CAPITOLO DICIOTTO
Nathan
Il sangue mi sale alla testa e il cervello si spegne, ogni pensiero razionale è azzerato quando vedo Karen tra le braccia di Paul.
Li raggiungo, incerto su ciò che accadrà. Questa donna ha portato nella mia vita uno scompiglio doloroso, mettendo in discussione ogni cosa.
Non m’importa che sia mia sorella, per me è qualcosa di diverso e niente riuscirà a farmi cambiare idea. Sono furente e senza pensare alle conseguenze del mio gesto, assesto un pugno in pieno viso a Paul, che barcolla all’indietro esterrefatto.
Karen si porta le mani alla bocca per smorzare un grido.
«Che cazzo stai facendo?» chiedo infuriato.
«Nathan…» mormora.
«Che cazzo ti è preso?» urla Paul. Vedo il sangue scendergli lungo la mano con cui sta tentando di tenersi il naso. «Sei impazzito?»
«Stai toccando mia sorella nella cappella di famiglia? Non hai il minimo ritegno?»
Lui spalanca gli occhi. «Non era mia intenzione mancare di rispetto a tuo padre.»
La sua risposta mi disorienta.
«Paul… Ti prego, lasciaci soli» implora Karen, guardandomi spaventata.
«Perché?» chiede lui, tamponandosi con un fazzoletto.
«Perché io e Nathan dobbiamo parlare.»
Paul scuote la testa. «Per il rispetto che porto alla tua famiglia, proverò a convincermi che il tuo cervello è andato in tilt per via di tutto quello che è successo. Ma ti consiglio di darti una calmata.» Si avvicina a Karen e le dà un bacio sulla guancia.
«Aspetto un tuo messaggio» le dice serio, prima di andarsene.
Rimaniamo soli e il mio assalto non tarda ad arrivare. La afferro per la nuca attirandola a me e la bacio con forza. Le mordo il labbro inferiore.
Lei si dimena, tentando di liberarsi dalla mia presa animale. Io però non intendo mollarla e la mordo di nuovo, obbligandola a schiudere le labbra. Quando mi ritengo soddisfatto, la lascio andare.
Indietreggia di qualche passo, spaventata e confusa.
«Tu sei pazzo.» Esce dalla cappella quasi correndo.
La seguo. Non le concederò di lasciarmi qui senza una spiegazione.
«Non osare fare un altro passo» ordino.
Si volta. «Sei arrogante, prepotente e ora scopro anche che sei violento.»
Mi massaggio la testa, che sembra in procinto di esplodere. «Sei venuta a letto con me stanotte e ora ti fai toccare da un altro, davanti alla tomba di mio padre. Chi è arrogante?»
«Era anche mio padre.»
«Non… non devi dirlo. Non voglio sentirtelo dire.»
«Ma è così!» urla, scoppiando in lacrime. «Era anche mio padre» ripete sconvolta.
Sono sempre stato molto attento, quasi diffidente nei rapporti di coppia, non ho mai messo a repentaglio la reputazione della mia famiglia, perché ho sempre pensato che i miei genitori avessero fatto ogni cosa in loro potere per farmi crescere non solo nell’agio, ma anche in un ambiente sereno e colmo d’amore. E poi questo. Un sentimento che non capisco e che mi tormenta.
La mia mente torna sempre su di lei e non posso far altro che naufragare nel mio peccato.
La raggiungo e le appoggio le mani sulle spalle. «Non dirlo, se non vuoi uccidermi.»
La stringo tra le braccia, avvolgendola in una stretta. Voglio proteggerla e nasconderla al mondo, anche se è da me che dovrebbe essere allontanata per salvarsi.
«Stanotte è stato un errore» mormora.
«È stato bellissimo» la correggo.
Solleva lo sguardo, e i suoi occhi sono uno schiaffo in pieno viso. «Anche per me, non avevo mai…»
Non termina la frase, tanto è l’imbarazzo che prova. Le sue guance si colorano di rosso. Amo questo suo modo di reagire. Brenda direbbe che ha goduto, lei non userebbe un termine tanto esplicito.
«Sono geloso» confesso poi, prendendola per mano.
Si irrigidisce. «Che cosa stai dicendo?»
«Che non voglio vedere un altro uomo accanto a te.»
«Non dovresti dire queste cose.»
«Perché?»
«Lo sai.»
Le prendo il viso tra le mani. «Non voglio saperlo. Smettila.»
Lei prende un lungo respiro, come per darsi forza.
«Non posso affrontare tutto questo, tu mi confondi. Il senso di colpa mi sta annientando. Questa notte ho pensato mille volte di raggiungerti in camera e nascondermi tra le tue braccia. Ho bevuto le mie lacrime, soffocando il tormento che il piacere che mi hai dato mi causava.»
Dovrei baciarla, ma se azzardassi una pazzia tale rischierei di essere presente su ogni giornale scandalistico di New York.
«Ti accompagno a casa, io devo passare in ufficio, ho un paio di cose da sistemare ma non ci metterò molto. Questa sera ti prometto che parleremo.»
«Va bene, mi farà compagnia Grace. Non credo sia il caso di vedere Paul o Miriam, non sono pronta per rispondere alle loro domande.»
So che ha ragione: il mio comportamento lunatico sta attirando l’attenzione che presto si trasformerà in sospetto e poi in certezza. «Mia madre è a una raccolta fondi» la informo. «Se vuoi posso portarti da lei, sono certo che le farà piacere.»
«Ne sarei lusingata, ma non credo di farcela oggi. Va bene così. Leggerò qualcosa in camera mia.»
Mi sento responsabile per il suo disagio, è colpa mia.
«Ho un’idea migliore, vieni.»
Saliamo in auto e lentamente ci immettiamo nel traffico caotico.
Karen si lascia andare sul sedile.
«Dove stiamo andando? Ti prego, Nathan, non devi preoccuparti per me, io posso leggere anche tutto il giorno, è una cosa che amo.»
«Voglio presentarti il personale che lavora per te.»
Mi guarda perplessa. «Scherzi? Non hai fatto altro che ricordarmi come l’azienda appartenga alla tua famiglia e come…» si blocca, come se le parole in gola non volessero uscire. «…debba rimanere fuori dai vostri affari, nonostante ne abbia ereditato una parte.» Termina.
«Hai esperienza di marketing e pubblicità?...