosa dovrebbero fare per superare quelle stesse difficoltà che tu non hai mai conosciuto.
A chi segue i miei corsi e legge i miei libri non ho mai promesso risultati degni del tocco di una bacchetta magica e certo non comincerò a farlo proprio adesso. Chi ha partecipato anche solo a uno dei miei incontri, sa che amo mettermi a nudo per cancellare subito dalla mente di chi mi sta davanti un dubbio duro a morire: «Questo qui ha tutte le fortune, come può capire i miei problemi?».
È vero, da qualche anno ormai vivo una vita che mai e poi mai avrei sognato di realizzare. Ho tagliato traguardi che non credevo possibili, nel privato come nell’ambito professionale. Ma questo non vuol dire che non ci sia stato un prima, un passato che nulla ha a che fare con la mia immagine di oggi, uno ieri da uomo in balia degli eventi, con tutte le sue amarezze, le sue ansie, le sue paure e le sue difficoltà. E, a dirla tutta, le parentesi di difficoltà sono tuttora parte integrante della mia giornata, anche adesso che – inutile nascondermi dietro un dito – non sono più schiavo di preoccupazioni pressanti come quella di garantire ai miei figli il pane in tavola e un tetto sulla testa.
Non voglio trasformare questo libro in un’autobiografia, ma nel corso di queste pagine farò di tanto in tanto ricorso a momenti della mia esperienza personale, soprattutto ai più difficili e dolorosi, per ribadire un concetto che mi sta molto a cuore: non esistono vite perfette, così come non esistono persone immuni alla paura, all’incertezza e con tutte le risposte sempre a portata di mano.
Esistono, invece, vite vissute pienamente da persone che – di volta in volta, passo dopo passo – fanno il possibile per capire, capirsi e farsi capire. Spezzate nella vostra mente l’illusione della bacchetta magica, cancellate il mito della perfezione e del successo incrollabile. Fate largo nel vostro cuore all’idea di una vita completa di ogni aspetto, bello o brutto che sia. Abbracciate senza timore l’intero spettro delle emozioni umane, perché la chiave della felicità non risiede soltanto nel saper godere appieno delle sensazioni piacevoli, ma soprattutto nella nostra capacità di trarre il meglio da una situazione difficile.

La caduta

Voglio coinvolgervi in un piccolo esercizio. È una di quelle cose che amo fare durante i miei seminari, soprattutto quando mi rivolgo a un pubblico più ristretto e posso permettermi un’interazione diretta con i presenti. Ma prima, una necessaria premessa.
Per seguirmi in questo test non avete bisogno di nessuno strumento: niente carta, niente penna, solo una buona dose di onestà e di sana voglia di sbagliare. Perché il più grande nemico di chi vuole imparare è la smania di sembrare più intelligenti di quel che si è. Se dall’apprendimento togliete la gioia del conoscersi (soprattutto attraverso gli errori!) e l’energia del confronto, nella testa non vi resteranno che un pugno di dati sterili e vuote nozioni.
Se sui banchi eravate tra quelli che inseguivano ossessivamente il dieci più o il trenta e lode, è ora di cambiare approccio: certo, un bel voto fa molto piacere, ma non è tutto e non dovrebbe mai esserlo per nessuno. Se state leggendo questo libro non è perché dovete dimostrare qualcosa a qualcuno, ma perché cercate un’occasione di riscatto per voi stessi. Se mentre studi, lavori e rifletti non distogli la mente dal risultato, dal podio, dalla promozione che hai sempre atteso, non ti godrai mai il percorso, non sentirai mai le imperfezioni della strada e non imparerai mai a prevedere i rischi lungo il tracciato. Il più delle volte, lasciarsi ossessionare dagli obiettivi è il modo migliore per non raggiungerli.
Detto questo, torniamo al nostro test. Si tratta di un semplice esercizio di visualizzazione.
Tutti quanti abbiamo una nostra idea di quel che vuol dire «momento buio». Può essere legata a una delusione sentimentale, a un problema familiare, a una brutta china lavorativa o a una preoccupante svolta sul fronte della salute. Stavolta, però, è bene andare alla radice di quell’espressione, attaccarsi al primo e più immediato significato di «momento buio» e cioè all’assenza di luce. Proviamo quindi con la nostra immaginazione a calarci in una situazione che rappresenti alla lettera e in maniera universale il concetto di «momento buio».
Immaginate di essere nella quiete di casa vostra o in qualsiasi altro posto chiuso a voi piuttosto familiare. È sera inoltrata e la giornata volge pigramente al termine, le ore sono trascorse senza grandi novità e voi non avete particolari preoccupazioni. A un tratto, però, va via la luce. Di scatto, il vostro sguardo volge alla finestra. Casa vostra è l’unica rimasta senza corrente: davanti ai vostri occhi si stende il panorama della città, una pennellata nera punteggiata di mille lucine. Il blackout ha colpito solo la vostra abitazione. All’orizzonte si intravedono le finestre illuminate degli altri, che continuano la loro vita come se nulla fosse. Alcuni guardano la TV, altri stanno sparecchiando i resti di una cena tra amici durata più a lungo del solito. Voi invece siete lì, soli, in un posto che fino a un attimo prima era ospitale e accogliente e che adesso, senza luce, non vi è più familiare, è divenuto estraneo e anche un po’ minaccioso.
Che cosa fate? Qual è la prima cosa che vi viene in mente? Per quanto possa sembrare illogico o addirittura stupido, molti di noi provano ad accendere la luce. Sappiamo benissimo che non c’è corrente, ma il nostro istinto ci dice di provarci. La mano corre sulla parete e il dito si accanisce sull’interruttore, anche se il nostro cervello è ben consapevole che quel gesto è solo una perdita di tempo e che il risultato sarà solo la nostra frustrazione.
Assodato che non si tratta di una valida soluzione, troviamo altre strategie. Dobbiamo arrivare all’interruttore generale, e quindi alla radice del problema. Già, ma come? È buio pesto!
Dobbiamo fare uno sforzo di concentrazione e ricostruire nella nostra mente il percorso che ci conduce, a tentoni, dal punto in cui ci troviamo fino al contatore. Possibilmente senza inciampare in qualche cavo della corrente, senza romperci gli stinchi contro il tavolino del soggiorno, senza far cadere il vaso di nonna Elena, senza sbattere il naso sulla porta del bagno e senza ribaltare lo stendino carico di panni ancora umidi che chissà perché ci ostiniamo a piazzare in quel corridoio che è già stretto di suo…
Insomma, la prima cosa davvero utile da fare quando ci si ritrova persi al buio è ricordarci quali sono i nostri punti di riferimento principali. In quei momenti non state lì a pensare che cosa vi manca in dispensa, se i libri sulle mensole sono disposti in ordine alfabetico o in base ai colori o a quante camicie vi restano da stirare. No, in quei momenti pensate agli ostacoli da evitare lungo il tragitto che vi condurrà alla soluzione del problema.
Questo esercizio di visualizzazione ci permette di capire tre insegnamenti importanti per affrontare con la dovuta serenità delle situazioni di difficoltà:
1) La situazione è cambiata, ma non del tutto: anche al buio, la tua casa resta la tua casa, così come la tua vita resta la tua vita, nonostante tutti gli stravolgimenti che può subire. A cambiare è il tuo modo di muoverti; sei più sul chi vive e avanzi a passetti, pronto a evitare o almeno ad attutire urti improvvisi.
2) Non far prevalere l’abitudine, adattati: pigiare l’interruttore non serve a nulla se non c’è corrente, così come è inutile insistere su soluzioni che hanno smesso di aver senso alla luce degli ultimi cambiamenti. Non accanirti, batti strade nuove.
3) Cancella il rumore di fondo, concentrati sull’essenziale: se il panorama intorno a te è mutato, cerca la tua stella polare e orientati in base a lei. Fatti guidare dai tuoi valori, dalle tue più profonde necessità, mai da dettagli secondari che – soprattutto in momenti di difficoltà – non farebbero altro che distrarti dalla ricerca della via d’uscita.
Ma soprattutto, impara a non temere il momento di crisi. Quando sei al buio, l’universo ti sta offrendo una grande occasione: capire una volta per tutte quali sono le tue priorità. Nessun consulente, nessuno psicologo, nessun terapista e nessun life coach sarà mai in grado di metterti di fronte all’evidenza con la franchezza e la brutalità di un momento di crisi. Quindi impara a non temerne il confronto e smettila di fare di tutto per esorcizzarla. I periodi difficili arrivano, sempre e per tutti. Quel che conta è individuare la causa che li ha scatenati e capire come ridurre l’impatto che hanno sulla tua vita.
«Facile a dirsi!» penseranno i più sfiduciati tra voi. E infatti di facile non c’è proprio nulla, come vedremo nei prossimi capitoli di questa prima parte, nei quali constateremo l’effetto devastante che hanno le cinque emozioni limitanti su una persona ancora nel pieno della sua prima fase di crescita emotiva, quella dell’«Io non ci sono».

2

Fuori dal gioco

«A me non può capitare, non è possibile.» È quello che pensi il più delle volte quando ascolti la storia di uno che ha conosciuto il sapore più amaro della sconfitta, quando incroci lo sguardo di qualcuno che proprio non ce l’ha fatta. In tanti portano addosso i segni di quella caduta. Li vediamo, sono intorno a noi.
Non serve neanche andare tanto lontano, né avventurarsi in Paesi lontani o in periferie colpevolmente abbandonate. Pensa a una signora un po’ in là con gli anni che al supermercato è costretta a infilare qualcosa sotto il cappotto, a fingersi spaesata per mascherare la vergogna di essere stata beccata mentre rubava il necessario per tirare avanti un altro giorno. O immagina un uomo d’affari con lo sguardo perso, seduto nella sala d’aspetto di una stazione. Il suo telefono continua a vibrare, ma lui non ha il coraggio di rispondere. Fissa un punto nel vuoto e non presta nessuna attenzione allo schermo sul quale si avvicendano gli orari dei treni in partenza. Ha perso il suo ultimo cliente e si sta chiedendo: «Con che faccia mi ripresento domani in ufficio, davanti ai miei colleghi? E stasera, come farò a guardare negli occhi mia moglie e i miei bambini?».
Pensa a un ragazzo che non sa che pesci prendere: come studente non è particolarmente brillante, ma è ancora troppo giovane e ingenuo per cominciare a lavorare sul serio. Non desidera molto, solo sentirsi un po’ incoraggiato dai suoi insegnanti e dai suoi genitori a proseguire gli studi o a trovare e perseguire un qualche interesse personale. Ma quel sostegno non arriva e lui cade in una spirale di autocommiserazione e tristezza. Sente che le sue giornate non hanno valore per chi gli sta intorno, per questo non trova nulla di strano nell’abbandonarsi a uno stile di vita improntato all’autodistruzione.
Cosa è successo a queste persone? Hanno storie diverse, eppure se provassimo ad ascoltarle una per una, ci accorgeremmo che dalle loro parole emerge lo stesso senso di disfatta irrimediabile, così come nei loro occhi affiora una voglia di lasciarsi giocare da un destino crudele, arresi all’inevitabile, sventurata china che la vita ha in serbo per loro.
Ma non è il loro stato d’animo la cosa che dovrebbe preoccupar...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Dedica
  4. Introduzione. Cercando la tua voce
  5. Prima parte. Io non ci sono
  6. Seconda parte. Io ci sono, per me stesso
  7. Terza parte. Io ci sono, per gli altri
  8. Epilogo. Finalmente liberi
  9. Indice