Quadrifogli in mezzo al prato
È una cosa che capita a tutti, no? Quando trovi una tipa con cui stai bene, ti senti come se avessi trovato un quadrifoglio. Anzi, come se tu e lei foste due quadrifogli che si sono incontrati per caso nel bel mezzo di un prato grandissimo. Ti senti fortunato, insomma, ti sembra di aver vinto alla lotteria. Io mi sono sentito così tutte le volte che il cuore mi ha fatto quel clic, quella cosa imprevista che mi metteva voglia di rivedere lei e non un’altra, di starci insieme, di mandarle messaggini. Poi il tempo passa e se ti fermi a pensarci è ovvio che non è proprio solo una questione di fortuna. Un quadrifoglio va bene, due hai un gran culo, tre ti viene qualche dubbio, quattro vuol dire che il gioco è truccato. Ci penso ogni volta che vado alla stazione di Meda, dove ferma il passante che arriva da Milano e che collega il mio paese col resto dell’hinterland. Da quella stazione ci son passate tutte le tipe con cui sono stato, quando venivano a trovarmi a casa o quando le salutavo al binario prima che andassero via. “’Sta stazione maledetta” mi dico “è piena di fantasmi e di ricordi, disseminata di quadrifogli appassiti.” Ma attenzione, non sto mica dicendo che l’amore non esiste, o che se la prima volta ti va male, allora bisogna smettere di crederci. In fondo, a chi importa se quella dei quadrifogli è una favola? Il bello è proprio lì, che anche se pensi che è una cazzata continui a crederci, e ogni volta ti dici che quella tipa è quella giusta perché hai una vibrazione positiva, la senti, e a chi prova a convincerti del contrario gli ridi in faccia. Ho pensato diverse volte di aver trovato un quadrifoglio, e non sempre ho avuto ragione, ma non me ne pento. Secondo me è come coi tatuaggi: gli sbagli puoi coprirli, ma cancellarli non sarebbe giusto, fanno parte di te, ti rendono quello che sei. Il gioco è truccato? E chi se ne frega, è un gioco bellissimo. E io non mi sono ancora stancato di giocarci.
Ho pensato tante volte di aver trovato la tipa giusta, e non sempre avevo ragione, ma non me ne pento. Secondo me è come coi tatuaggi: gli sbagli puoi coprirli, ma cancellarli non sarebbe giusto, fanno parte di te, ti rendono quello che sei.
La prima ragazza seria l’ho avuta che avevo diciannove anni. Prima non è che non ci fosse stata nessuna, ma erano tutte storielle, roba da occhiatine nel corridoio della scuola, o al massimo da “Ci vediamo all’oratorio?”. Tipe che capitavano per caso, perché magari ci passavi una serata insieme con la solita compagnia di amici e finivate a casa voi due da soli. Magari mi prendevo una cotta, chi non se n’è presa qualcuna, ma quando sei piccolo sei anche scemo e di certo non hai la testa per costruire niente, neanche se trovassi la donna migliore del mondo.
Uno dei ricordi più brutti che ho, per esempio, è quello della mia prima volta, al mare, quando avevo quindici anni. È stato orribile. Ma intendiamoci, non per colpa di lei, e nemmeno per colpa mia. La questione non era esser bravi o saperci fare, era proprio la situazione a essere sbagliata. Era come se tutti e due pensassimo di doverlo fare per forza, e il risultato è stato freddo, meccanico, costruito a tavolino. L’amore non si fa così, l’amore per me è un’altra cosa. Ma non l’ho scoperto finché non mi è scattato il primo clic, con lei, per l’appunto.
Era una ragazza tosta. L’ho conosciuta su Myspace, che all’epoca era usato un po’ come oggi si fa con Instagram, un paio di foto, qualche messaggio e, se ci si piaceva, ci si beccava per uscire. Io Myspace lo usavo soprattutto per mettere online i miei primi pezzi, ma ancora non è che mi fossi davvero fatto un nome, ero un mezzo sconosciuto. Non avevo fan, ma mi capitava comunque di provarci, se trovavo qualche tipa che mi sembrava carina. Con lei, però, devo dire che è andata un po’ diversamente. Cioè, all’inizio è stata lei a scrivermi e io non me la sono cagata, vai a sapere perché. Non avevo neanche aperto i suoi messaggi, erano tutti lì nella inbox. Un giorno, così, per noia, vado a spulciare nella posta non letta e mi ritrovo davanti lei. La sua foto profilo è una bomba: formosa, occhi azzurri, capelli chiari, roba da impazzirci. “Ma com’è che non le ho mai risposto?” ho pensato subito, sentendomi un babbo. Così, dopo tre mesi di silenzio, le ho scritto e abbiamo deciso di vederci.
Lei all’inizio faceva la timida, quella che se la tira un pochino, ma io mi sentivo sicuro, non saprei nemmeno dire bene perché – forse perché, dopo che non me l’ero cagata così a lungo, lei mi rispondeva lo stesso senza fare l’offesa. Fatto sta che lei mi parlava e io dentro di me pensavo: “Vediamo, vediamo. Ti do un’ora, poi sei mia”. Siamo usciti insieme, abbiamo parlato, l’ho baciata, ci sono andato a letto. Le mie storie, fino a quel momento, erano tutte finite lì. Invece con lei quella che doveva essere la fine è diventata un inizio. “Cazzo, ho voglia di rivederla” ho pensato. E così l’ho rivista, e ho continuato a vederla finché non ci siamo messi insieme, e poi a un certo punto ci siamo detti che stavamo così bene che lei ha preso e si è trasferita a casa mia. Io, lei e mia nonna, sotto lo stesso tetto. Perché? Boh, perché volevamo provare a convivere. Volevamo stare sempre insieme, e quella ci sembrava la soluzione perfetta. So che a dirlo sembra folle, eravamo giovanissimi e non avevamo una casa davvero nostra, in realtà nemmeno si può dire che convivessimo davvero, perché a tutte le cose pratiche – le bollette, la spesa, cucinare il pranzo – era mia nonna che ci pensava. L’unica differenza rispetto a qualsiasi altra coppia della nostra età era che potevamo vederci sempre, avevamo i vantaggi di un nido d’amore senza doverci sbattere troppo per tenerlo in ordine. Qualcuno potrebbe pensare che mia nonna non fosse d’accordo con questa idea, e invece no. È vero che nonna Adi mi lasciava sempre libero di fare quello che volevo, ma se la mia ragazza non le fosse piaciuta me l’avrebbe detto. E invece era felice di vedermi innamorato, forse era anche felice di vedere che giocavo a fare l’adulto. Che poi, tra l’altro, non è che convivessimo al cento per cento, perché ogni tanto lei se ne tornava a casa sua dai genitori e ci restava tre giorni, poi ricompariva e stava altri tre giorni da noi. Litigavamo di brutto, litigate fortissime. Ma poi facevamo sempre la pace, almeno fino a quando non si è rotto tutto definitivamente.
Succede che in quel periodo conosco un tipo che canta anche lui, proviamo a fare qualcosa insieme e mi ci trovo bene, decidiamo di formare un duo. Anche lui l’avevo trovato grazie a Myspace, solo che, anziché guardare la sua foto, ascoltavo la sua musica. Ci eravamo scambiati qualche messaggio – “Frate, minchia, ho sentito i tuoi pezzi, spacchi. Dài, senti anche tu i miei, ti va?” – allora funzionava così. Io ascolto le sue cose, lui le mie e alla fine: “Scusa, ma perché non ci mettiamo a cantare insieme io e te?”, in maniera molto naturale, ed è un attimo anche dirsi di sì: “Secondo me spacchiamo tutto, frà!”.
Ed eccoci che ci mettiamo in società e facciamo il primo video insieme: un botto di views. Diventiamo fortissimi, leggiamo articoli coi nostri nomi, girano foto con le nostre facce, commenti a pioggia, ovviamente anche hating a manetta, ma noi ce ne sbattiamo. Haters Make Me Famous, continuavo a ripetermelo, ce lo ripetevamo insieme. Col tempo diventa il mio migliore amico, e al tuo migliore amico a un certo punto per forza gli presenti la ragazza, e se ti va bene vanno pure d’accordo tra loro. A me era andata bene, loro si piacevano e io mi sentivo fortunato… proprio come se avessi trovato un altro quadrifoglio.
Io e questa ragazza stavamo insieme da tre anni e ormai avevamo una nostra routine. Lei ogni mattina usciva per andare a Seveso, dove lavorava in un call center, e io ogni mattina le davo un bacio prima che uscisse e la salutavo sulla porta.
L’ho fatto anche quella mattina. L’ho salutata, lei è andata via con la borsa a tracolla, sembrava tutto normale. Ma passa poco, un’ora al massimo, e ricevo un messaggio sulla chat di Facebook. Era lui.
“Giò” mi fa, “ti devo dire una roba.”
So che adesso, a raccontarlo, il finale di questa storia sembra scontato, ma se provate a mettervi nei miei panni, potete capire da soli che non lo è affatto: se ci sei dentro, l’ultima cosa che ti passa per la testa è ricevere un messaggio del genere e immaginarti il peggio, perché il peggio, semplicemente, è inimmaginabile.
“Dimmi” gli ho scritto infatti, senza darci troppo peso.
Lui fa partire la videochiamata, e io lo vedo nella sua stanza, vedo la sua faccia con un’aria dispiaciuta. Solo che dietro di lui, sul letto, c’è l’inimmaginabile: lei, la mia ragazza, seduta, con la testa bassa, non riesce a sollevare gli occhi.
Sulle prime non capisco, non voglio capire: «Ma aspetta, perché lei è lì?». Silenzio. Nessuno dei due risponde, e allora io insisto: «Oh, ma cosa ci fa lì da te? Cosa sta succedendo?». Lei continua a tenere la testa bassa e io penso che lei non è lì, non può essere lì perché lei è al lavoro, ci è andata un’ora prima, l’ho salutata io, proprio qui, sulla porta, me lo ricordo. «Ehi, amore? Perché sei lì?»
«Giò» ripete lui, solo che questa volta lo fa con la voce. E questa volta parla al plurale. «Ti dobbiamo dire una cosa.»
Io aspetto, trattengo il fiato. Poi lo dice: «Giò, noi due, io e… Insomma, noi ci vediamo da una settimana».
Cosa ho pensato? Esattamente non lo saprei dire. Non ho pensato, credo. Riuscivo solo a sentire: rabbia, delusione, voglia di spaccargli la faccia, voglia di umiliarlo, di umiliarli tutti e due. Voglia di andare sotto casa e menargli, voglia di insultare, anche se la voce mi tremava.
Cosa ho fatto? Ho fatto un dissing. Mi sono fatto mandare un beat da usare come base e ho cominciato a scrivere velocissimo, come non avevo mai fatto, e tutto quello che avevo dentro si è riversato sul foglio in un attimo. Quello che avevo dentro era pesantissimo, pesava come un macigno. “Bene” ho pensato, perché quello che volevo era fare male, picchiare duro con le parole e far sapere a tutti che razza di merde erano quei due, la mia ex ragazza e il mio ex migliore amico.
La cosa divertente è che alla fine, io ne sono convinto, la merda che fai ti ritorna sempre indietro. E nella mia vita non c’è esempio migliore di questo per dimostrarlo, perché subito dopo quel giorno, quando il nostro duo si è sciolto e io ho chiuso definitivamente con lui, un’etichetta discografica mi ha proposto di firmare un contratto. E lui? Quando si è sparsa la voce di quello che era successo, la gente ha smesso di seguirlo; provava a fare i video da solo ma non aveva views, provava a riciclarsi come solista ma non se lo cagava nessuno. Ha provato a restare con quella che ormai era la sua ragazza, ma alla fine nessuno dei due è riuscito a reggere ’sta cosa: non potevano andare in giro che la gente li insultava, l’etichetta di infami gli era rimasta attaccata e non potevano più scrollarsela di dosso. Lui è finito a fare il benzinaio, e la cosa assurda sapete qual è? Che ogni tanto ancora prova a scrivermi messaggi – “Uè, frà, da quanto tempo?” – come se non fosse successo niente. Ma tanto parla da solo. “Frà” a me? Se pensi di poterlo dire senza vergognarti sei veramente imbarazzante, io mi imbarazzo per te. Se fai l’infame, con me hai chiuso, e se con me chiudi, chiudi per sempre. E infatti ormai a lui non ci penso più da un pezzo, piuttosto penso a quella canzone che ho scritto contro di loro, Una canzone per te, perché se ci penso mi ricordo che da una situazione di merda può sempre venir fuori qualcosa di buono, come il mio primo album. Che si chiamava, non a caso, Haters Make Me Famous.
Quando ti fregano una volta, tornare ad avere fiducia è difficilissimo. Io l’ultima cosa che volevo era una ragazza fissa, pensavo che presto o tardi lei mi avrebbe fatto soffrire o l’avrei fatto io, perché quando non vuoi che ti feriscano non puoi fare altro che attaccare per primo. Ma alla fine io sono convinto di una cosa: la merda che fai ti ritorna sempre indietro.
Ci ho messo un po’, dopo, perché il clic mi scattasse di nuovo. Quando ti fregano una volta, poi pensi che tutti vogliano fregarti, e tornare ad avere fiducia è una cosa difficilissima. Io ero pieno di rabbia prima, d’indifferenza e l’ultima cosa che volevo era una ragazza fissa, pensavo che presto o tardi lei mi avrebbe fatto soffrire o l’avrei fatto io, perché quando non vuoi che ti feriscano non puoi fare altro che attaccare per primo e ferire a tua volta. Quindi sono rimasto single per un po’. Single non vuol dire proprio solo, uscivo con delle tipe, mi divertivo, ma facevo in modo che le cose non diventassero serie, e quasi mi ero convinto che il clic non potesse più scattare, che il mio cuore fosse destinato a rimanere spento.
Poi una sera un amico mi invita a uscire e mi dice che c’è una nuova ragazza in compagnia. «Dài, vieni» mi fa, «è pure figa. Secondo me ti piace.» E io figurati se me lo facevo ripetere. Quando arriviamo, lui me la indica, è là, seduta su un muretto che non mi guarda nemmeno. “Smorfiosa” mi dico. Ma bella, di una bellezza che non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Mora, occhi verdi. Magrolina, con una bella linea, slanciata. L’opposto della mia ex, eppure mi piaceva anche lei. Gli altri parlavano tra loro, e lei sembrava ascoltarli, ma se ne stava in disparte con un’aria da principessa. Mi avvicino, allungo la mano.
«Piacere, Gionny» le dico.
Allunga la mano anche lei, ma ancora tiene lo sguardo da un’altra parte, come se fissarla negli occhi fosse un privilegio che mi dovevo conquistare. «Ciao, piacere» risponde.
Un po’ mi girano le palle. E un po’ sono divertito. «Va be’, ma almeno guardami, no?».
A quel punto lei mi pianta addosso i suoi occhi verdi e mi fa: «Te lo dico già, non sei il mio tipo. Quindi è inutile che perdi tempo».
Rispondo con un’alzata di spalle. Ok, ricevuto. Non perdo tempo. Passiamo la serata ognuno per i fatti suoi, quasi non ci parliamo e va bene così. Poi torno a casa, e trovo una richiesta di amicizia su Facebook.
“Guarda un po’ chi si rivede” le scrivo. “Ciao, cara.”
Lei risponde a tempo di record. “Ho sbagliato, mi è partita la richiesta senza accorgermene.”
Certo, come no. “Ah sì? E allora toglimi l’amicizia, per me non c’è problema.”
Ovviamente non lo fa. E da quel momento iniziamo a sentirci spesso. Lei non ascoltava la mia musica, ma sapeva chi ero. Anzi, mi correggo: ascoltava la mia musica, ma solo se capitava, e non gliene fregava particolarmente, non era una mia fan. Questo mi ha aiutato, un po’ come è successo altre volte con colleghi e amici, sapere che una tipa voleva parlare con me e voleva che le andassi dietro non perché ero GionnyScandal, ma perché le piaceva Gionny… be’, mi dava sicurezza, cazzo! Se poi anche lei mi interessava, avevo fatto jackpot, e in questo caso lei mi interessava di brutto. Così siamo andati avanti a scriverci. Io facevo il coglione, mi atteggiavo a brillante, e lei continuava a stare sulle sue, ma sotto sotto si capiva che ci stava, lo sapevamo tutti e due. A quel punto per me il clic era già scattato: tutto questo sbatti per una storiella non lo fai: se una ragazza non ti piace, dopo un po’ sei già stufo di star lì a insistere coi messaggini su Facebook e WhatsApp. Lei invece mi piaceva un casino, e anche questo lo sapevamo tutti e due.
Sapere che una tipa voleva parlare con me e voleva che le andassi dietro non perché ero GionnyScandal, ma perché le piaceva Gionny… be’, mi dava sicurezza! Se poi anche lei mi interessava, avevo fatto jackpot.
Io in quel periodo mi ero allestito una specie di studio di registrazione in garage, una roba un po’ arrangiata ma che mi tornava utile per fare la mia musica, e c’erano parecchi amici che ogni tanto ne approfittavano per registrare cose loro. Si era creato un bel giro di gente che andava e veniva, e a un certo punto comincia a farsi vedere pure lei. C’era una sua amica che faceva le cover e diceva che le era comodo appoggiarsi al mio studio per registrare, ma ogni volta che veniva, guarda caso, spuntava sempre anche l’accompagnatrice. Prima una, poi due, poi quattro volte. La quarta senza amica, però. A quel punto non potevo lasciarmela scappare: «Ascolta» le faccio, «ma tu vieni qua perché non c’hai un cazzo da fare o…?».
E lei non dice niente, mi guarda e mi sorride. Clic.
Quando poi ci siamo messi insieme, ogni tanto mi divertivo a sfotterla: «Oh, ma te lo ricordi o no di quando mi dicevi che non ero il tuo tipo? Se ero il tuo tipo che facevi, mi sposavi dopo una settimana?». Lei ogni volta rideva, perché sapeva che avevo ragione. Siamo rimasti insieme tre anni, anche con lei. I tre anni sembrano lo scoglio che non riesco a superare con nessuna, anche quando entrambi ce la mettevamo tutta perché le cose andassero bene – e con lei posso assicurarvi che era così. Cos’è successo allora? Diciamo che a volte, anche se la persona può sembrarti quella giusta, il momento può essere tremendamente sbagliato. Noi ci siamo messi insieme proprio mentre iniziavo a diventare famoso, e quando ci siamo lasciati ormai mi conoscevano in parecchi. In mezzo, a livello lavorativo, per me c’è stato tutto: la mia escalation artistica, la mia carriera che cominciava. Era l’epoca d’oro di Facebook e YouTube, quando anche Emis Killa iniziava a uscire dal web e Fedez faceva le prime cose più grosse. Il rap era sotto i riflettori. Io avevo un disco pronto, che stava per uscire in free download, ma avevo anche firmato un contratto discografico, e a quel punto il disco l’hanno voluto far uscire con l’etichetta sopra. Ma anche se era un periodo pieno di cose, non significa che non avrei voluto qualcuno accanto a me. Il problema è che, anche se mi sarebbe piaciuto tanto, sapevo che quel qualcuno non poteva essere lei, perché per lei vedere la mia vita cambiare era pesante, ed era pesante la notorietà con tutto il carico di obblighi che comportava. Era una ragazza di diciannove anni, e giustamente voleva fare una vita normale, divertirsi, andare in giro, non stare chiusa in casa come doveva fare quando stava con me. Voleva andare in Duomo, e io no, perché ci vedevano tutti. Voleva andare al centro commerciale, e per me anche quello non andava bene. La sua vita ormai era questa: usciva da scuola, prendeva il motorino e veniva da me. Facevamo la spesa, andavamo a casa mia e poi ci restavamo tutto il giorno.
Sono stato io a prendere in mano la situazione: «Ascolta, ascoltami, lo dico per il tuo bene…». Avevo il magone, stavo male, ma sapevo che era l’unica cosa da fare. «Hai diciannove anni, non puoi fare questa vita qui. Tu vuoi andare in giro, non vuoi chiuderti in casa, e hai ragione. Devi trovarti un ragazzo che può fare queste cose insieme a te, perché sono cose che io non ti posso più dare.»
Il quadrifoglio ci era appassito in mano, e noi ce n’eravamo accorti troppo tardi.
Un anno dopo la fine di questa storia ho conosciuto una nuova ragazza. Clic? Non ne sono certo, ma qualcosa di sicuro è scattato. Ero tornato al solito metodo del mio “periodo d’oro” da single: Instagram. E lei mi aveva colpito per un solo, semplice motivo...