L'universo è ancora un segreto
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L'universo è ancora un segreto

Perché la scienza di oggi non è in grado di spiegarci tutto

Roger Penrose

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Perché la scienza di oggi non è in grado di spiegarci tutto

Roger Penrose

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Da oltre un secolo la fisica teorica sembra progredire in una marcia inarrestabile di trionfi. Dopo le grandi rivoluzioni della relatività einsteiniana e della meccanica quantistica, la ricerca del Santo Graal di una Teoria del Tutto ha prodotto frutti clamorosi: il modello cosmologico standard ci ha permesso di definire l'evoluzione dell'universo dal Big Bang fino ai suoi possibili destini ultimi, mentre l'imponente architettura matematica della teoria delle stringhe ci offre una visione elegante della struttura essenziale della materia e dello spaziotempo. Tutto bene, dunque?Roger Penrose ci mostra con la consueta forza delle sue argomentazioni che le cose non stanno esattamente così. Quanto l'indiscutibile eleganza della teoria delle stringhe e la sua conseguente popolarità impediscono di dedicare le nostre ricerche a ipotesi forse meno spettacolari ma più solide? Quale base reale hanno i voli di fantasia delle teorie cosmologiche attuali, erette sul dogma del modello inflazionario? E la precisione straordinaria delle predizioni della meccanica quantistica giustifica la fede cieca nell'affidabilità dei suoi traballanti fondamenti concettuali? Con lo sguardo penetrante, l'originalità di pensiero e l'indipendenza di giudizio che da sempre ne contraddistinguono la ricerca scientifica e l'opera di divulgazione, in questo suo nuovo saggio Penrose ci fornisce uno spaccato profondo e sorprendente del valore e delle debolezze della nuova scienza fondamentale.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2017
ISBN
9788858688922

1

Moda

1.1L’eleganza matematica come forza ispiratrice

Come ho accennato nella prefazione, le questioni affrontate in questo libro sono state sviluppate a partire da un ciclo di tre conferenze tenutesi, su invito della Princeton University Press, all’Università di Princeton nell’ottobre del 2003. Il nervosismo dovuto al fatto che mi stavo rivolgendo a un pubblico preparatissimo come quello della comunità scientifica locale raggiunse l’apice quando si arrivò al tema della moda, poiché l’area esemplificativa che avevo scelto di trattare, vale a dire la teoria delle stringhe e alcune delle sue varie derivazioni, era stata sviluppata ai massimi livelli a Princeton probabilmente più che in ogni altra parte del mondo. Oltretutto è un argomento decisamente tecnico che contiene aspetti sui quali non possiedo una competenza specifica. Infatti, essendo io un profano, la mia familiarità con i dettagli tecnici è decisamente limitata. Eppure sentivo che non avrei dovuto lasciarmi scoraggiare troppo da questo limite, poiché se solo gli esperti possiedono le competenze per fare rilievi su un argomento le critiche resterebbero confinate agli aspetti tecnici, e certe valutazioni di carattere più ampio finirebbero senza dubbio per essere trascurate.
Nel periodo trascorso da quelle conferenze sono state pubblicate tre opere fortemente critiche nei confronti della teoria delle stringhe: Neanche sbagliata di Peter Woit, L’universo senza stringhe di Lee Smolin e Farewell to Reality: How Fairytale Physics Betrays the Search for Scientific Truth («Addio alla realtà: come la fisica fiabesca tradisce la ricerca della verità scientifica») di Jim Baggott. Di sicuro Woit e Smolin conoscono meglio di me il gruppo così alla moda che si occupa della teoria delle stringhe. Per quanto mi riguarda, ho espresso le mie critiche personali alla teoria nel capitolo 31 e in alcune parti del capitolo 34 di La strada che porta alla realtà (saccheggiando i tre lavori sopraccitati), sebbene io lasci trasparire un atteggiamento assai più possibilista sulla valenza concreta della teoria delle stringhe. Pertanto, i miei commenti saranno perlopiù di carattere generale e solo marginalmente toccheranno questioni prettamente tecniche.
Permettetemi innanzitutto di fare quella che dovrebbe essere una considerazione generale e forse ovvia. È evidente che gli impressionanti progressi teorici compiuti nell’ambito della fisica nel corso dei secoli sono dipesi da modelli matematici estremamente precisi e sofisticati. Dunque ogni ulteriore progresso significativo deve dipendere ancora una volta, e in maniera cruciale, da una particolare struttura matematica portante. Affinché una nuova teoria fisica possa rappresentare un miglioramento rispetto a ciò che è stato ottenuto fino a oggi – e faccia predizioni precise e prive di ambiguità che vadano oltre quanto era stato ottenuto in precedenza – occorre che sia basata anche su un modello matematico ben strutturato e sensato, cioè dovrebbe essere matematicamente coerente, poiché da un modello privo di coerenza si potrebbe, in linea di principio, dedurre qualsivoglia risposta.
Tuttavia quello della coerenza è un criterio troppo severo, tant’è che non molte delle teorie fisiche proposte – persino tra quelle di grande successo del passato – sono in realtà completamente coerenti. Spesso è necessario fare appello ad alcuni forti elementi di carattere fisico per poter applicare la teoria in maniera appropriata e priva di ambiguità. Naturalmente anche gli esperimenti sono d’importanza fondamentale per una teoria fisica, e testarla in via sperimentale è molto diverso dal verificarne la coerenza logica. Entrambe le cose sono importanti, ma in pratica si constata spesso che ai fisici non importa poi tanto raggiungere una coerenza matematica completa se la teoria mostra di adattarsi alla realtà. È stato così, e in una misura non trascurabile, persino nel caso di una teoria di straordinario successo qual è quella della meccanica quantistica, come vedremo nel capitolo 2 (e in § 1.3). Il primissimo lavoro compiuto in quell’ambito, vale a dire l’epocale spiegazione proposta da Max Planck per lo spettro delle frequenze della radiazione elettromagnetica in equilibrio con la materia a una data temperatura (ovvero lo spettro del corpo nero; si vedano §§ 2.2 e 2.11), richiese il ricorso a una rappresentazione ibrida non del tutto coerente [Pais 2005]. Né si può dire che la vecchia teoria quantistica dell’atomo, brillantemente proposta da Niels Bohr nel 1913, fosse caratterizzata da una totale coerenza. I successivi sviluppi della teoria dei quanti hanno eretto un edificio matematico molto sofisticato in cui il desiderio di coerenza matematica ha rappresentato una poderosa forza ispiratrice. Nonostante ciò, nella versione attuale della teoria rimangono problemi di coerenza che non sono stati ancora affrontati in modo appropriato, come vedremo più avanti, in particolare in § 2.13. Sono tuttavia le conferme sperimentali, che coprono un’ampia gamma di fenomeni fisici di diverso tipo, a costituire il caposaldo della teoria dei quanti. I fisici non si preoccupano troppo di sottili questioni di incoerenza matematica od ontologica se la teoria, quando la si applica con le dovute assennatezza e cura nei calcoli, continua a fornire risposte perfettamente rispondenti ai risultati di osservazioni ottenute, spesso con straordinaria accuratezza, tramite esperimenti tanto delicati quanto precisi.
Nel caso della teoria delle stringhe la situazione è completamente diversa. Infatti non sembra supportata da nessuna conferma sperimentale. Spesso si sostiene che ciò non deve sorprendere, dato che nella sua formulazione attuale la teoria delle stringhe è in buona misura una teoria della gravità quantistica, e in quanto tale si occupa in particolar modo delle distanze davvero minuscole corrispondenti a quella che è chiamata la scala di Planck (o comunque molto prossime a quelle), ovvero di distanze che sono 10–15 o 10–16 volte più piccole (dove 10–16 indica ovviamente una riduzione di un fattore pari a un decimo di millesimo di milionesimo di milionesimo) e quindi di energie che sono 1015 o 1016 volte più grandi di quelle accessibili con i metodi sperimentali attuali. (Va notato che, stando ai principi fondamentali della relatività, una distanza piccola equivale sostanzialmente a un tempo piccolo in forza della velocità della luce e che, stando ai principi fondamentali della meccanica quantistica, un tempo piccolo equivale sostanzialmente a una grande energia, per mezzo della costante di Planck; si vedano §§ 2.2 e 2.11.) Di certo non si può ignorare il fatto evidente che, per quanto potenti siano gli acceleratori di particelle odierni, le energie che essi potrebbero raggiungere in base alle previsioni attuali sono enormemente inferiori a quelle che sembrano avere un’importanza diretta per teorie come quella delle stringhe, con le quali si tenta di applicare i principi della meccanica quantistica a fenomeni gravitazionali. Tuttavia è difficile considerare questa situazione soddisfacente per una teoria fisica, dato che le conferme sperimentali costituiscono il criterio fondamentale in base al quale se ne stabilisce la validità.
Naturalmente c’è la possibilità che si stia per entrare in una nuova fase della ricerca di base in fisica fondamentale in cui i requisiti di coerenza matematica assumeranno un’importanza primaria; laddove tali requisiti, insieme alla conformità con i principi stabiliti in precedenza, si dimostrino insufficienti, sarà necessario invocare criteri aggiuntivi di eleganza matematica e di semplicità. Se da un lato potrebbe apparire non scientifico fare appello a simili desiderata in una ricerca totalmente obiettiva dei principi fisici alla base del funzionamento dell’universo, dall’altro è indiscutibile che spesso tali giudizi estetici siano apparsi fruttuosi, anzi essenziali. Sono molti gli esempi di belle idee matematiche rivelatesi fondamentali per compiere progressi decisivi nella comprensione di concetti fisici. Il grande fisico teorico Paul Dirac [1963] è stato molto esplicito nel rivendicare l’importanza del giudizio estetico per la sua scoperta dell’equazione dell’elettrone e per la sua predizione dell’esistenza delle antiparticelle. Non c’è dubbio che l’equazione di Dirac si sia rivelata assolutamente fondamentale per la fisica di base, e il suo fascino estetico sia ampiamente apprezzato. Lo stesso vale per il concetto di antiparticella, scaturito dalla profonda analisi compiuta da Dirac sulla propria equazione dell’elettrone.
Su questo ruolo del giudizio estetico, tuttavia, è molto difficile essere obiettivi. Capita spesso che un fisico consideri stupendo un particolare sistema mentre un altro non condivida affatto quell’opinione! Quando si tratta di giudizi estetici non è raro che fattori legati alla moda assumano proporzioni esagerate, nel mondo della fisica teorica proprio come in quello dell’arte o dell’abbigliamento.
Va detto che in fisica la questione del giudizio estetico è più sottile del semplice principio metodologico del rasoio di Occam, cioè l’eliminazione delle complicazioni superflue. In realtà non è affatt...

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