CAPITOLO DUE
Il convoglio proseguiva a velocità moderata. Se Dafne avesse viaggiato in aereo, piuttosto che in treno, sarebbe giunta a destinazione prima del previsto, il che non le sarebbe dispiaciuto. Oltretutto non si sarebbe dovuta preoccupare di viaggiare da sola a quell’ora della sera.
Lo scompartimento era completamente vuoto: non c’era anima viva eccetto lei e lo sconosciuto la cui presenza non era riuscita ad alleviare il senso di disagio che a tratti l’aveva colta. Durante i primi minuti di viaggio facce bieche avevano fatto capolino tra le carrozze in cerca di chissà cosa, magari solo del proprio posto a sedere, rendendo l’atmosfera inquietante. Il suo bel vicino sembrò non curarsene ma Dafne, invece, sì.
Questo viaggio è stata una pessima idea, si disse.
Il silenzio delle ore serali sembrava intensificare ogni sensazione e lei si fece prendere dall’angoscia, mentre percepiva una sottile corrispondenza tra il cigolio del treno e il battito del proprio cuore turbato.
Si sentiva vulnerabile.
In futuro avrebbe dovuto sincerarsi che Laura, la segretaria della ABC TRADUZIONI, non facesse prenotazioni a orari improponibili. Non che le nove di sera fossero un orario così inaccettabile ma, per una donna che viaggia da sola per un tempo abbastanza prolungato, in un convoglio vuoto e con l’unica compagnia di un estraneo, lo era eccome.
«Biglietti, prego!» Il controllore la distrasse più dai suoi pensieri che dalla lettura nella quale non era ancora riuscita a immergersi.
Non si era nemmeno accorta che lo sconosciuto, che sfoggiava un volto velato da una piacevole ombra di barba incolta, si era tolto la giacca restando in maniche di camicia. Stava annotando qualcosa su un taccuino dalla usurata copertina in pelle, un oggetto piuttosto in contrasto con l’aspetto curato che esibiva.
Mostrato il biglietto al controllore, che sparì subito dopo oltre la porta scorrevole della carrozza, si impegnò per isolarsi nuovamente da qualsiasi cosa avesse attorno.
Se non che…
«Le dispiace?» disse una voce maschile avvolgente, roca e sensuale.
Quel tono caldo la colse alla sprovvista e lei sollevò lentamente lo sguardo per incontrare gli occhi dello sconosciuto, ormai seduto accanto a lei, che la fissavano intensamente.
«Scusi?» domandò esitante.
«Mi chiedevo se le dispiace che mi sia seduto qui» disse lui allentando il nodo della cravatta.
Un gesto che la portò a osservargli le mani peccaminosamente, immaginandosele addosso per un istante.
Inquieta corrugò la fronte e poi si concentrò sulla conversazione.
Cosa significa?
«No, direi di no. Se quello è il suo posto, perché mai dovrebbe dispiacermi? Presumo che abbia una regolare prenotazione per stare lì.»
«Be’… non proprio, altrimenti non glielo avrei domandato. Poco fa mi è parso che mi guardasse di traverso, per cui ho pensato che fosse infastidita.»
Dafne non capiva dove quell’uomo volesse andare a parare. Come poteva sapere se quello era o non era realmente il posto che lui doveva occupare? E poi… se non gli aveva detto nulla il controllore che cosa avrebbe dovuto dirgli lei?
«No, si sbaglia, non l’ho guardata di traverso. Sarà stata una sua impressione» rispose risoluta.
In verità se l’era mangiato con gli occhi per tutt’altro motivo, qualcosa che non aveva nulla a che vedere con la prenotazione ferroviaria.
«Ne è sicura? C’è tutto un treno vuoto a disposizione. Potrei anche spostarmi, se fosse necessario.»
Che cosa voleva da lei?
Più insisteva con quel discorso e più la mandava in confusione. Quello era o non era effettivamente il suo posto? E se non lo era, perché lo aveva occupato? Che cosa aveva in mente?
Voglio augurarmi che non sia un depravato con cattive intenzioni. Si accigliò.
«Mi scusi, quello è il suo biglietto?» domandò allora, volgendo lo sguardo in direzione del pezzo di carta che spuntava dalle pagine del taccuino.
«Certamente.»
«Le dispiace mostrarmelo?»
«Niente affatto… » le disse sorridendole, compiaciuto per aver destato la sua attenzione.
Si sporse oltre il corridoio centrale e le allungò il biglietto.
La carrozza era giusta ma in effetti quello non era il suo posto, avrebbe dovuto occupare il sedile a sinistra di quello sul quale sedeva. Non doveva stare in prossimità del corridoio centrale, ovvero accanto a Dafne, bensì vicino al finestrino opposto. Aveva solo slittato di una postazione.
E allora, perché mai tutto quel parlare? La stava prendendo in giro? Pensava di abbordarla con una scusa così banale?
Di fatto, quando era arrivato, lei aveva pensato che si stesse muovendo verso un’altra carrozza. Poi, improvvisamente, aveva fatto dietrofront e si era accomodato accanto a lei. Ora, con quella domanda senza né capo né coda, lei aveva quasi creduto che effettivamente lui avrebbe dovuto trovarsi altrove. Insomma, se quell’uomo voleva mandarla in confusione ci stava riuscendo e se voleva irritarla… stava riuscendo a fare anche quello.
Dafne gli lanciò un’occhiata.
Non voleva iniziare una conversazione, men che meno con un uomo così affascinante da toglierle il fiato. Non era proprio in vena. Quindi, se la sua intenzione era quella di attaccare bottone, gli lasciò intendere che non era il caso.
«Gliel’ho detto… se quello è il suo posto, il problema non sussiste» tagliò corto. Gli fece un mezzo sorriso forzato e gli restituì il biglietto, che lui ripose tra le pagine del taccuino, esattamente dove lo aveva prelevato poco prima. «Buona continuazione» aggiunse infine.
Che io possa sprofondare negli abissi, se ho appena detto per davvero «buona continuazione». Come mi è saltato in mente? si domandò.
Avrebbe preferito mordersi la lingua, piuttosto che dire una tale idiozia. Ma ormai il danno era fatto e, cosa imbarazzante, non poteva nascondersi dallo sguardo di quell’uomo che, malgrado tutto, sembrava non volere demordere.
«Buona continuazione?» fece eco, perplesso, sollevando un sopracciglio. «Oh, certo…» disse, afferrando il concetto. «Altrettanto.» Si mostrò divertito e si rimise a scrivere senza aggiungere altro.
Dafne si sentiva a disagio, persino dispiaciuta. Cercò di riprendere la lettura ma, percependo un movimento di quell’individuo, si distrasse perdendo la concentrazione che, a dirla tutta, non aveva ancora trovato dal momento in cui il convoglio era partito. Sollevò lo sguardo e colse lo sconosciuto intento a scrutare con un certo interesse le sue gambe accavallate, esattamente dove poggiava il libro che teneva tra le mani.
Questo è troppo! si disse, infastidita e sconcertata, convinta che volesse guardarle sotto la gonna.
Poi le tornò in mente che qualche ora prima, per affrontare il viaggio in treno comodamente, aveva indossato un paio jeans. Quel metro e ottanta di distrazione, quindi, non era interessato alle sue gambe. A cosa, dunque? Stava forse tentando di capire quale libro la impegnasse a tal punto da non volere conversare con lui?
«Quando viaggi non c’è cosa più fastidiosa di qualcuno che sbircia il titolo del libro che tieni in mano. È come se volessero curiosarti nelle mutande, una violazione della privacy nel vero senso della parola» ripeteva sempre a Sergio, quando la prendeva in giro per quella sua ossessione che riusciva a farla andare su tutte le furie.
Non è che stesse leggendo qualcosa da nascondere o di cui vergognarsi. Tuttavia non comprendeva per quale motivo quella persona, che non aveva mai visto prima, dovesse curiosare il titolo del suo libro. In un gesto adolescenziale, che la diceva ben più lunga del goffo “buona continuazione” di poco prima, inclinò in avanti il volume che sorreggeva, impedendo allo sconosciuto di indagare oltre.
«Be’, ci ho provato» disse lui, spiazzandola. «Non vuole dirmi cosa sta leggendo?» domandò. «Sarò discreto. Custodirò il segreto» concluse donandole uno sguardo che le fece mancare un battito.
«Nulla di interessante» rispose lei di getto, increspando l’angolo della bocca in un mezzo sorriso che, per quanto fosse forzato, gli sembrò talmente sensuale da non riuscire, per tutto il resto del viaggio, a toglierle gli occhi di dosso. Quella morbida increspatura aveva acceso il suo desiderio: avrebbe voluto stuzzicare quella bocca femminile, rosea e turgida, con le proprie labbra umide e impazienti.
Dafne si sentì spaesata, come se percepisse il desiderio di quell’uomo, come se sentisse il bisogno di abbandonarsi a una bramosia inespressa, almeno verbalmente… i segnali tipici del linguaggio corporeo di un seduttore, in primis le rapide e intense occhiate che lui le destinava e che attiravano la sua attenzione, c’erano tutti.
Si sentiva accaldata, se il convoglio avesse avuto un bagno con doccia, ne avrebbe approfittato per spegnere sotto a un getto d’acqua gelida i propri bollori.
Si tolse il giubbotto di pelle.
«Capisco» disse lui. «Mi dispiace, non volevo essere invadente… Piacere, Josh.» Si alzò, le si accostò e le porse la mano destra, presentandosi.
Dafne parve ammorbidirsi.
«Josh… è inglese? O americano?» domandò.
Gli strinse la mano, tralasciando volutamente, per qualche incomprensibile ragione, di dirgli quale fosse il proprio nome.
«Metà inglese.»
«E l’altra metà?»
«È una storia lunga. Si annoierebbe.»
«Oh, va bene. Come preferisce» rispose lei cogliendo l’occasione per tagliare corto: dal primo momento in cui Josh aveva messo piede nello scompartimento Dafne si era sentita minacciata a livello ormonale e il viso di Sergio continuava a passarle davanti agli occhi imbarazzandola.
«Mi è sfuggito il suo nome…» aggiunse Josh.
«Che sbadata, credo di non averglielo detto. Mi perdoni» rispose. «Dorotea… piacere mio.»
Dorotea?
Che dia...