CAPITOLO DODICI
La pelle innamorata
La crescita dei lettori del mio blog è costante, ma, come quando sono stata scoperta da Martina Velati, ogni tanto succede qualcosa che provoca maggiore interesse e non sempre questo è dovuto alla qualità di ciò che scrivo. In rete la meritocrazia segue logiche diverse. Ci sono foto bellissime che ottengono scarsi consensi (facile quantificarli: sono i like) perché pubblicate da persone non particolarmente popolari. E ci sono foto obiettivamente orrende che fanno faville solo per il fatto di essere opera di una web star. È il caso di Martina, che ottiene approvazione qualsiasi cosa dica o fotografi. Una volta ha pubblicato la foto delle sue scarpe da ginnastica riverse sul pavimento con sopra la canotta che aveva usato per l’allenamento, accartocciata in malo modo: settecento like (settecento!). Mi chiedo cosa pensino i fotografi veri di questa esplosione di social iconografici. Siamo, secondo me, di fronte a un nuovo cambio di paradigma, qualcosa che sta rivoluzionando il rapporto visivo con la realtà.
Oggi però questo amore incondizionato che la rete nutre per Martina gioca in mio favore: è bastato un suo commento a un mio articolo per scatenare, più che l’inferno, un quasi paradiso. Nel pezzo in questione, che ho intitolato La pelle innamorata, invito le lettrici a riflettere che, quando ci s’innamora, la pelle è più tonica, più soda, più brillante. E, supportando le mie argomentazioni con alcuni studi scientifici, illustro come l’amore, quanto a sostanze chimiche e principi attivi che è in grado di rilasciare nel nostro corpo e dunque fin nel profondo del derma, abbia effetti paragonabili a quelli del più raffinato trattamento dermocosmetico. Martina ha commentato che avrebbe bisogno di acquistare qualche nuova confezione di questo miracoloso elisir, lasciando intendere che la sua storia d’amore potrebbe stare attraversando qualche difficoltà. Lei parla spesso del suo fidanzato, che chiama “le Chevalier”, e qualche volta pubblica anche foto di loro insieme, ma, essendo lui un tipo che non ama apparire, abbiamo potuto ammirarne solo la schiena scolpita, le spalle, una volta perfino i piedi, di fianco a quelli di lei, in uno scatto sul lettino in spiaggia. E quest’alone di mistero non fa che alimentare la curiosità morbosa del pubblico, che ora, di fronte a una possibile crisi di coppia, si sta scatenando in commenti e ricerca della verità, portando di riflesso nuovi follower al mio blog. Ancora una volta Martina è autrice di un altro, provvidenziale, balzo di crescita del mio piccolo hobby.
La ringrazio con un messaggio privato e lei mi risponde che le fa piacere e che ho davvero ragione con la storia della pelle innamorata!
Mi piace la nostra complicità. Martina è una ragazza semplice che è rimasta tale anche dopo la popolarità conquistata in televisione e sul web. Incontrarla di persona sarebbe una grande soddisfazione, e magari un giorno la inviterò per un caffè, ma sarebbe meglio che prima diventassimo più affiatate. Non voglio che pensi che sono una di quelle persone attratte dalla popolarità e a caccia di VIP. Io Martina non sapevo nemmeno chi fosse, prima di scoprire in lei una lettrice del mio blog. È che sento che molte cose ci accomunano: mi piace il suo gusto nel vestire, adoro i luoghi in cui va in vacanza e, soprattutto, è un’amante del fitness, anche se forse più orientata verso la palestra, perché immagino che correre all’aperto, quando si è così famose, possa creare qualche problema di pubblica sicurezza.
Comunque, il fatto che io abbia scritto questo post non significa che io sia innamorata.
Assolutamente no.
Sto solo facendo qualche considerazione. Così, in generale.
Arrivati sotto casa mia, ieri sera, Ottavio e io ci siamo salutati quasi subito. Giusto qualche chiacchiera davanti al portone. Okay… abbiamo parlato per quasi due ore, ma questo non vuol dire nulla. E sì, mi ha chiesto di rivederci stasera, per correre insieme. Ma non è un vero appuntamento. Mi ha chiesto semplicemente: «Domani corri?» proprio come l’avrebbe chiesto a Jacopo o a Guido. Anzi, magari l’ha pure fatto e ci troveremo a correre in gruppo. Io ho risposto che pensavo di sì, e allora lui ha detto che avrebbe cercato di esserci, lavoro permettendo. E abbiamo definito un orario di massima (le sette) e ipotizzato un luogo (l’accesso al parco a fianco della discesina d’ingresso all’Arena), ma, più o meno, ci beccheremo lì in giro. Senza impegno, quindi. Siamo due Spinrunners (be’, io sono in prova) e corriamo nello stesso parco. È normale pensare di correre insieme!
Jacopo, invece, non si è ancora fatto sentire. Vorrei mandargli un messaggio per sapere se è andato a sporgere denuncia e se ci sono possibilità che ritrovino lo scooterone, ma qualcosa mi dice che prima lui dovrebbe scusarsi con me. Era troppo impegnato a bestemmiare per ricordarsi perfino di salutarmi. E preoccuparsi di come sarei tornata, prima che di accettare il passaggio da Guido, non rientrava, evidentemente, nelle sue priorità.
Ho deciso di affrontare la corsa di stasera come una normale corsa. Niente esagerazioni fuori luogo tipo parrucchiere o acquisto di capi d’abbigliamento dedicati. Non è un appuntamento, mi ripeto: è un allenamento, anzi una corsetta con un collega. Le cose che ho vanno benissimo. Certo, le seleziono accuratamente in modo che i colori siano abbinati, ma che non sembri che l’ho fatto apposta, quindi ci vuole qualcosa che stacchi pur stando bene. Mi sono lavata i capelli e li ho piastrati meglio del solito, soffermandomi soprattutto su quella ciocca del ciuffo che rimarrà fuori dalla coda di cavallo, e a cui ho fatto fare una leggera ondina che mi accarezza la linea naturale del viso senza sembrare artefatta. Ho controllato la depilazione ed è tutto in ordine. Quasi ordinaria amministrazione. Ho pranzato con un’insalatona e alle cinque esco un attimo e vado al bar a farmi preparare uno spuntino di carboidrati e vitamine (toast e spremuta) in modo da arrivare preparata, tonica e non appesantita. Poi, nel corso della parte restante del pomeriggio, bevo periodicamente per garantirmi un adeguato livello di idratazione.
È fondamentale che io arrivi in ritardo, per almeno tre motivi: il primo è che non posso permettere che sembri che io sia in ansia per quest’appuntamento. Il secondo è che voglio dare peso anche al mio lavoro, dopo che ieri sera lui ha monopolizzato la conversazione con i suoi aneddoti da ospedale, e quindi gli dirò che sono stata trattenuta per questioni importantissime. Il terzo, e più importante, è che mi conviene arrivare quando lui si sarà stancato già un po’, in modo da poter correre meno e sembrare fresca.
Arrivo alle sette e venti e lui non c’è. Mi posiziono cautamente vicino al cancello per dedicarmi allo stretching, cosa che non faccio quasi mai. Qualche minuto a fine corsa e via, certo mai prima di correre. Invece mi fletto, mi stiro, mi allungo, flessuosa come un’atleta professionista, guardandomi intorno solo con la coda dell’occhio, per non dare a vedere che mi sto chiedendo dove sia.
Lo vedo arrivare, sta girando intorno all’Arena, ma faccio finta di niente e continuo diligente con i miei esercizi. Allungo la gamba e mi piego in avanti, ma senza quella specie di leggera incurvatura, simile a una gobba, che si fa per portare la fronte verso il ginocchio: io avvicino il petto alla coscia, inarcando elegantemente la schiena all’indietro.
Probabilmente sono bellissima da vedere, ma rischio uno stiramento seduta stante, avvertendo un dolore lancinante proprio mentre Ottavio arriva da me.
«Ciao! Ma che brava che fai stretching!»
«Ciao! Sai, è necessario allungare i musc…» dico cercando di mascherare la sofferenza.
«Io non lo faccio mai!» precisa lui. «Lo so che dovrei, ma sono pigro! Andiamo?»
«Andiamo!»
E iniziamo a correre vicini.
Gli chiedo quanto ha già corso e lui dice che si è fatto un paio di chilometri.
Mi sembra che si trattenga, adeguandosi al mio passo, e allora cerco di accelerare un po’. Paradossalmente, mi sento più rilassata che a correre con Jacopo. Quel ragazzo mi sembrava talmente competitivo! Invece noi chiacchieriamo, e quindi non procediamo troppo veloci. Insomma, siamo qui per correre ma in qualche modo la corsa è secondaria rispetto alle parole, che arrivano fluide e ininterrotte. Lui abita al quartiere Portello, una zona in completa riqualificazione urbanistica a metà di viale Certosa. È abbastanza vicino ma questo non è esattamente il suo parco: ci sarebbero aree verdi ben più alla sua portata. Solo che, lo sostiene anche lui, qui è più bello. E poi si trova a metà strada fra casa sua e il Fatebenefratelli, dove lavora, quindi è presto detto.
Mi rendo conto che ho dimenticato di attivare Kilometers, quindi non posso controllare la distanza percorsa e non mi va di chiederglielo perché non voglio che pensi che sono stanca. Anche perché non lo sono. Andrei avanti a correre all’infinito, credo.
«Stai tenendo il conto dei chilometri?» mi chiede accorgendosi che guardo il cellulare. «Io ho dimenticato di far ripartire il GPS.»
«Io ho proprio dimenticato di far partire l’app!» rispondo indicando il mio iPhone.
«Quanto avremo fatto?»
«Non molto, credo.»
«Dovremmo essere sui sette secondo me. Hai ancora fiato?»
Così tanto? Non me n’ero resa conto. Ma non interromperei questo momento con lui per niente al mondo. «Certo!» rispondo.
«Peccato… perché pensavo di offrirti qualcosa di dissetante…»
«Be’ dai, in fondo anche l’idratazione è molto importante per un runner e…»
«… e allora andiamo a farci un aperitivo!»
«Ma vestiti così? E tutti sudati?»
«Cosa vuoi dire, che sono vestito male?»
«No, cioè…»
«Scherzo, dai, sono in pantaloncini e maglietta, mi distinguerò in mezzo alla massa fighetta. Tu invece sembri vestita da aperitivo!»
Mi guardo e non posso non dargli ragione. Con i miei pantaloni tecnici attillati, la canotta nera e le scarpe da corsa fucsia sono forse un po’ appariscente ma faccio la mia discreta figura. Lui ha dei normalissimi pantaloncini blu, una maglietta dello stesso colore e scarpe da corsa arancioni. Siamo decisamente diversi dai fighetti milanesi all’ora dell’aperitivo, ma posso dirlo: siamo proprio belli!
E così ci ritroviamo davanti a un mojito e a un bicchiere di vino bianco, seduti a un tavolino all’aperto con vista Arco della Pace, sudati e contenti. Ottavio si è allontanato un attimo per rispondere a una telefonata, quando mi sento chiamare.
«… Scusa?»
Mi volto. La voce proviene dalla mia destra e appartiene a una ragazza, giovanissima, lì in piedi vicino al mio tavolo con un’amica.
«Sì?»
«Tu sei LaCosmetologa, vero?»
«Sì, sono io.»
«Ti abbiamo riconosciuto. Volevamo dirti che seguiamo il tuo blog sei fantastica!»
Io mi gaso. «Be’, grazie!»
«Senti, non è che possiamo fare un selfie con te?»
«Un selfie?»
«Sì, da postare su Instagram…»
«Va bene, certo!»
Le ragazze si avvicinano, si presentano e poi estraggono gli iPhone per la foto.
Sfodero il mio miglior sorriso e con la coda dell’occhio scorgo Ottavio, che assiste prudente alla scena senza avvicinarsi.
«Grazie, sei stata carinissima! Continua con il blog, è divertentissimo!»
Saluto e ringrazio le ragazze e quando si sono allontanate Ottavio torna a sedersi.
«Sei famosa, quindi.»
«Ma no, figurati! Solo qualche lettrice del blog.»
«Ti capita spesso?»
«No, non spessissimo.» In realtà non mi era mai successo niente del genere.
Vado a lavarmi le mani, poi ci riempiamo i piattini da happy hour consapevoli che non è esattamente il tipo di pasto che il coach Cataldo approvereb...