L’Italia non è più l’Italia, ormai da troppi anni.
Un tempo aveva un ruolo importante nel Mediterraneo ed era infatti un Paese alleato degli Stati Uniti.
Oggi non lo è più.
Dato il legame di ferro tra l’Italia e gli Stati Uniti, ribadito nell’incontro alla Casa Bianca tra Conte e Trump, il 30 luglio 2018, quest’affermazione può apparire paradossale e dev’essere chiarita.
Nel blocco occidentale, esistono due tipi di Paesi: i Paesi “alleati” degli Stati Uniti e i Paesi “asserviti” agli Stati Uniti. I primi sono Francia e Inghilterra. Per essere alleati degli Stati Uniti occorre poter sviluppare una politica autonoma rispetto alla Casa Bianca. Gli alleati degli Stati Uniti sono nella condizione di opporsi alle richieste dei presidenti americani. Soltanto gli alleati possono dire no. Jacques Chirac disse agli americani di essere contrario all’invasione dell’Iraq di Saddam Hussein e, infatti, Bush evitò di chiedere l’autorizzazione al Consiglio di sicurezza dell’Onu perché sapeva che avrebbe ottenuto il voto contrario dei francesi, oltre a quello dei russi e dei cinesi.
La Francia e l’Inghilterra sono alleati degli Stati Uniti perché presentano cinque caratteristiche fondamentali: posseggono la bomba atomica; hanno un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, dove possono paralizzare qualunque decisione della comunità internazionale grazie al potere di veto; possono mobilitare una grande quantità di risorse in caso di guerra, perché sono ricchi e con ampie propaggini coloniali; hanno una popolazione numerosa e, quindi, possono inviare molti uomini al fronte; hanno un territorio esteso. Tuttavia, si può essere alleati e non asserviti agli Stati Uniti senza avere nessuna di queste caratteristiche. È però necessario avere almeno un’“arma politica” per opporsi agli Stati Uniti in caso di necessità.
Anche la Turchia, come l’Inghilterra e la Francia, è un Paese alleato degli Stati Uniti, perché dispone di un buon numero di armi politiche nel proprio arsenale. In primo luogo, se passasse dalla parte della Russia, infliggerebbe un danno enorme a tutto il blocco occidentale. Membro della Nato dal 1952, la Turchia ospita, nella base aerea di Incirlik, una grande quantità di bombe atomiche americane e conosce segreti strategici della massima importanza. Il fatto che possa dire no agli Stati Uniti è davanti agli occhi di tutti.
Durante la guerra civile siriana, Trump aveva deciso di creare una sorta di Stato curdo nel Nord della Siria, al confine con la Turchia. Una volta portata a termine una simile impresa, i curdi avrebbero consentito agli americani di aprire una base militare sul proprio territorio, proprio come fa il Qatar con la base Al Udeid, a sud-ovest di Doha. Gli Stati Uniti si sarebbero impossessati di una porzione della Siria, un Paese infeudato alla Russia, avanzando ulteriormente in Medio Oriente a spese di Putin. Erdoğan, che considera i curdi un pericolo mortale per la sicurezza dello Stato turco e l’integrità del suo territorio, si è opposto al progetto di Trump e ha bombardato i curdi per scacciarli. La città siriana di Manbij, nel governatorato di Aleppo, è diventata il fulcro di tutte le tensioni. Vi è stato infatti un momento in cui la stampa americana aveva paventato la possibilità che i turchi, per bombardare i curdi, avrebbero messo a repentaglio i soldati americani provocando la loro reazione. Per evitare un conflitto militare con la Turchia, Trump si è piegato a Erdoğan. In una telefonata del 14 dicembre 2018, Erdoğan ha ribadito, per l’ennesima volta, che non avrebbe mai consentito agli americani di creare un’entità curda al confine con la Turchia. Trump gli ha risposto: «Sai che cosa c’è di nuovo? La Siria è tutta tua». Con queste parole, riportate in un servizio di Jeremy Diamond ed Elise Labott per la CNN, Trump ha annunciato la decisione di ritirare dalla Siria i soldati americani, i quali fornivano protezione ai miliziani curdi dalla minaccia turca. I media americani hanno formulato la questione in termini molto chiari: «Trump ha abbandonato i curdi nelle mani di Erdoğan». Il che equivale a dire che il presidente degli Stati Uniti si è piegato al presidente della Turchia, al punto che il segretario alla Difesa americano, Jim Mattis, ha rassegnato le dimissioni in segno di protesta, il 20 dicembre 2018. A suo dire, Trump non dovrebbe abbandonare i curdi, dopo che questi si sono sacrificati nella lotta contro l’Isis.
Tra i fatti più recenti, bisogna segnalare che la Turchia ha deciso di comprare il sistema di difesa missilistico S-400 dalla Russia, rifiutando la proposta di Trump di rivolgersi al mercato americano. Erdoğan ha ribadito la propria decisione sabato 16 febbraio 2019, annunciando che l’acquisto, molto gradito a Putin per ragioni politiche oltre che economiche, avverrà nel mese di luglio.
Il confronto tra Turchia e Italia ci aiuta a comprendere meglio la differenza tra un Paese alleato e un Paese asservito.
Durante gli anni della Guerra fredda, l’Italia era un Paese alleato degli Stati Uniti, come dimostra la crisi di Sigonella. Nella notte tra il 10 e l’11 ottobre 1985, i Carabinieri circondarono i soldati americani che cercavano di arrestare un commando di terroristi atterrato in territorio italiano dopo aver ucciso Leon Klinghoffer, un cittadino americano ebreo e paraplegico, su una nave da crociera, l’Achille Lauro, presa d’assalto in nome della causa palestinese. Craxi, allora presidente del Consiglio, disse che la sovranità dell’Italia era inviolabile. Ai Carabinieri fu dato l’ordine implicito di sparare sui soldati americani, se le circostanze lo avessero reso necessario. Spettava soltanto alle autorità italiane di prendere in consegna i terroristi. In Italia comandano gli italiani. Craxi ribadiva il principio di ogni alleanza basato sul rispetto reciproco della sovranità nazionale. Lo stesso ammonimento si trova nella lettera di Erdoğan pubblicata sul «New York Times» il 10 agosto 2018, in cui è scritto che gli Stati Uniti devono rispettare la Turchia, altrimenti la loro alleanza rischia di rompersi.1 Erdoğan può porsi con tanta determinazione verso Trump perché la Turchia occupa una posizione geostrategica molto importante tra l’Europa e il Medio Oriente. Ha inoltre il secondo esercito più grande della Nato dopo gli Stati Uniti, una popolazione numerosa e un alto tasso di crescita economica.
L’Italia, nell’ottobre 1985, aveva una dignità politica simile a quella che attualmente ha la Turchia.
Oggi non più.
L’Italia si è infatti trasformata da Paese alleato degli Stati Uniti a Paese asservito, a causa della sua perdita d’influenza nell’arena internazionale. Nel 1985, l’Italia, oltre ad avere un’economia vitale, era anche uno dei Paesi più importanti del blocco occidentale per il suo ruolo strategico nel Mediterraneo.
Gli Stati Uniti avevano avviato un piano in seno alla Nato, denominato nuclear sharing, ovvero «condivisione nucleare». Il piano coinvolgeva Turchia, Germania, Belgio, Olanda e Italia, che avevano accettato di ospitare sul proprio territorio bombe atomiche americane controllate da personale americano. L’Italia ospitava anche un gran numero di soldati americani. La Casa Bianca aveva una comprensibile considerazione per l’Italia, che non poteva dare per scontata, essendo costretta a vivere nel timore che i comunisti potessero conquistare il governo di Roma. L’Italia aveva infatti il più grande partito comunista filosovietico dell’Europa occidentale. Sono poi emersi sei fatti fondamentali che hanno contribuito all’arretramento dell’Italia sul piano internazionale.
Il primo fatto è stato il crollo del muro di Berlino e la fine della Guerra fredda. L’Italia aveva un ruolo importante fino a quando esisteva la possibilità di un terribile scontro militare tra l’Unione Sovietica e i Paesi Nato. Tramontata tale possibilità, sono venute meno le condizioni di base dell’importanza geopolitica dell’Italia. Per di più, terminata la Guerra fredda, gli Stati Uniti hanno avviato una serie di “guerre calde”, tra cui l’intervento della Nato contro la Serbia nel 1999, la guerra in Afghanistan del 2001, quella in Iraq del 2003 e quella contro Gheddafi del 2011, a cui si aggiunge la guerra costante contro il terrorismo. La politica internazionale è diventata sempre più un fatto di bombardamenti, a cui l’Italia non può partecipare.
Il secondo fatto è stato il declino economico che ha spinto l’Italia a ripiegarsi sempre più su se stessa. I partiti sono stati molto più assorbiti dalle vicende della politica interna che dalle questioni della politica estera. Questo ripiegamento è stato aggravato dall’instabilità dei governi e dalle numerose contese elettorali che hanno dato inizio a una campagna elettorale permanente. Come abbiamo visto, ai fini del voto in cabina elettorale, i problemi della vita quotidiana sono più urgenti rispetto ai problemi della vita internazionale. I primi sono problemi “vicini”; i secondi sono problemi “lontani”.
Il terzo fatto è stata la scelta delle classi politiche italiane di non investire adeguatamente nella Difesa. L’Italia dovrebbe spendere almeno il 2% del Pil, ma la sua quota si aggira intorno all’1%. Siccome l’arena internazionale è una giungla dominata dalla legge del più forte, essere deboli accresce le probabilità di essere dominati e riduce quelle di essere dominanti.
Il quarto fatto è la Costituzione pacifista, che impedisce all’Italia di partecipare alle guerre per risolvere le controversie internazionali. Negli anni della Guerra fredda, l’Italia aveva un ruolo strategico preminente, sebbene “difensivo”. Se l’esercito sovietico avesse sfondato le linee occidentali per invadere l’Europa, l’Italia avrebbe dovuto rispettare l’articolo 5 del trattato istitutivo della Nato, il quale prevede l’obbligo di mobilitarsi in difesa di un Paese membro in caso di aggressione. Pacifismo o non pacifismo, la Democrazia cristiana avrebbe dovuto guidare l’Italia in una guerra.
Il quinto fatto è la legge del 9 luglio 1990 numero 185, che impedisce all’Italia di vendere armi ai Paesi in stato di conflitto armato, divieto che riduce molto il suo peso internazionale. I Paesi che armano i conflitti hanno maggiore voce in capitolo sul modo in cui vengono risolte le dispute, che cercano di indirizzare in una direzione a loro favorevole. Nella guerra civile siriana, scoppiata nel marzo 2011, si erano costituiti due blocchi di potenze. Da una parte, Stati Uniti, Turchia, Qatar e Arabia Saudita, che armavano i ribelli siriani per rovesciare Bashar al-Assad; dall’altra, Russia, Iran e milizie sciite di Hezbollah, che difendevano Assad. L’Italia non ha avuto alcun ruolo in quel conflitto perché non vendeva armi a nessuna fazione in lotta.
Il sesto fatto è l’alleanza sempre più stretta tra Francia e Germania, suggellata dal trattato di Aquisgrana firmato da Emmanuel Macron e Angela Merkel il 22 gennaio 2019. Macron si è impegnato ad aiutare la Germania a ottenere un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il fatto che l’Europa sia guidata da Francia e Germania accresce e rende ancor più evidente la debolezza dell’Italia che, sotto il governo Conte, è costretta a cercare un’alleanza con un Paese piccolo e marginale come l’Ungheria di Viktor Orbán; questo accade perché i Paesi che contano molto non ritengono di poter trarre benefici particolari da un’alleanza con l’Italia. In un’alleanza con la Germania, l’Italia avrebbe molto da chiedere e poco da dare.
Riassumendo per punti, l’Italia ha perso peso strategico perché: 1) è scomparso il pericolo sovietico; 2) è afflitta dal declino economico; 3) investe relativamente poco nell’esercito; 4) ha una Costituzione pacifista che le impedisce di partecipare alle guerre; 5) non può vendere armi ai Paesi in guerra; 6) è indebolita dall’alleanza tra Francia e Germania.
Queste sono le ragioni principali per cui l’Italia è passata dalla condizione di Paese alleato degli Stati Uniti a quella di Paese asservito.
I fatti che dimostrano l’asservimento dell’Italia agli Stati Uniti sono molti.
Mi limiterò a segnalarne quattro. Anche in questo caso, cercherò di semplificare la complessità procedendo per punti.
Il primo fatto riguarda il rapimento dell’imam Abu Omar, che rappresenta uno dei casi più documentati di azione illegale condotta dai servizi segreti americani in un Paese straniero. Abu Omar fu rapito a Milano il 17 febbraio 2003 da dieci agenti della Cia. L’imam fu portato nella base aerea di Aviano e poi condotto in Egitto, dove fu torturato con l’accusa di essere legato al fondamentalismo islamico. Dalle sentenze della magistratura milanese, emerge che i vertici dei servizi segreti italiani erano informati e coinvolti nell’operazione della Cia. Nel dicembre 2010, la Corte d’appello di Milano ha stabilito un risarcimento di un milione di euro per Abu Omar e di 500 mila euro per la moglie a carico di ben 23 agenti della Cia, tutti cittadini americani. I vari governi italiani hanno sempre cercato di fornire protezione agli agenti americani, ricorrendo persino al segreto di Stato che ha ostacolato le indagini della magistratura.
Il secondo fatto riguarda la reazione del governo Conte all’annuncio di Trump di voler ritirare i soldati americani dall’Afghanistan, dove gli Stati Uniti combattono la guerra più lunga della loro storia. Trump ha dichiarato di voler ritirare 7000 soldati su un totale di 14 mila e ha avviato trattative dirette con i talebani per trovare un accordo di pace. Il ministro della Difesa Trenta ha dichiarato che, all’eventuale ritiro dei soldati americani, seguirebbe anche il ritiro dei soldati italiani. Questo modo di procedere mostra chiaramente quanto l’Italia sia asservita agli Stati Uniti. L’Italia non ha interessi nazionali importanti da difendere in Afghanistan. La presenza dei suoi soldati in quel Paese serve a compiacere la Casa Bianca che, grazie agli italiani, ha potuto ridurre il numero dei soldati americani necessari a esercitare il controllo su quel Paese.
Il terzo fatto è la decisione dell’Italia di aderire alle sanzioni americane contro la Russia e l’Iran, nonostante i danni che procurano alla sua economia. L’Italia è il Paese dell’Unione europea con cui la Russia e l’Iran hanno i rapporti migliori. Eppure, è pronta a danneggiare questo patrimonio per assecondare le decisioni degli Stati Uniti. Trump ha rimproverato quei Paesi della Nato, tra cui l’Italia, che non raggiungono la soglia del 2% del Pil per finanziare il settore della Difesa. Tali Paesi sono stati definiti “scrocconi”, i quali approfittano degli americani costretti a spendere al posto loro. L’Italia, proprio per la sua sudditanza verso gli Stati Uniti, non ha ricordato a Trump le spese che deve assumersi per le missioni di pace con cui contribuisce a ridurre i costi della Casa Bianca nel periodo dell’occupazione militare. Occorre infatti ricordare che l’Italia ha anche un contingente in Iraq, Paese devastato dagli Stati Uniti con la guerra del 2003 contro Saddam Hussein.
Il quarto fatto è la Libia. Il governo Conte chiede continuamente agli Stati Uniti di appoggiare il governo di Tripoli perché non riesce a difenderlo con le proprie forze. Mentre scrivo, Tripoli è sotto assedio e gli Stati Uniti non si sono impegnati per difenderla. L’importanza della Libia per l’Italia impone un approfondimen...