CANZONETTE
RITA PAVONE chiamata a comparire davanti al Giudice Istruttore. Questo, ahimè!, non perché finalmente la Giustizia si sia decisa a costringere la giovinetta a rendere conto del suo modo di cantare.
La vispa ragazzina deve semplicemente riferire su quanto sa a proposito del diciannovenne Giancarlo Vandelli di Cremona che, follemente innamorato della Pavone, era fuggito da casa seguendola fino a Genova dove, in particolari circostanze, egli aveva poi ucciso a coltellate una mondana.
Noi abbiamo grande rispetto per l’indipendenza della Magistratura e, quindi, per quanto riguarda l’assassinio della mondana, ci limitiamo a esprimere la nostra certezza che la condanna sarà quella giusta.
Non possiamo però esimerci dall’augurarci che la Magistratura infligga al Vandelli anche una severissima condanna per essersi egli innamorato follemente della giovane schiamazzatrice.
A questo proposito siamo qui tratti a fare un discorso che nulla ha a che vedere col delittuoso episodio di cui più sopra. Avete notato come, da un po’ di tempo, la levatura dei divi della canzone vada continuamente peggiorando?
Ragionando serenamente, dovremo ammettere che Rabagliati, Claudio Villa, Nilla Pizzi, Natalino Otto, Flo Sandon’s, i quattro Cetra, Carla Boni, Gino Latilla, Johnny Dorelli, Milva eccetera, sono degli autentici “colossi”, degli esseri di statura quasi soprannaturale al confronto di una Rita Pavone, di un Gianni Morandi, di una Coki Mazzetti et similia.
Il fenomeno che, per usare una espressione dialettale non sostituibile con “sbracamento”, chiameremo di “invaccamento” si è andato verificando e ingigantendo con l’avvento e la terrificante diffusione della TV e del juke box.
Un pubblico enorme di ragazzine mocciose, di giovinettastre semisquillo, di ragazzacci senza creanza, di giovinastri, di teppisti e teppistelli, l’enorme pubblico, insomma, che non è quello già civile e rispettabile del loggione, ma che potremmo definire del “sottologgione”, quell’immenso pubblico che, prima non aveva nessuna voce in capitolo, oggi è in grado d’imporre i suoi gusti.
Questo pubblico di cafoncelle e cafoncelli può creare e imporre i suoi divi alla RAI-TV, col sacrificio di pochissime lire, attraverso cartoline sgrammaticate e bisunte ma efficacissime. Può imporre i suoi gusti alle case editrici musicali, vuoi direttamente, attraverso le richieste alle orchestrine delle balere, vuoi indirettamente, attraverso il gettonamento dei juke box.
Il miracolo industriale e il boom economico che ha portato lo stipendio delle domestiche alle centomila mensili (più vitto), ha posto il giradischi e il disco alla portata anche delle borse striminzite dei ragazzacci e la spietata pubblicità ha aggravato il male inducendo riviste, giornali e fabbriche di brodi sintetici a regalare ai clienti, in luogo dei soliti piatti e bicchieri, dischi e giradischi.
E così, oggi, è la canaglia che, nel campo della musica leggera, impone il suo gusto. La canaglia (e intendiamo togliere alla parola ogni virile e onorevole significato barricadiero) crea nel campo della musica leggera i suoi divi e li impone: tutto questo, agendo sotto l’impulso di una istintiva furberia.
Perché, quando i divi della canzone sono espressi e creati dalla canaglia, ogni membro della canaglia può aspirare a diventare un divo.
“Gettonando” Rita Pavone, Gianni Morandi e mercanzia del genere, comprando i loro dischi o richiedendo alla RAI-TV le loro canzoni, ogni cafoncella o cafoncello aumentano le possibilità di diventare pur essi schiamazzatori di successo e di guadagnare milioni a centinaia.
IL «NO» DI SCELBA
L’onorevole Scelba, con chiarezza e vigore, ha detto a Moro ciò che egli e gli altri esponenti del centrismo democristiano pensano del nuovo Governo di sinistra e della sua ambigua posizione nei riguardi del comunismo.
Ma, dalle colonne dell’«Osservatore Romano», l’ex onorevole Giovanni Manzini ha rivolto a Scelba e compagni un solenne monito. Siccome, egli è venuto a dire, la salvezza dell’Italia risiede unicamente nella saldezza della Democrazia cristiana, sarebbe delitto, sacrilegio addirittura, mettere in pericolo l’unità della DC provocando una scissione. Il discorso di Manzini è giustissimo, anche se dissentiamo in qualche particolare.
Se, infatti, è cosa sicura che la scissione della DC porterebbe all’isolamento dei Fanfani, dei Moro, dei Donat-Cattin, dei Pastore, dei La Pira, dei Sullo e di tutti gli altri comunisti bianchi, e, in compenso porterebbe alla formazione di un forte partito cattolico, bisogna tener presente che, oggi, un forte partito che si proclamasse cattolico e agisse di conseguenza avrebbe contro di sé gli autorevoli esponenti del Clero di sinistra che, preso da sincero fervore aperturista, non esiterebbe a trattare i cattolici, mutatis mutandis, come la DC ha trattato il suo elettorato di destra e di centro che le aveva affidato anzitutto una funzione antimarxista, e ora la vede trescare coi marxisti e portarli al Governo.
Il mondo va verso sinistra e, presto, dire «io sono cattolico» desterà sospetto come chi oggi dice «sono anticomunista».
Qualificarsi «cattolici» o «anticomunisti» oppure (Dio ne guardi!) «cattolici» e «anticomunisti» sarà presto dare prova di intransigenza e faziosità.
Temporibus illis non ci siamo stupiti leggendo le accorate proteste di gente che, avendo dichiarato al confessore di votare per i liberali, i missini o i monarchici, s’era vista negare l’assoluzione.
Non ci meraviglieremo, quindi, allorché qualche lettore ci informerà di non aver ottenuta l’assoluzione per avere ammesso col confessore d’essere rimasto anticomunista.
Tornando a Scelba, diremo che – come tutti sanno – dopo aver spianato contro il fedifrago Moro il fucilone per fulminarlo con un tremendo «No!», per disciplina di partito, carità di Patria e di religione, s’è accontentato di sparare a salve un flebile «Nì»: ma ha raggiunto il suo scopo. Ha, infatti, precisata la sua posizione di intransigente rappresentante del centrismo. E questa assicurazione, attraverso i voti preferenziali a Scelba e agli scelbiani, procurerà alla DC, anche nelle prossime elezioni, i voti dei soliti cretini di centro e di destra.
IL PCI MARCIA SU ROMA E SU BERNA
I comunisti sono tenaci. Dopo aver sfruttato, fino all’ultimo cadavere, la immane tragedia del Vajont, adesso passano a sfruttare, ai fini della solita speculazione politica, i superstiti.
E, così, riempiti due pullman di donne di Longarone e di Erto, hanno organizzato una auto-marcia su Roma che «più che una manifestazione politica è una rivolta contro la disperazione, la rabbiosa volontà di non farsi dimenticare da chi comanda e dall’intero Paese».
Così afferma «l’Unità» aggiungendo che fra le donne di Erto c’è pure l’ostetrica la quale, essendo «colta, intelligente e profondamente religiosa», si è iscritta al PCI.
La stessa «Unità», occupandosi del disumano trattamento cui sono sottoposti, da parte delle autorità svizzere, i nostri emigranti, narra un episodio raccapricciante che riportiamo testualmente.
«Tutti i mezzi, del resto, sono buoni per la polizia. Quando le indagini “riservate” non danno i frutti sperati, gli agenti ricorrono ad altri sistemi. Siccome la maggior parte delle riunioni a carattere sindacale o delle riunioni delle organizzazioni che gli emigranti hanno costituito debbono essere tenute nelle salette dei locali pubblici (ogni birreria in Svizzera noleggia apposite sale per questi incontri) la polizia sfrutta gli ultimi ritrovati della tecnica per cercare di carpire informazioni. Una volta, anni fa, un gruppo di comunisti svizzeri scoprì un poliziotto rinchiuso nell’armadio di una sala in cui doveva svolgersi un incontro…»
Se per i comunisti svizzeri la Confederazione Elvetica ha nascosto nell’armadio un poliziotto, quanti ne nasconderà trattandosi di comunisti italiani? Questa domanda ci viene istintiva e ci fa rabbrividire.
Ad ogni modo i comunist...