Le nuvole sembrano annunciare tempesta e l’aria è umida e soffocante. Mi lego lo scialle attorno alla vita e resto a braccia nude. Sento addosso lo sguardo della gente; anch’io sto cominciando a vedermi come mi vedono loro. Non mi sono mai creduta bella, ma qui mi sento un’aberrazione. Non possono leggermi, non come accadeva a casa, ma mi sento nuda lo stesso. Non avevo mai pensato che i miei tatuaggi avrebbero potuto rivelare i miei segreti a degli estranei, che le persone sbagliate avrebbero potuto sapere la verità su di me.
Ruth mi ha detto di provare a integrarmi nella comunità svolgendo piccoli lavori. Per un po’ coltivo la speranza che questo mi aiuti a scoprire qualcosa di utile per Longsight, ma la settimana scorre tra incarichi elementari e noia. Seguo Gull dappertutto e lavoro al suo fianco. Andiamo ovunque ci sia bisogno: costruiamo una staccionata e la imbianchiamo, zappiamo l’orto e portiamo le poche, piccole patate che estraiamo al magazzino centrale, dove tutto ha una sezione apposita. Prepariamo il pane, e prendendo una tazza di farina mi accorgo di quanto poca ne sia rimasta nel sacco.
«Presto ne servirà dell’altra» dico a Gull, ma lei si limita a fissarmi.
Ogni giorno la gente fa la fila al banco delle verdure per ritirare la propria razione di cibo. Noi riceviamo meno verdure degli altri e nessun frutto, e quel che ci viene dato non è freschissimo.
«Qualcosa non va» dice la donna al banco. «La terra è arida quanto il cuore di qualcuno. Siamo stati giudicati per i nostri errori. O forse siamo stati maledetti.» E mi punta gli occhi addosso. Gull mi prende gentilmente per un braccio e mi guida lontano.
Passo tutto il tempo ad ascoltare, nel disperato tentativo di scoprire qualcosa, qualunque cosa, da poter riportare a Longsight. In fondo voglio solo trovare un motivo per continuare a diffidare di queste persone, qualcosa che giustifichi quegli anni di paura. Informazioni che facciano assomigliare quello che farò meno a un tradimento. Sono una cittadina di Saintstone: non dovrei vacillare per così poco.
Un giorno aiutiamo Tanya alla clinica del paese. La povertà delle risorse a sua disposizione mi lascia senza parole; è tutto così arretrato rispetto a casa. Niente vaccini, né antidolorifici, né dispositivi adeguati per la sterilizzazione. È gestito da volontari ma dubito che qualcuno abbia avuto una formazione professionale. Arriva un bambino con la tosse, guance rosse e occhi lucidi di febbre, e vedo la paura negli occhi di suo padre e la preoccupazione sul volto della guaritrice. Vorrei dire “è solo un po’ di tosse”, ma mi fermo in tempo. A Featherstone un virus può costare la vita.
Per forza Gull non ha tempo da dedicare alle sue ambizioni o al sogno di un lavoro ideale. Sono tutti troppo impegnati a lottare per sopravvivere.
Qualche giorno dopo non abbiamo nulla per colazione.
Una mattina, ancora mezza addormentata e con lo stomaco dolorante per la fame, mi sto mettendo gli stivali sulla soglia di casa, quando caccio un urlo: qualcosa mi ha punto la pianta del piede. Tolgo lo stivale e ci infilo una mano; dentro c’è una piccola, appuntita pietra bianca. Quando lo scuoto, dallo stivale esce anche un foglietto di carta che nascondo nel palmo prima che qualcuno possa vederlo.
«Tutto bene?» chiede Gull bevendo l’ultimo sorso d’acqua prima di raggiungermi alla porta.
«Sì, avevo un sassolino nello stivale.» Sorrido. Stringo il foglietto nella mano, poi me lo infilo in tasca di nascosto, aspettando di avere un momento da sola per poterlo leggere. E allora capisco: è stato messo lì da qualcuno di Featherstone. Qualcuno sa perché mi trovo qui.
Lunedì. Aspetta che sia completamente buio.
Accanto al fienile blu troverai una lanterna.
Segui le pietre.
Lunedì. Significa che ho due giorni, solo due giorni per scovare qualcosa. Due giorni per trovare le prove che vuole Longsight e per salvare le persone che amo.
Due giorni, poi tradirò gli intonsi.
«Quando mi parlerai di mia madre?» Oggi Ruth mi sta facendo raccogliere l’acqua dal pozzo. (È lunedì, Il giorno, e non è ancora successo nulla.) È un lavoro pesante ma anche l’unica risorsa su cui la gente può contare. Il pozzo, che chiamano il pozzo di Belia, è solo a una breve camminata dall’insediamento principale del paese.
Lascio cadere il secchio e ne sento il tonfo distante sull’acqua. Mi chiedo se è lo stesso pozzo dove il Santo ha incontrato la Strega Bianca. Nella storia, nella nostra storia, il Santo oltrepassa il confine, lasciandosi alle spalle la sicurezza della comunità dei marchiati e incontra la strega e gli intonsi che spera di poter salvare. In quella storia lui è così gentile, e la strega… oh, lei è talmente crudele. Piena di falsità e doppiezza. Ma neppure lo scuoiamento ha potuto fermare il nostro Santo.
Sono stanca, affamata e frustrata. Non ho scoperto nient’altro da raccontare a Longsight. Non ho nulla con cui sfamare la sua brama di informazioni.
Ruth è seduta su una grande pietra squadrata; ha gli occhi chiusi e il viso lentigginoso rivolto verso il sole. Continuo a dimenticarmi di chiedere di queste pietre; le avevo già notate lungo il mio cammino verso Featherstone. Ce n’è un gran mucchio proprio qui accanto: la pietra chiara spunta tra i licheni e il muschio, sembrano rovine di un vecchio edificio. Oggi però non mi interessano le pietre, voglio sapere di mia madre.
«Te ne parlerò quando sarà il momento» risponde Ruth con voce roca. Pare raffreddata.
«Potrei anche chiedere a qualcun altro» rispondo. Isso il secchio in superficie e mentre tiro la corda sento i palmi delle mani bruciare. «Chiederò a Tanya.» La pazienza non è mai stata uno dei miei punti forti ma con il sole sulla testa, le spalle doloranti e lo stomaco vuoto, oggi sono decisamente irritata. Stanotte devo incontrare il mio contatto, chiunque sia, e non ho nulla di interessante da raccontargli. Non mi scuso quando, sollevando il secchio oltre il bordo del pozzo, schizzo d’acqua Ruth.
«No, aspetterai» dice lei, sfregando via l’acqua dal braccio. Ha ragione, attenderò anche se non mi fa piacere, perché a quanto sembra nessuno ne sa quanto lei.
Afferro i secchi e mi dirigo verso il centro del paese. Ruth si ferma per tossire e prendere fiato, ma non mi fermo ad aspettarla.
Sto riponendo i secchi vuoti in magazzino quando sento un rumore di passi e la porta aprirsi. Mi nascondo nell’ombra dietro a un carretto rotto; oggi non ho la forza di fronteggiare l’inospitale freddezza di altri intonsi.
«Non ce la faccio a continuare così» dice piano una voce rude. È Fenn. «Siamo qui in attesa come topi in trappola, e ci stanno affamando… se solo potessi fare qualcosa.»
«Il nostro momento arriverà.» La luce fioca che proviene dalla finestra illumina il volto di Justus. «Dobbiamo aspettare…»
«Sono stufo di aspettare!» Fenn lancia la vanga metallica che ha con sé sul pavimento, dove si schianta con un gran clangore.
Sospira e si siede su un baule di legno. Justus afferra uno sgabello e gli si mette accanto.
«So che non ne puoi più, ma non possiamo affrettare le cose» dice, poi inclina il capo e gli rivolge un sorrisetto. «Gli incursori stanno facendo tutto il possibile, e abbiamo lo stesso obiettivo. Il nostro momento arriverà.»
«Lo dici da mesi… da anni.» Fenn appoggia la fronte sui pugni chiusi. «Ci sono giorni in cui vorrei solo prendere una torcia dal fuoco e andare a incendiare Saintstone fino alle fondamenta.»
Deglutisco, e mi sembra di fare talmente rumore che mi stupisco non si girino e mi scoprano.
«Lo so, ragazzo mio» dice Justus. «A dir la verità… Be’, sappi che non sei l’unico a sentirti così. Anche Sana e i suoi incursori sono impazienti. Quest’ultima spedizione potrebbe riservare qualche sorpresa alla brava gente di Saintstone.»
«Cosa vuoi dire?» Fenn corruga le sopracciglia. «Credevo che andassero solo a procurare le provviste. E che avrebbero cercato di entrare nell’ospedale.»
Justus annuisce, sornione.
«L’ospedale?» Posso sentire l’eccitazione nella voce di Fenn. «Vuoi dire che intendono attaccarlo?»
«Questo non posso dirlo» risponde Justus facendomi impazzire, «sai che non posso. Ma si sono portati dell’esplosivo. E ora basta, dobbiamo stare attenti. Ma puoi essere certo che sta per arrivare un nuovo inizio per noi.»
«Questo cambia tutto» dice Fenn, e nella sua voce percepisco ancora l’eccitazione. Non sento altro perché le parole sono coperte dal rumore degli attrezzi che stanno rimettendo a posto, ma quanto ho origliato basta per farmi rabbrividire d’orrore: un attacco pianificato a Saintstone, e fra tutti i luoghi possibili proprio all’ospedale!
Fenn ha ragione: questo cambia tutto.
Non c’è pericolo che manchi l’appuntamento con l’inviato di Longsight, quella notte: non riuscirei a dormire neppure se lo volessi. Continuo a pensare a Sana, la ricognitrice con i capelli ricci e gli occhi sfuggenti e una sacca piena di esplosivo. E se facesse del male alle persone che amo? Continuo a girarmi e rigirarmi nel letto finché non è ora di uscire. Gull non si muove quando scivolo fuori dalla camera in silenzio.
Prendo un mantello da uno dei ganci accanto alla porta, e mentre supero la cucina faccio attenzione: nessuna traccia di Lago. La porta d’ingresso si chiude silenziosamente e indosso il mantello, lasciando che il grande cappuccio mi copra la maggior parte della faccia. Respiro il profumo del tessuto che mi avvolge ed è quello di Fenn. Non l’avevo notato prima, ma l’insieme di odori che associo a lui è inconfondibile: sa di ghiaccio e fumo, fango secco e corteccia bagnata, e ha il profumo dell’aria dopo un fulmine. Allaccio il bottone in alto e faccio un sorriso amaro; mi sembra sia appropriato indossare il suo mantello per andare a rivelare quello che gli ho udito dire.
Trovo la lanterna proprio come indicato sul messaggio. Una buona scelta, è un angolo nascosto alla vista delle case e dei sentieri principali.
Segui le pietre.
Tengo sollevata la lanterna e strizzo gli occhi, sforzandomi di vedere nell’oscurità. Niente.
Un attimo. Scorgo un piccolo bagliore quando la luce rimbalza su qualcosa di luminoso, a terra davanti a me. Avanzo lentamente, gli stivali morbidi fanno un suono strascicato sul terreno ruvido, poi la vedo: una pietruzza bianca come quella nello stivale, come quelle che raccoglie Gull. E pochi metri più in là ce n’è un’altra. Non so per quanto tempo cammino, forse un’ora. La luce della lanterna proietta ombre inquietanti che mi fanno sussultare.
I miei passi pesanti spaventano gli animali, e più di una volta scatto dalla paura quando una volpe o un coniglio mi compaiono davanti di colpo. Mi viene in mente che tutto questo potrebbe essere una trovata degli intonsi, uno degli intelligenti test di Ruth: sospettano che sia una spia e mi attirano nel bosco per averne l...