La prima ymbryne
Nota del curatore
Se sappiamo per certo che molti personaggi dei Racconti sono realmente esistiti e hanno calcato la terra, è invece perlopiù difficile trovare conferma delle loro vicende. Nei secoli prima che queste storie venissero trascritte, esse facevano parte della tradizione orale ed erano quindi altamente soggette a mutamenti, poiché ogni narratrice le infiorava come meglio credeva. Il risultato è che oggi queste storie somigliano più a delle leggende, certamente avvincenti ma il cui valore è soprattutto morale. Il racconto che narra della prima ymbryne della Gran Bretagna è un’eccezione degna di nota. Si tratta infatti di uno dei pochi racconti di comprovata veridicità storica, poiché gli eventi che descrive sono stati accertati non solo da numerose fonti contemporanee, ma anche confermati dalla stessa ymbryne (nel suo noto volume di lettere encicliche Una raccolta di penne caudali). Questo è il motivo per cui personalmente lo considero il più significativo della raccolta, essendo in egual misura una parabola morale, un bellissimo episodio e un’importante cronaca della storia Speciale.
—MN
La prima ymbryne non era una donna capace di trasformarsi in uccello, bensì un uccello capace di trasformarsi in donna. Era nata in una famiglia di astori, feroci predatori che non apprezzavano l’abitudine della sorella di mutarsi in una creatura carnosa e terrena nei momenti più imprevedibili, né il suo subitaneo cambio di dimensioni che li faceva cadere fuori dal nido, né il suo strano blaterare che rovinava loro le battute di caccia. Suo padre la chiamò Ymeene, che nello stridulo linguaggio degli astori significa «la strana», e lei avvertì il solitario fardello di quella stranezza fin dal momento in cui fu abbastanza grande da tenere la testa dritta.
Gli astori sono creature territoriali e fiere, e non c’è niente che preferiscano a una bella lotta truculenta. Ymeene non era diversa, e quando scoppiò una guerra per il territorio tra la sua famiglia e uno stormo di albanelle, combatté audacemente, determinata a provare che era un astore fin nel midollo, come i suoi fratelli. Erano in minoranza rispetto agli altri uccelli, più grandi e forti, ma anche quando i suoi figli cominciarono a morire durante le scaramucce, il padre di Ymeene non ammise la sconfitta. Alla fine respinsero le albanelle, ma Ymeene fu ferita e tutti i suoi fratelli tranne uno rimasero uccisi. Chiedendosi a cosa fosse servita la battaglia, Ymeene domandò al padre perché non fossero fuggiti, andando alla ricerca di un altro nido nel quale vivere.
«Dovevamo difendere l’onore della nostra famiglia» rispose lui.
«Ma ora la nostra famiglia non esiste più» replicò Ymeene. «Che onore c’è in questo?»
«Non pretendo che una creatura come te capisca» disse il padre; poi si lisciò le penne e si levò nell’aria, volando via per andare a caccia.
Ymeene non lo raggiunse. Aveva perso il gusto della caccia, e anche del sangue e della lotta, il che per un astore era perfino più strano che trasformarsi in un essere umano di quando in quando. Forse non era mai stata destinata a rimanere un astore, pensò, mentre scendeva in volo verso la foresta e atterrava su gambe umane. Forse era nata nel corpo sbagliato.
Ymeene vagò a lungo. Indugiò tra gli insediamenti degli uomini, studiandoli dalle cime degli alberi dov’era al sicuro. Siccome aveva smesso di cacciare, alla fine fu la fame che le diede il coraggio di entrare camminando in un paese e rubare qualche boccone di cibo – granturco tostato messo fuori per i polli, torte lasciate a raffreddare sui davanzali, pentole di zuppa incustodite – e scoprì che lo trovava gustoso. Imparò un po’ la lingua degli uomini per poter comunicare e scoprì che apprezzava la loro compagnia anche più del cibo. Le piaceva il modo in cui ridevano e cantavano e come si dimostravano l’un l’altro amore. Quindi scelse un paese a caso e andò a viverci.
Un vecchio benevolo le consentì di sistemarsi nella sua stalla, e la moglie dell’uomo le insegnò a cucire in modo che imparasse un mestiere. Andava tutto a gonfie vele finché, alcuni giorni dopo il suo arrivo, il fornaio del paese la vide trasformarsi in uccello. Ymeene non si era ancora abituata a dormire sotto forma umana, perciò ogni notte ridiventava astore: volava tra gli alberi, poi si addormentava con il capo infilato sotto l’ala. Gli abitanti del paese, sbigottiti, la accusarono di stregoneria e la scacciarono con le torce.
Delusa ma senza perdersi d’animo, Ymeene riprese a vagare finché non trovò un altro paese in cui fermarsi. Questa volta badò a che nessuno la vedesse trasformarsi in uccello, eppure gli abitanti parevano diffidare di lei. La maggior parte della gente intuiva che c’era in lei qualcosa di strano – era stata allevata dagli astori, in fin dei conti – e non passò molto tempo prima che la scacciassero anche da lì. Ymeene allora fu presa dallo sconforto e si chiese se esistesse al mondo un posto nel quale si sarebbe mai sentita a casa.
Un mattino, sull’orlo della disperazione, se ne sta...