CAPITOLO CINQUE
Quarto assaggio: un lungo viaggio verso casa
I puzzle mi erano sempre piaciuti, forse perché li vedevo come una metafora della vita, miriadi di pezzetti confusi che si possono incastrare solo quando trovano le persone giuste. L’incastro è unico, non c’è un tassello che possa star bene con più pezzi, ogni pezzetto ha il suo perfetto compagno e vi si adatta senza forzature. Talvolta si prova a far stare insieme tasselli inadatti tra loro, incastrandoli così bene da faticare in seguito a separarli, ma l’immagine che ne viene fuori è sempre distorta. L’immagine è lo specchio delle loro anime e le loro anime non sono pensate per stare insieme, anche se i loro corpi in qualche modo si sono adattati. Da bambina avevo trascorso giornate intere a comporre puzzle e avevo imparato che quando ci si focalizzava troppo su un singolo tassello della vita, si perdeva la visione d’insieme e allora bisognava fare una pausa e poi guardare il tutto da un’angolazione diversa.
Ecco perché ero a casa di Annie da circa due giorni e mi stavo preparando all’arrivo imminente di Richard. Avevo sentito la necessità di allontanarmi da Erik per capire meglio cosa mi stesse accadendo; per fare chiarezza tra sentimenti nuovi e vecchie paure, tra desideri che avevano cominciato a farsi avanti e incertezze che non volevano arretrare di un passo.
Cosa provavo per Erik? Ma, soprattutto, ciò che provavo giustificava la chiusura di una relazione ormai stabile con Richard, oppure dovevo semplicemente prendere atto che quell’uomo insolito aveva risvegliato la mia parte più emotiva, ma che il resto del percorso poteva essere fatto accanto al compagno che avevo scelto tempo addietro?
In quei due giorni avevo riflettuto a lungo su ciò che mi univa a Richard Barrington, un uomo gentile e riservato che amava come me la quiete e detestava il caos e l’improvvisazione. Se Richard era rassicurante, Erik era destabilizzante.
Del primo gradivo il fatto di conoscere in anticipo le sue mosse, per quanto ciò non significasse che le avrei apprezzate; del secondo dovevo ammettere che, per quanto non riuscissi a prevederle, le mosse fatte fino ad allora mi erano piaciute tutte.
«Allora, come andiamo bimba?» chiese Annie, facendo capolino nella stanza degli ospiti che mi aveva messo a disposizione. «Da quando ho memoria non hai mai preso due giorni di ferie consecutivi, Ted era molto seccato stamattina» aggiunse ridacchiando e avvicinandosi a me.
«Ragionavo sull’amore.»
«Oddio! Non parlarne con me» esclamò divertita, «sai che non sono proprio un’esperta in materia.»
«Ma ti sarai innamorata qualche volta anche tu.»
«Sì, ma ho fatto in modo di farmela passare alla svelta.» Controllò infastidita una leggera smagliatura nel collant ultrasottile che indossava. «L’amore richiede impegno e io non ho tempo.»
«Bugiarda!» esclamai scandalizzata.
«Oh, andiamo Laura! Cosa vuoi che ti dica? Che sogno un principe azzurro sul cavallo bianco che venga a inginocchiarsi ai miei piedi? E che magari mi dica che mi amerà per sempre? Il per sempre non esiste» ammise con un po’ troppa enfasi. Non l’avevo mai vista così infastidita. «L’amore è una forma di opportunismo, io la penso così e per questo prendo solo ciò che mi dà piacere e lascio agli altri tutte le implicazioni sentimentali.»
«Insomma mi stai dicendo che tu con…» cercai di fare mente locale sul nome dell’ultima fiamma di Annie.
«Pat» fece lei sorridendo.
«Ecco, sì… Pat. Quindi stai con Pat solo per fare sesso?»
«Esatto, bimba» disse aggiustandosi un grosso anello che portava all’anulare.
«E lui ti frequenta per lo stesso motivo?» chiesi perplessa.
La vidi trasalire, come se quella domanda la spaventasse più di quanto volesse dare a vedere. «Mi auguro per lui che sia così. Quando rientra Richard?» aggiunse subito dopo, cambiando discorso.
«Stasera, verso le otto. L’ho sentito un’ora fa.»
«Dormi da lui?» ghignò, conoscendo già la risposta.
Le feci la linguaccia. «Sai bene che se non ha prima sistemato e sterilizzato casa, non mi fa entrare. Pranzeremo insieme domani nel solito ristorante.»
Annie rise e scosse il capo. «Eh, già . Il simile cerca il suo simile, giusto? O gli opposti si attraggono? Sono proprio curiosa di scoprirlo.»
Sospirai, desiderosa anch’io di conoscere la risposta a quella domanda. «Annie? Avrei bisogno di tornare a casa per prendere alcuni oggetti, mi accompagneresti? Non sono pronta a incontrare Erik da sola e, conoscendolo, potrebbe aver trascorso questi ultimi due giorni seduto davanti alla porta di casa mia.»
«Dici?»
Ti piacerebbe, Laura, non è vero? E perché dovrebbe farlo? Per frequentare un ghiacciolo come te?
«Forse no» ammisi dispiaciuta.
Annie ridacchiò. «Staremo a vedere.»
***
Mi sentivo in colpa per essere fuggita da Erik. Sapevo di essermi comportata come un’adolescente immatura, al tempo stesso mi dicevo che tutto era avvenuto troppo in fretta, e la necessità di fermare quel treno in corsa per farlo ripartire più piano era normale. Comunque, non appena vidi i gradini del mio palazzo mi sentii assalire dall’ansia.
«Laura, respira, stai diventando blu» fece Annie prendendomi in giro.
Il cuore sembrava uno di quei motori a scoppio, dove ogni tre colpi seguiva una specie di esplosione. Perlustrai il piccolo atrio dell’edificio temendo di veder comparire Erik da un momento all’altro, poi mi avviai per le scale seguita da Annie che sbuffava e brontolava. Come sempre mi sentivo divisa a metà : da un lato ero delusa, perché avevo sperato di rivederlo, dall’altro ero spaventata perché sapevo di non essere pronta a un confronto con lui, non prima di aver parlato con Richard.
Quando raggiunsi il mio piano constatai che nessuno mi aspettava davanti alla porta: non c’era alcun bigliettino, nessun segno del suo passaggio. Cosa pretendevo? Che come in un romanzetto rosa lui fosse lì ad attendermi, impaziente di dichiararmi il suo folle amore? Infilai con stizza la chiave nella serratura, ma non feci in tempo a togliere la prima mandata che una specie di tornado mi fece voltare di scatto.
«Cristo santo!» urlò Erik tenendomi stretta per un braccio; aveva un volto così arrabbiato da lasciarmi imbambolata. «Si può sapere dove diamine sei stata?»
Segretamente avevo sognato d’incontrarlo, ma nei miei sogni mi giurava eterno amore, non mi urlava contro con aria furibonda.
«Ma ti è passato per la testa che potessi essere preoccupato?»
«Ehi, gigante, datti una calmata» s’intromise Annie cercando inutilmente di fargli lasciare la presa.
«Una calmata?» Mi lasciò il braccio e si passò esasperato le mani sul volto. «Lo vedi questo?» mi chiese piegandosi e mostrandomi il tatuaggio dietro al collo.
Annie incuriosita si sporse e rispose per me. «Sì, è un tao.»
Erik la ignorò. «Hai presente tutti quei bei discorsi sull’armonia, sull’equilibrio… hai presente, eh?» Alzò, se possibile, ancor di più il tono di voce. Incapace di formulare un solo pensiero coerente, mi limitai ad annuire. «Sai dove sono andati a finire? Al diavolo, sono andati! Hai capito? Al diavolo! Dopo anni di lavoro su me stesso, arrivi tu e mi trascini nella tempesta! Ma ti rendi conto?» C’era quasi una nota di disperazione nella sua voce. «M’hai fatto diventare pazzo» aggiunse prendendomi di nuovo per le spalle e abbassando finalmente il tono di voce. «Ho passato due giorni d’inferno. Ho torturato Robert per avere notizie su dove lavorassi e per essere avvisato subito qualora fossi rientrata. Ti rendi conto?»
Qualcosa nel suo volto mi stupì, sembrava segnato da emozioni che non gli avevo mai visto: ansia, angoscia, preoccupazione, smarrimento. Sentimenti che non credevo appartenessero al mondo di Erik.
«Mi dispiace» mormorai ancora frastornata, non riuscendo a smettere di guardarlo. «Avevo bisogno di un po’ di tempo.»
«E non potevi dirmelo?» riprese a urlare, allontanandosi di nuovo. Andò su e giù per il pianerottolo neanche fosse un leone in gabbia, mentre Annie si avvicinò divertita per bisbigliarmi all’orecchio che non se l’era immaginato così.
«Senti Erik, stasera torna Richard…»
Si voltò di scatto col viso contratto.
«Richard?» ripeté con stupore.
«Sì. Richard. Ho bisogno di vederlo e di parlare con lui.»
«Per lasciarlo» affermò, non riuscendo però a nascondere un velo d’incertezza.
«Per parlargli» ripetei io, non sentendomela di anticipare nulla di quello che sarebbe scaturito da quell’incontro.
Lo vidi abbassare lo sguardo e stringere i pugni nervoso.
«Fa’ come ti pare.»
Stanca di quell’atteggiamento che mi sembrava tutto sommato infantile, sbottai: «Ma non sei tu quello che ha imparato fin da piccolo l’arte di avere pazienza?».
Un lampo gli passò negli occhi e in due falcate mi fu addosso.
«Già !» ammise, inchiodandomi con uno sguardo che non gli avevo mai visto, «ma a quanto pare negli ultimi due giorni ho sofferto di vuoti di memoria.»
Non feci in tempo a controbattere che mi baciò con una tale forza, una tale urgenza, che mi colse impreparata e riuscii solo ad appoggiarmi alle sue braccia temendo di svenire.
«Giusto perché non vorrei ne soffrissi anche tu.» Mi rivolse un ultimo sguardo e poi si dileguò con la stessa velocità con la quale era arrivato.
«Beh» fece Annie che s’era goduta lo spettacolo. «Non si può dire che non t’abbia pe...