Quarta parte
«Ti sembra normale?»
Il calar della sera, per gli indigeni, si chiama cumbrugliume. È a quest’ora che il centro storico di Arezzo sembra ogni volta una tela non ancora eternata. Max fissava l’insegna di un bar alla fine di via Madonna del Prato, vicino a piazza Risorgimento.
«Caffè de Lisboa. Ad Arezzo. Ti sembra normale?»
Fabio non era troppo interessato al tema, ma anche nelle amicizie migliori non si ha sempre la fortuna di scegliere argomenti degni di nota.
«Dipende dal concetto di “normalità”. Se lo vogliamo far coincidere con il temibile Martorini, per esempio, allora il nome di questo bar è da ritenersi pertinente.»
«Non c’è bisogno che parli come una dispensa di Bobbio, Fabio. E comunque sì, il temibile Martorini è quanto di più distante dal concetto medio di normalità.»
«Magari a Lisbona esiste un Arezzo Bar, vai a sapere.»
«Lo so eccome, perché a Lisbona sono stato spesso. E ovviamente non c’è nessun Arezzo Bar. Loro hanno i pastéis de Belém, che se ne fanno dei nostri banalissimi cornetti integrali al miele?»
«Sono buoni.»
«Non quanto i pastéis de Belém.»
Boh, sarà vero, pensò Fabio, che fece cadere l’argomento perché un po’ sì ma poi dopo anche basta.
Oltrepassata la piazza, i due presero a ritroso corso Italia come due salmoni di mezza età.
«Santa Martina da Rete 4 è già stata fatta beata?»
«Come no. Da Ratzinger, che è tornato papa apposta.»
«Attento, se lo scrivi sul copione quel babbeo del Cirini ci crede. E dà a Castellitto la parte di Ratzinger.»
«Sempre ammesso che Castellitto torni dal Belize.»
«Sempre ammesso.»
Era l’ora giusta per l’aperitivo e un giorno intero di prove aveva fatto venire fame a entrambi.
«Domani sera sarà un disastro.»
«Come minimo. Credevo che la Brigata Enfisema facesse piangere. Mi sbagliavo: inducono direttamente alla morte.»
Max non aveva torto. Giovanni e il basso erano ormai rette parallele, mentre Vaiana e la batteria erano due pianeti che si erano suicidati collidendo decen ni fa.
«Quattro ore di prove e non una volta che siano andati a tempo. Una che fosse una.»
«Be’, non è che anche noi abbiamo proprio dato spettacolo.»
«Fabio, c’è una differenza sostanziale tra il suonare malino e il suonare di merda. Tu hai suonato malino, io ho suonato e cantato maluccio. Loro hanno dato voce all’Apocalisse. Permettimi, ma è una differenza sostanziale.»
«Ti permetto, ma quando l’Apocalisse incontra un chitarrista e un tastierista canterino, il chitarrista e il tastierista sono uomini morti.»
Max fissò un punto a caso dell’orizzonte.
«Sì, domani sera sarà un disastro.»
Per quanto l’imminente futuro si presenti non proprio benevolo, per motivi ora strumentali e ora clinici, Fabio e Max sono sorridenti. Siedono davanti a due vini mediamente frizzanti e parecchio torbidi, e non è il loro primo bicchiere. Federica non staccherà prima delle dieci di sera e già c’è Bergie ad aspettarla a casa. Quanto a Troiaio, quando hai passato cinque anni randagi senza che ti considerasse mezza persona che fosse mezza, non è che stare da soli sopra un materasso memory a due piazze sia poi questo gran problema.
Il motivo del ritrovato buonumore della coppia è duplice. In primo luogo, il Lievito Madre mette sempre buonumore. Il vino è strano ma buono, la pizza perfetta e non c’è mai troppa gente. Oltretutto Paolo conosce la regola aurea degli Osti Illuminati: «Parla con i clienti solo quando intuisci che hanno voglia di parlare, e non abusare mai della loro attenzione anche se sono amici di vecchia data». È una regola che sembra facile, ma che ha ucciso nei secoli un esercito smisurato di osti magari anche bravi, ma fatalmente petulanti e dunque prima o poi molesti.
Il secondo motivo è che, seduta al tavolo alle spalle di Fabio e davanti allo sguardo perso di Max, c’è una donna bellissima. Arezzo ne è piena, anche se spesso, per via della parlata non proprio angelica, non appena aprono bocca ogni afflato agonizza. Va detto però che questa è più che altro una malignità messa in giro dai toscani, campanilisti come e più degli altri, che qualche difetto – oltre a Licio Gelli – alla inconsapevolmente bella Arezzo devono pur trovarlo. (E comunque, sia messo una volta per tutte agli atti, Gelli era nato a Pistoia.)
La donna bellissima non ha ancora parlato, e non si sa quindi se abbia voce da orco o da fata, ma non ce ne frega nulla perché è davvero bella. Max ha tanti difetti, ma su questioni dirimenti come questa non sbaglia quasi mai.
«Non se n’è mica accorta che la fissi, Max.»
Effettivamente la sta fissando.
«Lo faccio per il suo bene. Guarda con che mostro Aniba si fa accompagnare.»
Non si è mai capito perché, più una donna è sexy, più si mette con dei buzzurri da nulla.
«Capisco che per la donna la bellezza non sia tutto: ma proprio niente, cazzo.»
«Magari a lei piace.»
«Solo se è parecchio orba. Ha il naso a palla, la chierica, è sovrappeso, suda e sicuramente vota il Brac cini.»
«E magari ha pure responsabilità sul caso di Ustica.»
«Come minimo.»
Anche questo è un classico: quando un uomo vede un suo simile accompagnato da una donna di perfezione spettacolare, deve per forza immaginare che quel suo simile sia in realtà un mostro. Uno zozzo, un avanzo di galera. Va anche detto che, in questo caso, non è che Max avesse bisogno di forzare particolarmente la realtà.
«Secondo te come si chiama?»
Fabio continuava a dare le spalle alla coppia composta dal mostro e dalla Dea.
«Boh. Franco, per esempio. Matteo. Oppure Piergiorgio.»
«Ma non lui, scemo. Cosa me ne frega di quel troiai... insomma, quel mostro.»
«Perché ti sei fermato mentre dicevi troiaio? Pronunci cose parecchio peggiori, fidati.»
«Perché non voglio offendere il mio cane.»
«...»
«...»
«...»
La rivelazione era enorme e al contempo criptica. 1) Max, che ha sempre odiato i cani, ha un cane? 2) E da quando ce l’ha? 3) E che c’entra un cane con un troiaio?
Troppe domande in un colpo solo, per il povero Fabio.
«Ma niente, ho preso un cane.»
«Tu hai preso un cane?»
«Mi ha salvato la vita.» Max lo disse pianissimo.
«Eh?»
«Mi ha salvato la vita. Ieri sera.»
«Ma come ti ha salvato la vita? Da chi?»
«Dall’Isis.»
«Dai Max, non fare l’idiota.»
«In effetti, sì.»
«E come si chiamerebbe questo cane?»
«Troiaio.» Anche questo, Max, lo pronunciò parecchio piano.
«Come hai detto, scusa?»
«Troiaio. Si chiama Troiaio. È brutto come un troiaio. Ma è il mio troiaio. E non è brutto come quell’imbecille che hai alle spalle.»
Fabio rinunciò a capire.
«In ogni caso, la donna alle tue spalle va senz’altro ritenuta un capomantice assoluto.»
Alt, fermi un attimo. Un passo indietro. Uno dei metodi per sottolineare la propria diversità dal resto del mondo, valido per ogni tribù, è codificare un personalissimo linguaggio, fatto di parole e fonemi ignoti a tutti. Tranne che a te. Ed è giusto il caso della parola «capomantice». Quando ancora la facoltà di lettere ad Arezzo si chiamava Magistero e stazionava nella collina ridente di San Fabiano, tra le mura meno ridenti di Villa Godiola, uno dei problemi principali che si trovarono ad affrontare Fabio e Max fu quello di districarsi in un numero davvero portentoso di belle ragazze. Capite però bene che un ventenne non possa certo chiamare delle ramificazioni della Perfezione «belle ragazze», perché suona troppo didascalico e soprattutto troppo poco porco. A questo punto, Fabio e Max convennero sul fatto che non si potesse dirimere una tale controversia adottando la facile parola «figa», che peraltro da queste parti si dice «fica» con la «c», e se usavi la «g» fino a qualche anno fa rischiavi la vita o – peggio – una presa di culo monumentale.
Da ciò era nata una classificazione puntigliosissima, attraverso la quale Fabio e Max (soprattutto Max) catalogavano le bellezze del creato. Tale classifica, poi adottata anche dal Devoto-Oli e quindi subito dopo dai cattedratici della Crusca, era così composta: 1) bricia; 2) minibricia; 3) capoverro; 4) capomantice; 5) Michelle Pfeiffer.
Per rendervi edotti di un aspetto a cui forse avete sinora dato troppo poca importanza, vi riassumerò le caratteristiche dei cinque microgruppi.
1)Bricia. Dicesi tale la ragazza che un uomo banale, quindi per esempio il temibile Martorini, definirebbe «carina». Secondo la qui nota Scala Vaiana, depositata anch’essa alla Crusca ma in attesa del giudizio finale, una bricia raggiunge il grado 2 Cialis, provocando scompensi ormonali di media grandezza. Comunque controllabili.
2)Minibricia. Si distingue dalla bricia per l’aspetto fatalmente lolitesco, che le deriva non dalla giovane età ma da un’apparenza angelica e lascivamente candida. Secondo la Scala Vaiana, la minibricia raggunge il grado 4 Cialis. E gli scompensi ormonali cominciano a essere difficilmente gestibili.
3)Capoverro. Dicesi tale la donna che in gergo da stadio o bar di Caracas «fa sangue». È quella che, quando la vedi, non ti fa esattamente pensare a un simposio su Demostrato. Gli autori di tale definizione, quindi Fabio e Max, ne sconsigliavano l’uso in presenza di donne, perché l’accusa di «sessismo» sarebbe scattata subito. Una volta Fabio se ne dimenticò e ne scaturì uno dei tre litigi in trent’anni con Federica. La Scala Vaiana le attribuisce un 7 Cialis e 3 Sincopi. Più che scompensi ormonali, produce tsunami.
4)Capomantice. Dicesi t...