Economia rock
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Economia rock

  1. 416 pagine
  2. Italian
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Economia rock

Informazioni su questo libro

La musica è un linguaggio potente e universale, capace di attraversare barriere geografiche, politiche e sociali per parlare a ciascuno di noi. Riesce a tenerci compagnia, a regalarci un sorriso o una stretta al cuore, talvolta può persino cambiarci la vita. Ma non è solo questo: è anche un grande mercato, una forza trainante dell'economia e, in fin dei conti, un lavoro per decine di migliaia di persone. Oltretutto, è stato uno dei primi settori a doversi scontrare con le grandi innovazioni tecnologiche degli ultimi anni. Musicisti, cantanti, produttori, manager, tecnici del suono: ciascuno di loro, a tutti i livelli, ha visto cambiare il proprio mestiere con l'arrivo del digitale e dei servizi di streaming, legati a doppio filo alle complesse norme su proprietà intellettuale e royalties. Non a caso, persino per superstar del calibro di Paul McCartney il grosso degli incassi viene ormai dalle performance live anziché dalle vendite discografiche.
Unendo prosa immediata, approccio diretto e un'enorme mole di interviste, Alan Krueger riesce a portare il lettore dietro le quinte di questo showbusiness, raccontando il mondo della musica con il piglio dell'appassionato e la competenza dell'economista di primo livello. Come funziona l'industria musicale? Chi guadagna? Quanto? E come? Ma, soprattutto: cosa può insegnarci questo universo sul mondo del lavoro e dell'economia più in generale? Sulla crisi passata e odierna, sulle difficoltà di impiego, sulle disuguaglianze sociali e sul modo per superarle?
Per citare Tito Boeri, «Alan Krueger e stato per la nostra generazione un Keynes moderno, l'esempio di come un grande economista possa mettere la propria intelligenza a disposizione di chi deve prendere decisioni che condizionano il benessere di milioni di persone». O, in questo caso, a disposizione di chi vuole capire meglio la musica, e il mondo attraverso di essa.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
Print ISBN
9788817119672
eBook ISBN
9788858697177
Argomento
Commerce
Categoria
Management
1

Preludio

«Qualcuno una volta mi ha detto: “I Beatles erano
contro il materialismo”. È solo un falso mito.
John e io ci sedevamo intorno a un tavolo
e dicevamo: “Dai, adesso scriviamo una piscina”.»
PAUL MCCARTNEY
«Su quale pezzo vuoi entrare?» Non mi avevano mai fatto una domanda del genere, né prima né dopo. Dovevo tenere un discorso alla Rock and Roll Hall of Fame e i miei ospiti volevano sapere quali canzoni mettere prima del mio ingresso sulla scena.
No, non stavo per entrare a far parte della Hall of Fame. Non sono un musicista e non sono neanche intonato. Sono un professore di Economia a Princeton. All’epoca ero a capo del Consiglio dei consulenti economici del presidente. Mi avevano invitato a parlare perché avevo avuto l’idea di usare l’industria musicale come metafora dell’economia degli Stati Uniti (in particolare, per le difficoltà economiche del ceto medio e il crescente divario tra i ricchi e tutti gli altri). Secondo il concetto alla base, il mercato del lavoro statunitense era diventato un luogo per superstar, roba da «assi piglia tutto», molto simile all’ambiente della musica, dove un esiguo gruppo di elementi di spicco ha introiti favolosi, mentre quasi tutti gli altri arrancano per arrivare alla fine del mese.
Nel mio discorso usai il termine rockonomics – un mio neologismo per lo studio economico sull’industria musicale – per spiegare perché ciò stava accadendo, cosa significa per la gente comune e cosa bisognerebbe fare per realizzare un’economia più equa e che funzioni per tutti. Avevo un elenco di idee audaci per ripristinare speranze e sogni della nostra nazione.
Quale sede migliore, per tenere questo discorso, se non la Rock and Roll Hall of Fame di Cleveland?
A quello che all’epoca era il mio capo, il presidente Obama, l’idea piacque. Meglio ancora, gli piacque il discorso. Gliene inviai una copia mentre era a bordo dell’Air Force One e successivamente, in un meeting, annunciò che «tutti dovrebbero leggere il discorso di Alan». Ben presto il segretario del Lavoro e quello del Commercio ne richiesero una copia.
Questo libro prende le mosse dal campo del rock per raccontare in che modo l’intera economia mondiale è cambiata negli ultimi anni, e come ciascuno di noi possa prepararsi ai mutamenti che il XXI secolo ha in serbo. Nella mia carriera ho scoperto, supportato anche dalla ricerca psicologica, che apprendiamo meglio dalle storie che non da equazioni o principi astratti. E la musica altro non è che narrazione.
Così come lo è l’economia, nonostante si sia fatta la sfortunata e fuorviante nomea di «scienza triste». I modelli economici, le statistiche e le analisi di regressione sono tutti strumenti utilizzati per raccontare storie con rigore e precisione. Noi economisti non ci limitiamo a raccontare qualcosa molto bene o chiaramente. Questa è una delle ragioni per cui c’è stato un rifiuto tanto forte nei confronti della competenza e dei concetti economici di base, compresi i profitti del commercio e il valore delle statistiche economiche imparziali e obiettive, durante le elezioni presidenziali USA del 2016. Abbiamo bisogno di trovare modi più convincenti per condividere le lezioni di economia. Se la storia di come le forze economiche stanno disgregando il nostro mondo venisse raccontata attraverso il prisma dell’industria musicale, un pubblico più vasto potrebbe essere interessato, perfino stimolato, ad ascoltare. Dopotutto, la musica è una delle poche cose che ci unisce, indipendentemente dalle nostre origini o dai nostri interessi. Quasi tutti hanno un legame con il mondo della musica, in un modo o nell’altro. In un certo senso potremmo definirlo il «grado uno di separazione», dal momento che tramite amici, familiari o colleghi, siamo strettamente legati alla musica e al suo mondo, volenti o nolenti.
Per analizzare le forze economiche che plasmano l’industria musicale, ho condotto decine di interviste con musicisti e dirigenti dell’ambiente, dagli artisti emergenti alle leggende della Rock and Roll Hall of Fame, dai dirigenti di Spotify e Amazon a quelli di Universal Music Group, la più grande etichetta discografica del mondo, ma anche con il proprietario del negozio di dischi di cui sono cliente. (Ebbene sì, il Princeton Record Exchange è ancora vivo e vegeto, malgrado la spietata concorrenza cui devono far fronte i negozi indipendenti.)
Ho intervistato personaggi iconici che hanno contribuito a plasmare il mondo della musica, compresi Gloria Estefan, l’artista crossover più affermata di tutti i tempi, e Quincy Jones, il celebre musicista e produttore che ha lavorato con le più grandi star del pianeta, da Frank Sinatra a Donna Summer e Michael Jackson. E ho incontrato spesso Cliff Burnstein e Peter Mensch, i cofondatori di Q Prime, l’agenzia di management di Metallica, Red Hot Chili Peppers, Cage the Elephant, Eric Church e altre band di successo. Marc Geiger, lo spavaldo capo del dipartimento musicale della William Morris Endeavor, ha condiviso con me il proprio ottimismo riguardo al futuro dell’industria della musica; Don Passman e John Eastman, i migliori avvocati dell’ambiente, mi hanno fatto da tutor su diritti musicali e contratti delle società discografiche. Per avere una veduta d’insieme del lavoro e dello sforzo impiegati nella realizzazione di uno show, ho seguito come un’ombra i musicisti e le loro crew a una serie di concerti, ho intervistato maschere, venditori e dirigenti di Live Nation e Ticketmaster.
Rispondere a domande relative a denaro e accordi contrattuali è sempre difficile, soprattutto per gli artisti. I soldi possono essere un argomento pericoloso; basti pensare che è stata proprio una divergenza economica a determinare lo scioglimento dei Beatles.1 Per questo motivo ho particolarmente apprezzato che così tanti artisti, dirigenti e persone di questo ambiente siano stati disposti a condividere con me esperienze, dati economici e prospettive. Nelle pagine seguenti, ho cercato di riportare fedelmente le loro storie per spiegare l’economia dell’industria musicale. Cosa più importante, ho cercato di trasmettere la loro passione nel creare e condividere musica. Forse la lezione più preziosa che ho imparato è che gran parte dei musicisti è animata più dall’amore nel creare musica e intrattenere il pubblico che dalla prospettiva di guadagnare una fortuna (o anche solo il necessario per vivere).
Come economista di orientamento empirico ritengo che teorie, osservazioni e aneddoti vadano valutati alla fredda luce di dati imparziali e rappresentativi. Facendo ricerche per questo libro, ho analizzato dati di centinaia di migliaia di concerti raccolti dalla rivista «Pollstar», che mi ha garantito in via del tutto eccezionale l’accesso al suo archivio degli incassi. Ho analizzato dati relativi a miliardi di sequenze musicali, milioni di vendite e download, centinaia di migliaia di concerti e migliaia di musicisti. Per colmare le lacune, ho condotto una mia personale ricerca su 1200 musicisti professionisti (i dati emersi dall’indagine e altri materiali sono accessibili al lettore interessato sul sito rockonomics.com). Unendo le osservazioni dirette di coloro che sono in prima linea nell’industria musicale con i Big Data dell’ambiente nella sua totalità, ho potuto ricavare un quadro più ricco, più affidabile e rappresentativo di come le forze economiche plasmano l’industria musicale.
Fortunatamente esiste anche una crescente letteratura di ricerca sull’argomento, opera di economisti, sociologi, psicologi ed esperti di informatica. Anche altri studiosi hanno scoperto che l’industria musicale offre terreno fertile per la ricerca, nonché un modo brioso per ispirare e attrarre gli studenti. Allo scopo di creare un forum dove i ricercatori potessero scambiare idee e sostenere un lavoro interdisciplinare sull’argomento, nel 2016 ho contribuito alla nascita di un’organizzazione no profit chiamata Music Industry Research Association (MIRA). Questo libro attinge a scoperte di quest’innovativa scienza sociale e alla relativa letteratura di ricerca sull’industria della musica.
Gli ascoltatori possono rendersene conto o meno, ma l’economia è alla base della musica che viene creata e prodotta. Le forze economiche influenzano profondamente la musica che scegliamo, i dispositivi con i quali la ascoltiamo, i generi prodotti e la somma che paghiamo per assistere alle esibizioni dal vivo, per ascoltarla in streaming o comprare un disco. Molti anni addietro, nel celebre programma televisivo American Bandstand, il presentatore Dick Clark chiese a Sam Cooke perché verso la fine degli anni Cinquanta fosse passato dal gospel al pop. Il cantante sorrise e rispose con franchezza: «Per ragioni economiche». In tempi recentissimi, Paul McCartney ha spiegato a Howard Stern che l’intento dei Beatles non era quello di fare una rivoluzione: «Eravamo solo ragazzini di un quartiere povero di Liverpool che volevano mettere insieme un po’ di soldi». Anche se i musicisti non traggono la propria motivazione da questo genere di incentivi, le forze economiche sono artefici silenziose di successi e fallimenti. Nel suo libro In Praise of Commercial Culture, Tyler Cowen afferma che «gli effetti economici influiscono sulla cultura molto più di quanto comunemente si creda. La tipografia ha spianato la strada alla musica classica, mentre l’elettricità ha reso possibile il rock and roll. Nel bene o nel male, gli artisti sono soggetti a vincoli di natura economica».2
Per comprendere e apprezzare veramente la musica, è necessario comprendere l’economia. Per esempio, avrete notato che sono sempre di più, oggi, le canzoni che prevedono un featuring, una collaborazione tra artisti, dove spesso una mega star è affiancata da altri musicisti che cercano di emergere o fare breccia presso un nuovo pubblico. Despacito, la canzone più trasmessa in streaming nel 2017, è un ottimo esempio di questo fenomeno: il remix del brano di Luis Fonsi, eseguito con Daddy Yankee, vanta la partecipazione di Justin Bieber. Se ascoltate con attenzione canzoni alle quali partecipano altri cantanti, noterete che in genere la star appare all’inizio, entro i primi trenta secondi. È logico, perché i servizi di streaming pagano royalties solo in caso di musica trasmessa per almeno trenta secondi. In altre parole, gli incentivi derivanti dallo streaming influenzano direttamente il modo in cui le canzoni vengono scritte, composte ed eseguite.
Un attento studio economico dell’industria musicale può fare luce sulla direzione che sta prendendo la musica e perché. La musica e l’industria musicale cambieranno nel tempo ma è possibile applicare un piccolo numero di indicazioni economiche senza tempo per comprendere questo ambito man mano che vengono creati nuovi generi e nuove app. Cosa più importante, comprendere l’economia dell’industria musicale può fornire intuizioni su come le forze economiche influenzano la nostra vita quotidiana, il lavoro e la società in una miriade di modi.

Le «sette note» dell’economia rock

Sotto diversi aspetti, l’industria musicale è un laboratorio ideale per osservare l’economia. Dall’avvento del grammofono e del fonografo allo streaming on demand, la musica è da sempre un osservatorio privilegiato delle perturbazioni introdotte dai cambiamenti tecnologici. In fatto di innovazioni, la musica fa la parte del canarino nella miniera. La distruzione creativa nella musica avviene in tempo reale. La digitalizzazione ha cambiato il modo in cui la musica viene prodotta, promossa, distribuita, scoperta e fruita. Musicisti, etichette, emittenti radiofoniche, produttori di device e fan, tutti rispondono in vario modo ai sempre nuovi stimoli economici insiti nell’industria discografica. Le attività economiche in svariati ambiti possono imparare dall’industria musicale lezioni essenziali sulla sopravvivenza e sul successo. I fan, riflettendo sull’economia della musica, possono imparare in che modo i fattori economici impattano sulle loro vite.
Sette lezioni economiche fondamentali, simili ai sette gradi di una scala musicale, hanno costituito lo sfondo del mio viaggio dietro le quinte dell’industria musicale. Queste sette lezioni costituiscono l’ossatura del presente volume.
DOMANDA, OFFERTA E ALL THAT JAZZ. Le forze della domanda e dell’offerta sono protagoniste nell’industria musicale, così come nel resto dell’economia. La limitata disponibilità di biglietti per un concerto dei Rolling Stones, per esempio, a fronte della fortissima domanda dei fan di vedere Jagger e soci dal vivo, fa schizzare il prezzo dei biglietti alle stelle. Ma altri fattori – a cui mi riferisco con «all that jazz» – hanno un’importanza altrettanto profonda. Per esempio, molti musicisti temono che i fan possano considerarli troppo esosi, e per questo motivo scelgono di vendere i biglietti dei loro concerti a un prezzo minore di quello che stabilirebbe la legge della domanda e dell’offerta. Questa preoccupazione per l’equità è la ragione principale dell’esistenza di un grosso e costante fenomeno di secondary ticketing (bagarinaggio). È impossibile comprendere i mercati o l’economia senza riconoscere quando e come l’insieme di emozioni, psicologia e relazioni sociali interferiscono con le mani invisibili di domanda e offerta.
FORZA DEI NUMERI E INSOSTITUIBILITÀ: I DUE INGREDIENTI CHE CREANO LE SUPERSTAR. La musica è l’esempio per antonomasia di un mercato delle superstar, con un piccolo numero di ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione. di Tito Boeri
  4. Economia rock
  5. 1. Preludio
  6. 2. Segui i soldi: l’economia della musica
  7. 3. L’offerta di musicisti
  8. 4. L’economia delle superstar
  9. 5. Il potere della fortuna
  10. 6. The show must go on: l’economia della musica live
  11. 7. Truffe e imbrogli nel mondo della musica
  12. 8. Lo streaming sta cambiando tutto
  13. 9. Blurred lines: la proprietà intellettuale in un mondo digitale
  14. 10. Il mercato globale della musica
  15. 11. Musica e benessere
  16. Appendice. Valutazione del Pollstar Boxoffice Database
  17. Ringraziamenti
  18. Note
  19. Copyright