La vita quotidiana in Grecia ai tempi della guerra di Troia
eBook - ePub

La vita quotidiana in Grecia ai tempi della guerra di Troia

La vita vera del tempo delle leggende

  1. 352 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La vita quotidiana in Grecia ai tempi della guerra di Troia

La vita vera del tempo delle leggende

Informazioni su questo libro

Se pensiamo ad Achille, possiamo immaginarlo senza la pesante spada in mano? Riusciamo a vedere Ulisse lontano dalla sua nave, con i piedi sulla terraferma, occupato nelle faccende della giornata? È difficile ricordare che questi nomi un tempo appartennero forse a persone reali, re di piccoli popoli, che si spostavano su navi pronte al saccheggio. Chi erano davvero i guerrieri greci che formarono una lega e fecero vela verso Troia attraversando l'Egeo alla metà del XIII secolo a.C.? Alcuni di loro erano pastori divisi in tribù che percorrevano con le greggi le pianure dalla Tessaglia all'Epiro. Altri erano nomadi dediti alla cura di piccoli armenti. Oppure contadini, insediati in borghi con i loro cavalli e i loro buoi. Uomini di terraferma, che però all'occorrenza sapevano diventare pescatori, marinai, guerrieri. Paul Faure, con grande esperienza di archeologo, fa rivivere sotto i nostri occhi quel passato così vario, intessuto di rapporti e scambi con civiltà lontanissime, ricostruendone la vita quotidiana, le attività economiche, le case, ma anche la lingua e i gusti, le speranze e le paure, permettendoci di comprendere la realtà nascosta nei miti e nelle leggende.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a La vita quotidiana in Grecia ai tempi della guerra di Troia di Paul Faure in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Storia e Teoria e critica storica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2017
Print ISBN
9788817095174

IV

Gente di terra

Il clero è fatto per pregare, i nobili per combattere, i contadini per nutrire tutti quanti. Così si pensava nel Medioevo e così troppo spesso si continua a rappresentare, con un eccesso di semplicismo, la società micenea.
Se per contadino si intende l’abitante e l’utente del territorio della città, è subito evidente che in questa pretesa terza classe ci sono almeno altrettante divisioni e incongruenze che nelle altre due.
Dove si collocano gli artigiani, che stanno in città ma si spostano stagionalmente in campagna, oppure gli agricoltori e i lavoranti dei frutteti che lavorano in campagna ma abitano nelle città?
E la gente di mare?
E come considerare i passaggi da un mestiere all’altro: il pastore che in autunno scende dai pascoli montani e si trasforma in bracciante, il contadino che, quando ve n’è bisogno, prende la lancia o il remo per divenire soldato, fante o marinaio?
I Greci non sono mai stati molto sedentari, soprattutto quelli che abitavano le isole, e la terra stessa, spesso arida o sconvolta dai diluvi, ha sempre allontanato da sé i propri figli.
Basta guardare le case costruite dalle genti delle terre alte e delle pianure – almeno cinque tipologie – per ritrovare il vecchio individualismo mediterraneo.

Case di mattoni crudi

Ciascuno, ricco o povero che sia, è, come Ulisse, capomastro di se stesso. In pianura, oppure nelle vallate, sulle pendici delle colline, il contadino che s’insedia o che vuole ampliare la dimora paterna, strappa al suolo, con una zappa di legno, dei grandi blocchi di terra argillosa, gialla, rossa, bruna. Li lascia seccare per qualche tempo, li schiaccia, li frantuma, li libera dai sassi e dalle radici e, quando tutta la massa è ben pulita, vi mischia un po’ di paglia sminuzzata e, talvolta, frammenti di alghe.
Bagnato, calcato con i piedi, impastato su un’area circolare, l’impasto viene versato in casseforme costituite da assi alte appena otto-dieci centimetri, lunghe venticinque-cinquanta centimetri e larghe diciotto-trentacinque centimetri. Da questi stampi usciranno dei lunghi mattoni piatti che verranno lasciati per molti giorni al sole a seccare.
Poi il proprietario divenuto muratore, con il solo filo a piombo del suo sguardo, li metterà uno sopra l’altro su fondamenta di pietra fino a raggiungere due metri-due metri e venti in altezza. Con questo sistema alzerà i quattro muri perimetrali (circa una ventina di metri) di un edificio, non senza lasciare un vano per la porta e un’apertura molto piccola per la finestra. Se vi sono dei vuoti tra i mattoni, li riempirà con della terra argillosa. Delle travi verranno incastrate un po’ inclinate in appositi incavi dell’ultimo strato di mattoni. Su queste verranno sovrapposti dei tronchi di legno messi di traverso, un graticcio e due strati di argilla impermeabile a formare un tetto a terrazza.
Nelle regioni del Nord, più esposte alla pioggia e alla neve, il costruttore ricoprirà di paglia e canne un tetto a due spioventi. Ovunque, fisserà nella copertura, lungo il muro, la cornice per il camino e, al di sopra, un grosso vaso di terracotta senza fondo. La pesante copertura è sostenuta, anche se non sempre, da uno o due pilastri di legno, poggiati su un cubo di pietra. Il tutto reggerà bene almeno per una generazione, salvo incendi o inondazioni. Si sono viste capanne simili durare più di un secolo. Contro il pericolo che un ladro possa bucare silenziosamente le pareti di terra pressata, in certe regioni i muri vengono rinforzati con un’ossatura di legno, una specie di armatura, fatta con una tecnica detta «del mattone armato». I montanti e l’architrave della porta, la porta stessa e il suo paletto, il telaio della finestra sono già di legno segato e squadrato.
E non mi si venga a dire che l’ho sognato. Questo tipo di costruzione, di cui gli archeologi hanno trovato tracce risalenti all’età neolitica in Tessaglia, in Argolide e nelle isole, è diffuso ancora oggi negli stessi luoghi.

Case di terra pressata

A volte per costruire viene usata la terra pressata, vale a dire terra umida, pestata e ben compressa, posta a prender forma in un càssero fatto di assi che vengono tolte mano a mano che l’impasto indurisce. Per renderlo più solido, la terra viene mischiata a cocci di terracotta, di pesi, anche di statuette. Usando una tecnica non molto diversa, la terra umida viene posta su un traliccio di canne o di ramaglia: una sorta di primitivo cemento armato, dal quale spunta qua e là, in maniera visibile, qualche riquadro di legno del traliccio, e che viene ricoperto da un intonaco che talvolta viene dipinto. Questa specie di capanna in muratura può avere le forme più svariate – rettangolare, circolare, ovale – ma in ciascun villaggio le case sono tutte dello stesso tipo. I tetti seguono il contorno dei muri: alcuni sono conici o a forma di cupola appuntita, altri hanno due spioventi e un frontone con arco. Nelle regioni fredde e innevate del Nord, il canniccio e la paglia della copertura sono sostenuti da una volta di assi.
Tali forme sono state riprese nella costruzione delle tombe a cupola, circolari o quadrate; e sono servite anche da modello per le casette o le capanne di argilla che talvolta venivano sepolte insieme ai defunti.

Case di pietra

Più efficiente e più solida è la costruzione che associa la pietra, il legno e la calce. Un muro fatto di terra, anche se è sostenuto da un’ossatura di montanti, di traverse e di paletti, anche se viene protetto con una copertura sporgente e un intonaco di gesso, resta pur sempre esposto alle intemperie: la pioggia lo scioglie, il sole lo spacca, il vento lo erode. La pesante massa della copertura lo comprime, lo fa affondare lentamente nel suolo, l’acqua ne corrode la base. Ecco perché si sviluppò dappertutto, nel XIII secolo a.C., un tipo di costruzione poggiata su un basamento di roccia viva o appena sgrossata e a grandi blocchi di pietra, tenuti insieme da una malta di terra. Gli archeologi, in genere, non trovano altro che le fondamenta rettangolari, imperiture, di questi edifici a tettoia, di questa gemmazione di camerette, originariamente assemblate a formare interi isolati e separate da viuzze lastricate.
Da ciò che resta si fa fatica a immaginare lo sforzo necessario per scoprire nei dintorni del villaggio, per scegliere, molto spesso per tagliare, per sollevare e trasportare a dorso d’asino o di mulo, le lastre o i blocchi, alcuni dei quali – le pietre angolari – pesavano più di un quintale. Un tale sforzo implicava la collaborazione dei membri di tutta la famiglia, degli amici, dei vicini, un’organizzazione, degli ordini e mille discussioni. Si discuteva per ore tanto della posizione quanto dell’orientazione, del materiale e del costo. Si faceva appello al sacerdote perché con preghiere, incensamenti, libagioni e offerte sacrificali attirasse il favore degli dei sui costruttori e sulla costruzione. Si chiamava di nuovo il sacerdote quando veniva installato il camino, perché si diceva – e si dice ancora oggi: «quando la casa è finita la morte vi entra».
In paesi di terremoti e di piogge torrenziali, il tetto-terrazza si screpola e fa acqua; gli intonaci si spaccano e cadono. In capo a qualche anno il padrone della casa era costretto a rinforzare il tetto con un nuovo strato di argilla, a imbiancare di nuovo i muri, chiudere le crepe con gran colpi di spatola. Cresciuta a poco a poco per gli strati di assi sovrapposte, ingrandita con dipendenze e rimesse, restaurata costantemente, la casa micenea era sentita come un organismo vivente. Le più antiche parole che la designano, woikos e domos, sono di genere maschile animato.
I tokodomo, costruttori di muri, menzionati negli archivi micenei, dovevano essere anche dei tekotone, ossia falegnami e carpentieri. Ecco, a titolo di esempio, ciò che essi hanno dovuto fornire per la costruzione di una piccola casa quadrata, a un solo piano, nella regione di Pilo, secondo la tavoletta Vn 46: «[ordine passato] a Philai[das?] del [villaggio di... ?]: 6 [o 8] montanti di legno di carpino; 4 traverse di carpino; 12 travetti di carpino; 81 assi; 40 coprigiunti; 23 piccole travi per muro; 140 pezzi per fissare; 6 stipiti per porta; 2 travi di copertura; 10 capriate per il tetto; 16 traverse di rinforzo in legno “di piantatore” [?]; 100 assi dello stesso tipo; 1 pilastro di sostegno in legno di quercia; 2 traverse e 1 colonna». E non figurano gli accessori – 128 elementi di altri tipi di legno – il cui preventivo riempie un’altra tavoletta, Vn 879.
Dall’analisi chimica oltre che dai testi apprendiamo che i Micenei utilizzavano come legname da costruzione la quercia, il noce, l’olivo e tutte le conifere del mondo mediterraneo, in particolare il cedro, la tuia e il cipresso, che facevano venire dall’Asia Minore o da Creta. Per i lavori in legno all’interno degli edifici usavano anche varietà locali, per esempio il ramno, il gelso, il fico, il corniolo, il bosso. Per il legname da cantiere – assi, grandi tavole e impalcature – erano impiegati il faggio, il tiglio, l’olmo. Quanto ai pali, i costruttori li sceglievano di un legno che non marcisse, quercia o ginepro, e in più li ricoprivano con uno strato di pece per renderli impermeabili.

Arredamento

Tanto legno presuppone un arredamento, ma di esso sappiamo qualcosa solo dai rari reperti trovati nelle tombe, da alcune pitture e incisioni, dai termini più antichi del vocabolario ellenico e, infine, da alcuni cenni contenuti nei poemi epici. Di legno erano il tavolo basso a tre o quattro gambe, spesso pieghevoli, che si poteva sospendere alla parete. Gli Achei mangiavano seduti, ma solo i re e i loro rappresentanti o i loro ospiti disponevano di una sedia con spalliera e braccioli, il thronos; la gente comune sedeva su panche di legno addossate alla parete, su un ceppo o per terra. Queste panche, ricoperte da un tappeto, da pelli di animali e talvolta da pellicce, servivano generalmente anche da letto. Un drappo di lino faceva da lenzuolo e, nella stagione fredda, si usavano coperte variopinte. In parecchi luoghi, soprattutto sulle isole, si usava una lettiera su cui si stendeva una pelle di animale, o anche delle brande. La culla era una semplice cesta svasata di vimini o di sparto. Un’asse sospesa tra due travi o fissata su due montanti serviva da ripiano. La biancheria veniva riposta dentro cassapanche di legno. La maggior parte delle provviste veniva conservata in giare di terracotta ben chiuse, poste agli angoli delle stanze o dentro una dispensa.
Tutte le stoviglie erano d’argilla, solo le lame dei coltelli erano di bronzo. Si mangiava con le mani. I più ricchi o i più raffinati facevano scaldare qualche volta l’acqua in un paiolo di rame e si facevano lavare dalle donne in una vasca d’argilla, asaminthos; e prima di indossare gli abiti si facevano cospargere il corpo con olio.

Case di pietre a secco

Nei luoghi dove la pietra abbonda, e la tradizione lo consente, nei paesi di montagna soprattutto, il costruttore rurale fabbrica la sua casa tutta in pietra, compresa la copertura. Sono le baite o gli chalet che si incontrano così frequentemente nel massiccio del Pindo, sui Monti Bianchi e sul Lasithi di Creta. Per la maggior parte sono di forma cilindrica e provvisti di un tetto conico, molto svasato. La grande abilità del pastore – che vi metterà al sicuro la famiglia, il vasellame, i formaggi e una parte del bestiame – consiste nel sovrapporre i cunei della volta, sfalsandoli con regolarità fino alla cima o fino all’apertura circolare da cui entrano la luce e l’aria ed esce il fumo. Il problema è ancora più difficile da risolvere quando si tratta di mettere una calotta circolare su una struttura quadrangolare: il nostro pastore-costruttore riesce a risolverlo senza far uso di armature in legno, senza supporti né pannelli, ma unicamente scegliendo un materiale di forma regolare, in genere lastre di schisto, alle quali, all’occorrenza, dà la forma voluta. Le dispone obliquamente negli angoli, in cerchio nelle travature superiori, lentamente, scendendo a ogni istante dall’impalcatura che ha montato all’interno per apprezzare con un colpo d’occhio la curvatura e il profilo, per togliere e spostare i blocchi troppo sporgenti, per rendere saldi i blocchi traballanti inserendo nelle fessure delle pietre più piccole.
Quando tutti i pezzi di questo enorme rompicapo sono a posto e le ultime lastre con funzione di chiave di volta sono ben sistemate, rimane solo da ricoprire le pareti esterne con un impasto di argilla e paglia per rendere il muro impermeabile. Non c’è stato neanche bisogno, come si crede comunemente, di unire i blocchi con la malta. Ancora oggi i Cretesi costruiscono i locali per la conservazione dei latticini con muri a secco, senza far uso di malta: fantasticamente resistenti alla prova della neve e dell’acqua, sono destinati a durare per diversi secoli.

Dimore rupestri

Le case di mattoni crudi, di terra pressata, di pietra, di pietre a secco, non devono impedirci di ammirare certe dimore rupestri la cui origine si perde nella notte dei tempi e il cui utilizzo, in Grecia, è ancora oggi più frequente di quanto non si pensi. Mentre le prime sono destinate ad andare in rovina, lasciando dopo la scomparsa dell’ultimo abitante un cumulo di terra o di sassi, i rifugi nelle rocce, chiusi da un semplice muro, sfidano i millenni. Innumerevoli pastori o contadini li hanno abitati in età lontanissime, vivendo come all’età della pietra, e nel Medioevo furono il rifugio di tanti monaci.
Che il suolo sia di sabbia o di roccia, in pendenza o orizzontale, poco importa; l’essenziale è che la cavità sia perfettamente asciutta e aerata; se necessario si farà un buco nella volta; si scaverà la roccia, se è abbastanza friabile, per creare delle panchette e delle nicchie. L’ingresso della caverna in genere viene chiuso con un muro diritto o ad angolo, con una o due aperture in funzione di porta e di finestra; il locale che ne risulta viene intonacato all’interno e all’esterno con un impasto di argilla e paglia o di latte di calce. Se il rifugio è troppo vasto, ne viene chiusa solo una parte, il resto servirà da cortile o da ovile. Quasi sempre, sul davanti c’è un muretto di pietre sormontato da rovi che serve da recinto a un piccolo gregge.
Questo habitat, ancora più economico dei precedenti, ben riparato dall’acqua e dal fuoco, dotato di una temperatura costante, è sempre stato molto ricercato. Gli abitanti delle colline calcaree e delle montagne ricche di caverne, attribuendo le proprie usanze alle divinità, pensavano che queste abitassero sotto terra. Si riteneva che i Ciclopi e i Centauri attaccabrighe, le Ninfe e le Nereidi seduttrici, modelli e progenitori degli abitanti dei villaggi micenei, vivessero, come un buon numero di umani, in ampie caverne chiuse da rocce.

Habitat rurale

Le abitazioni rurali non sono soltanto molto diverse tra loro, ma differiscono anche per la disposizione nel paesaggio. La Grecia di allora, con una notevole estensione geografica, aveva alcuni grossi borghi, ma la sua popolazione viveva soprattutto in numerosi insediamenti sparsi, piccoli gruppi di case o case isolate e, nelle regioni con forte vocazione marinara, in centri lungo le coste (come si può ben vedere a Creta e in Messenia, per esempio). Generalmente, l’habitat rurale evita le frontiere, l’interno delle foreste, le alture pietrose; lascia le sommità alle città fortificate; preferisce l’ingresso delle valli, il piede e le basse pendici dei monti, tutti luoghi dove generalmente l’acqua sgorga più abbondante.
I tuguri, le capanne, le case si moltiplicano spontaneamente attorno alle fonti, senza un disegno preciso, senz’altra preoccupazione che di evitare la forza del vento o l’isolamento. Nessuna disposizione pianificata, a raggiera o concentrica, e neppure edifici riservati ai ragazzi, alle donne, alle provviste, come in certi paesi dell’Africa. Le piccole case quadrate, dal tetto a due spioventi, nel Nord, a terrazza nelle isole del Sud, sono addossate le une alle altre lungo i bordi di viuzze tortuose dal percorso labirintico, tutto salite, discese e gradini. Poiché ogni focolare ha i propri dei e le proprie provviste, e il luogo riservato agli scambi si trova in città, il villaggio non organizza la sua vita né attorno a una cappella, né attorno a una pubblica piazza, agorà. Il termine corrispondente sulle tavolette micenee, akora, designa solo l’azione di radunare una mandria.
Il vero centro della comunità rurale non è...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La vita quotidiana in Grecia ai tempi della guerra di Troia
  4. Bibliografia generale
  5. Convenzioni
  6. Introduzione. La resurrezione di un mondo
  7. I. Il mondo e l’uomo
  8. II. Gente dei palazzi-fortezza
  9. III. Gente di guerra
  10. IV. Gente di terra
  11. V. Gente di mare
  12. Conclusione
  13. Indice