CAPITOLO UNO
Un anno prima. Agosto 2013, Dublino
Sam si sente sicuro in quella stanza dalle pareti di un azzurro sfumato e rilassante, che gli ricorda il cielo.
L’uomo che gli siede davanti ha un’espressione seria ma al contempo calorosa che lo mette a suo agio: è così fin dal loro primo colloquio, avvenuto in quella struttura poco più di un anno prima.
Il percorso che Sam ha dovuto compiere da allora non è stato facile e in alcuni momenti ha temuto di non farcela, ma lì dentro si è reso finalmente conto di quanto avesse toccato il fondo negli ultimi anni. La disperazione non è certo una buona consigliera né l’alcol il modo migliore per sciogliere il dolore e la paura.
Sebastian, è questo il nome dell’uomo che si trova dall’altra parte della scrivania, lo guarda compiaciuto, con i suoi occhi scuri espressivi e indagatori. E si schiarisce la voce: ha notato che Samuel è distratto, che il suo sguardo vaga per la stanza, in cerca di appigli. Il piano della scrivania, ricolmo di fogli e cartelline, il quadro alle sue spalle, raffigurante le scogliere di Dover, etereo e magico nel suo accostamento fra il verde del paesaggio, il bianco degli scogli e il blu della superficie marina.
Ѐ un giorno importante quello.
Se qualcuno, un anno prima, avesse detto a Sam che gli sarebbe dispiaciuto abbandonare la clinica, lui non gli avrebbe mai creduto. E invece quel luogo lo ha accolto e protetto come un grembo materno contro i duri colpi della sorte, come un limbo nel quale impegnarsi nella lotta più ardua, quella contro la parte oscura e autodistruttiva di sé.
Seb, lo psicologo, ha giocato un ruolo fondamentale per il suo recupero e ora insieme stanno raccogliendo i frutti di un percorso duro, che non è stato affatto semplice, ma che non si sarebbe potuto né evitare né differire.
L’uomo si rivolge a Sam con decisione: «Siamo giunti al termine della terapia. Sei pronto a rientrare nel mondo».
Samuel sorride: «Sì, è il momento. Anche se… non so come spiegarlo, e forse le suonerà assurdo, ma questo posto mi mancherà».
«Questo posto ha esaurito la sua funzione» gli risponde Seb, soddisfatto. «Torna a cantare, il più presto possibile.»
«Lo farò» promette Samuel, alzandosi in piedi e tendendo la mano allo psicologo, che la stringe con vigore.
«Legendary roads è uno dei pezzi che amo di più» osserva l’uomo.
Samuel, sentendo citare in maniera inaspettata e in quel contesto il titolo di una delle canzoni dei suoi albori, sorride emozionato, e l’onda dei ricordi lo travolge come un fiume in piena.
La musica, l’ebbrezza del palcoscenico, il calore del pubblico. “Sì, devo tornare a cantare e farlo presto” pensa.
Si dirige verso l’uscita.
Prima di varcare la soglia della stanza sussurra un grazie a Sebastian, chino sul piano di lavoro a riordinare il contenuto di una cartelletta. L’uomo alza la testa e gli sorride, facendogli un cenno di saluto con la mano prima di vederlo chiudersi la porta alle spalle.
Un quarto d’ora dopo Samuel, nella sua stanza, si sta preparando per la partenza. Apre l’armadio, prende il suo chiodo e si siede sul letto. Si sfrega gli occhi con i palmi delle mani. Ha deciso che partirà alla chetichella, senza salutare i suoi compagni di percorso.
Forse è una mossa vigliacca la sua, ma gli manca il coraggio. Non ha mai fatto mistero con nessuno di questa sua debolezza, non ha mai retto gli addii.
Quella mattina ha parlato al telefono con Jod, verrà a prenderlo all’aeroporto al suo arrivo a Londra. Non vede l’ora di poterlo riabbracciare. Ѐ come un fratello per lui, da sempre, e gli manca davvero. Anche la musica gli manca. Ora che la sua mente è lucida e il suo corpo è libero da tutte le tossine accumulate in passato, la nostalgia di quella sua grande passione si fa strada nel suo cuore, ne avverte il richiamo, più limpido e forte che mai.
Sam ha provato a comporre qualcosa di nuovo, durante il suo soggiorno in clinica. Jod ne sarà sorpreso: vuole proporgli di tornare a fare musica insieme, come ai bei tempi. Glielo aveva già accennato un anno fa, ma ora è arrivato il momento di parlarne seriamente.
Di tempo ne ha perso fin troppo. Sono tanti i progetti che gli frullano in testa. Non che non si sia dedicato alla musica dopo la sua ultima esibizione sul palcoscenico, ma l’ha fatto senza più crederci. Adesso invece è di nuovo pieno di speranze per l’avvenire e per la sua carriera musicale.
Samuel ha carisma da vendere e, se crede in qualcosa, è un vero trascinatore: una sorta di pifferaio magico di Hamelin, solo che oggetto del suo incantesimo sono ben più dei centotrenta soggetti citati dai fratelli Grimm. Difficilmente si scampa al fascino della sua musica, al suo calore. Quante persone ne sono state ammaliate, quanti adolescenti sono diventati grandi ascoltando le sue canzoni. Per questo Sam la ama, per questo Sam non sa rinunciarvi.
Ma ora non c’è tempo per perdersi in riflessioni:,deve sbrigarsi, il suo volo per Londra lo aspetta.
Una volta pronto, approfittando dell’ora in cui tutti sono a cena, sparirà, non visto, a bordo del primo taxi disponibile.
Di lì a poco infatti, un’auto si ferma poco lontano dal cancello della clinica e Sam, con il suo sacco di cuoio in spalla, vi sale rapidamente.
Il conducente della vettura si volta e accenna un saluto al passeggero.
«Dove devo portarla?» gli domanda.
Sam indossa un cappello di tela leggera con la visiera calata che gli copre buona parte del viso e i suoi Ray-Ban dalle lenti fumé. Un ciuffo di capelli corvini gli ricade sulla fronte. Ѐ irriconoscibile. Riservatezza è la sua parola d’ordine. Ci sono state fin troppe chiacchiere sul suo conto, ora vuole solo essere lasciato in pace. Del resto, ne ha più che diritto.
«All’aeroporto, per favore» risponde Sam, lasciandosi ricadere a corpo morto sul sedile del taxi.
Non vuole essere antipatico, ma non intende fare conversazione con l’autista. Dovrebbe inventare bugie sulla sua identità e non ne ha voglia. Non gli è mai piaciuto mentire.
Si infila gli auricolari del suo iPhone e ascolta una vecchia canzone degli Abba. Socchiude gli occhi e deglutisce. Ogni distacco, per lui, è drammatico, persino da quel posto che associa a ricordi non sempre piacevoli. Guarda fuori dal finestrino, sono le sette e mezza ed è già quasi buio.
Le giornate si stanno inesorabilmente accorciando. Anche quell’estate volge al termine. Chissà se la prossima potrà trascorrerla con il suo bambino. Ha già nove anni, un papà che non può vedere quotidianamente e un patrigno ormai da tre anni. Luke Sarandon. Bel tipo. Uno squalo della finanza. L’ex moglie di Sam, del resto, ha sempre avuto un debole per gli uomini sfacciatamente ricchi.
Il suo bimbo si chiama Irvin, ha i capelli color ebano e una faccia da piccola teppa che gli ricorda la sua da ragazzino. Ѐ vivace e estroso anche se Susan, la sua ex moglie, fa di tutto per soffocare le sue inclinazioni artistiche.
«Gli artisti sono tutti degli spostati: tu devi diventare un genio della finanza, come Luke» ha ammonito una volta Irvin, sotto gli occhi di Sam.
“Peccato che non sia quello di Luke il sangue che gli scorre nelle vene”, considera sarcastico Sam, ripensando alle parole della donna.
Irvin è l’unico non trascurabile aspetto per il quale Samuel si rifiuta di considerare il suo matrimonio con Susan un falliment...