Se non ti vedo non esisti
eBook - ePub

Se non ti vedo non esisti

  1. 200 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Se non ti vedo non esisti

Informazioni su questo libro

Anita, redattrice in una rivista di moda, è quello che tutte sognano di essere: bella, giovane, elegante e colta. Ma anche tremendamente complicata. Sua madre e sua sorella, così concrete, non capiscono da dove arrivi la sua inquietudine, quella voglia di mangiarsi ogni attimo come fosse l'ultimo e di scappare a gambe levate non appena qualcuno minaccia di metterla in gabbia. Anita però lo sa bene: quando si guarda allo specchio, le sue "mille me" - così le chiama lei - riflettono i suoi cambiamenti di umore e la incoraggiano, la contraddicono, la rimproverano quando sbaglia. Perché Anita sbaglia spesso, soprattutto quando si tratta di uomini. I suoi errori più grandi sono tre: Filippo, affascinante e indisponibile, incontrato per caso su un volo per New York; Flavio, un incrocio di sguardi che si è trasformato in passione; e poi Jacopo, il marito che le è sempre stato accanto ma ultimamente sembra non capirla più. Anita crede di amarli tutti, ma forse la verità è che la vita le sta sfuggendo di mano, come la sua immagine riflessa nello specchio. Dovrà scavarsi dentro e fare i conti con un passato ancora dolorosissimo, per imparare a prendersi cura di sé senza smettere di innamorarsi e di sbagliare: solo così potrà ricominciare a vedersi, e a esistere, davvero.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2017
eBook ISBN
9788858687253

1

Sono davanti allo specchio dalle sette di questa mattina.
Dopo essermi svegliata di colpo da un sogno che, per quanto mi sforzi di ricordare, non mi torna in mente, ho percorso a piedi nudi il pavimento della mia stanza da letto dritta verso il bagno.
Questo pavimento è così freddo nelle mattine torbide degli ultimi tempi, in cui anche il sogno più recente non trova la strada per la memoria e, cercando tracce della notte nel riflesso del mio specchio, non c’è modo di tirar fuori null’altro che la ripetizione ossessiva dei soliti gesti: sciacquo la faccia, lavo i denti, metto la crema idratante (ma forse è il caso di cominciare a usarne una antirughe) e poi inizio a truccarmi.
È un procedimento lunghissimo perché ogni gesto è seguito da una profonda pausa in cui mi fermo a riflettere sul nulla.
Strano riflettere sul nulla. Il mio nulla è tutto, per ogni volta in cui mi sono detta “non è nulla!” davanti a un fortissimo pugno allo stomaco, a un crampo al cuore, a un attacco d’asma illuminante, per tutte quelle volte in cui ho capito che non c’era poi una grande differenza tra la mancanza di carezze e quella di ossigeno.
Il mio nulla è un armadio dove con disattenzione ripongo cose importanti. Le butto dentro senza aprire troppo le ante, anzi ne dischiudo leggermente soltanto una e con un gesto veloce ci nascondo il mio dispiacere.
Ciao. Vai. Se rimarrai lì dentro non esisterai più qui fuori, ti lascio nell’ombra, dove non posso vederti.
Se non ti vedo non esisti.
Se non mi vedi non esisto.
E siamo rimasti così. «Non cercarmi per un po’!» mi ha detto.
E io non l’ho fatto.
È il momento del blush. Lo metto color pesca, che mi dà un po’ di vita, perché questa carnagione olivastra non mi aiuta affatto.
Occhi negli occhi. I miei occhi.
Passo il pennello morbido sugli zigomi, così mi si arrotonda il viso. Ultimamente ho l’aria sciupata di una che digiuna da giorni.
«Stai mangiando qualcosa?!» mi chiedono sempre. Certo che sì, è che mi va tutto di traverso.
Non andrei oltre con il blush perché è un attimo che divento Moira Orfei.
Non sono andata oltre le sue parole. Mi sono fermata quell’istante prima della fitta al petto, quell’istante prima della lacrima che fa traboccare il pianto. Ho annuito, quello ho potuto fare.
Non ho potuto nemmeno guardarlo negli occhi quando me l’ha detto, perché me l’ha detto al telefono.
Mi chiedeva di avere pazienza e di non cercarci per un po’.
A me, che ho la fretta nel sangue e le mani nervose di chi deve sempre trovarsi qualcosa da fare, che non conosco l’attesa; e sì, moltiplicherà anche il piacere, ma mi faccio un gran piacere quando vado a prendermi le cose da subito.
Dovevo avere pazienza io, che quando si tratta di emozioni nella mia vita contemplo solo la parola adesso e che per tutto il resto rimando sempre a domani, che diventa il mese dopo, che diventa chissà quando.
Adesso, però, era arrivato il momento di andare a cercare tutte le altre cose importanti dentro all’armadio del nulla, perché in quelle parole – “non-cercarmiper-un-po’” – non c’era nessuno spazio disponibile per i miei capricci.
Il rossetto lo metto ma poi lo tolgo tamponando il fazzoletto sulle labbra, così le coloro ma non sembro una pronta per andare in discoteca. Sono solo le nove del mattino, in fondo.
Quando ho riattaccato, mettendo a faccia in giù il telefono come se avessi messo a faccia in giù anche lui, come se avessi voluto metterlo in castigo contro il tavolo della cucina, come se avessi voluto schiacciarlo come si fa con una bottiglia di plastica vuota prima di buttarla via, ecco, quando ho fatto quel gesto mi sono sentita un po’ strana.
Mi mancava la terra sotto ai piedi? Non lo so, non so cosa vuol dire non avere la terra sotto ai piedi, non ho mai volato, né sono mai precipitata giù da un burrone.
Almeno, non fisicamente.
Avevo risposto: «Capisco», ma non era affatto vero. Se avessi realmente capito non starei qui a chiedermi il perché di un silenzio assordante che mi dilania il cervello.
Volevo parlare invece.
Il mascara lo metto, avrò una scusa se mi scappa da piangere in giro per la città. “Tutto bene, questo mascara mi fa lacrimare gli occhi in una maniera incredibile!” risponderei sorridendo ai passanti preoccupati.
Non ci crederà nessuno, mai nessuno. A meno che, d’ora in poi, non inizi a chiamarti “Mascara”. Allora tutto tornerebbe ad avere un senso.
D’ora in poi.
Perché, caro il mio Mascara, ormai sono settimane che non ti sento, e per quanto io sia riuscita a nascondere adesso nell’ombra insieme ai miei nulla, non so per quanto ancora riuscirò a resistere alla tentazione di aprire quell’armadio.
Non ho messo il fondotinta e sì che ne avrei bisogno. Mi perdo in queste riflessioni e salto dei passaggi importanti. Il fondotinta. Queste occhiaie vanno coperte, questi cerchi neri, questi pugni agli occhi. Sono i segni della mia insonnia. Sembra mi abbiano picchiato e, a pensarci bene, è come se lo avessero fatto. Ci si sente un po’ violati quando qualcuno, improvvisamente, ti priva di qualcosa di bello, che ti faceva stare bene, anche se lo fa con una ragionevole scusa. Di punto in bianco, puff, tutto scompare. E non è come perdere gli occhiali da vista, che alla fine, dopo una lunga e attenta ricostruzione di tutte le cose che hai fatto prima che sparissero, riesci a ritrovare in quel bar dove avevi preso il caffè, o in quella borsa che avevi usato per quella cena elegante. O in testa, qualche volta quando li tiri su a mo’ di cerchietto.
Se ti avessi in testa lo sentirei. E lo sento effettivamente: sei in testa. Non sopra, ma dentro, anche se so che non sei reale. Dentro la mia testa non vale. Dovresti essere qui davanti ai miei occhi: così potrei guardarti con rabbia per queste notti in bianco, per le conversazioni allo specchio, per questo nulla che mi divora pezzettino dopo pezzettino.
Se non ti vedo non esisti. Allora perché sei padrone di ogni istante di questi giorni?
Non si fa così. Non si dice “Non cercarmi per un po’” senza definire “un po’”. Quanto è lungo questo poco?
«Vado via.»
«Dove vai?»
«Non ti è dato saperlo.»
E sei uno stronzo.
No, la stronza sono io. Ma non vuoi dirmelo, non me lo diresti mai nemmeno tutto d’un fiato, che magari nella velocità non ti accorgi d’averlo detto davvero.
Non ti ho mai visto arrabbiato con me, e in effetti non è successo nemmeno quella sera, all’altro capo del telefono ho solo potuto immaginare dal tono di voce la tua fronte contratta e gli occhi stretti a fessura. La faccia scura.
Nemmeno tu vedi il mio volto triste, adesso, e non sai cosa darei per non vederlo io.
Sono le nove e mezza del mattino ed è durato fin troppo questo tentativo di mascherare l’umore nero. A piedi nudi, sul pavimento ancora freddo, mi spingo verso il guardaroba con il grande desiderio di sentirmi bella. So già che potrei perdermi tra maglioni e gonne e rischierei di non uscire mai più di casa mentre intavolo conversazioni con le mie mille me in continuo disaccordo su tutto.
Lui le chiamava “le riunioni condominiali”.
Genuflessa davanti al dio armadio per i dieci minuti di sacro silenzio in cui attendo il miracolo della vestizione, esausta di cercare l’abito perfetto, ripiego su un jeans strappato all’altezza delle ginocchia e una maglietta bianca subito coperta da un caldissimo maglione blu.
Adoro il blu. È in assoluto il colore più elegante che esista e mi dà sicurezza.
Lo specchio della camera da letto non è abbastanza grande perché mi possa guardare per intero, così mi alzo sulle punte dei piedi e inclino la testa verso destra, quel movimento automatico che faccio quando scorgo la mia figura riflessa dove capita, in uno specchio o nelle vetrine dei negozi. Inclino la testa come per soppesare quel corpo lungo e secco.
Metto il cappotto e le scarpe davanti alla porta di casa, prendo la borsa, le chiavi ed esco.
Il suono della porta che incontra la serratura è il suono più bello. La chiusura, quel clic, le chiavi che girano nel verso giusto per lasciare tutti questi discorsi, a tratti ad alta voce, dentro casa almeno fino al mio rientro.
Evito l’ascensore e scelgo le scale: non ho voglia di ritrovarmi ancora dentro una stanza stretta insieme a uno specchio. Scendo un gradino alla volta, lentamente, perché oggi non ho fretta. Oggi metto in pausa le parole, la punteggiatura, i fogli bianchi da dover necessariamente riempire.
Alle volte vorrei starmene in silenzio senza pensare, comunicando con il mondo esterno tramite i gesti: un sorriso, un’alzata di mento, un pollice all’insù.
La vita dello scrittore è magnifica ma succede anche a me di non voler parlare, di non voler scrivere, di non avere nulla da dire.
Dovrei finire quell’articolo sui sandali invernali, queste scarpe che lasciano il tallone e le dita dei piedi scoperti ma hanno l’interno rivestito di pelo, caldissimo pelo. Lo metti con i calzini pesanti e tac, il sandalo invernale è perfetto... Perfetto, nel mio caso, per essere riposto in fondo al mobiletto delle scarpe, da usare in casa quando non trovi le pantofole perché Napoleone le ha portate nella sua cuccia per rosicchiarle.
Napoleone!
Ho dimenticato il cane a casa nella fretta di scappare dal pensiero dei pensieri.
Con uno scatto veloce riapro il portone e risalgo le scale di corsa, due gradini alla volta, con l’ansia di chi ha lasciato il figlio al supermercato, il computer in panetteria, le chiavi della macchina appese alla portiera, il libro avvincente nell’hotel delle vacanze, l’hard-disk con la musica di una vita intera sul termosifone.
Con quest’ansia apro la porta di casa a fatica, perché quando hai fretta la serratura si fa sempre più piccola e le chiavi diventano giganti e stai piegata davanti alla toppa come un ladro di fronte alla cassaforte.
Napoleone è lì, a pochi metri da me, mi fissa con gli occhi dolci di chi spera di non essere stato dimenticato. Gli stessi occhi con cui mi ha guardato la prima volta che l’ho visto, entrando in casa, piazzato davanti alla porta con un fiocco rosso al collo e un cartellino con su scritto: “Buon compleanno, Anita. F.”. Un basset hound di pochissimi mesi, con le orecchie lunghe fino al pavimento e le occhiaie nere di chi non dorme mai.
«Oddio!» Il mio grido di gioia misto a stupore e poi lo slancio verso quella pallina di ciccia per prenderla in braccio e stringerla al petto.
«Tanti auguri...»
«Sei matto. È troppo... non dovevi!»
«È una promessa.»
«Una promessa?»
«Dài, un basset hound vive circa dodici anni. Potremmo riuscire a sopportarci per più di un decennio.»
«Sembra una minaccia!»
«Una scommessa.»
«Vada per la promessa.»
Poi all’improvviso il caldo tra le braccia che non sembrava il vento tiepido di maggio, la mia maglia di cotone o il nostro dolce abbraccio.
«La tua promessa mi sta urinando addosso.»
Eccola lì, adesso, la sua promessa spalmata sul pavimento dell’entrata di casa, con una pallina di Natale in bocca e tantissima voglia di defecare.
Mi avvicino a quel muso tenero per cercare un po’ di calore, lo abbraccio forte e gli inf...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Se non ti vedo non esisti
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. 21
  25. 22
  26. 23
  27. 24
  28. 25
  29. 26