La ragazza che domava gli incubi
C’era una volta una ragazza chiamata Lavinia, che voleva più di ogni altra cosa diventare medico come suo padre. Aveva un cuore gentile e una mente acuta e le piaceva aiutare la gente. Sarebbe diventata un ottimo dottore, ma suo padre insisteva nel dire che non era possibile. Anche lui aveva un cuore gentile, e voleva soltanto risparmiare una delusione a sua figlia; a quel tempo non c’era nemmeno una donna medico in tutta l’America. Pareva inconcepibile che Lavinia potesse essere ammessa in una scuola di medicina, perciò suo padre la spinse verso ambizioni più pratiche. «Ci sono altri modi di aiutare la gente» le disse. «Potresti fare l’insegnante.»
Ma Lavinia odiava le sue insegnanti. A scuola, mentre i ragazzi studiavano le scienze, a lei e alle altre ragazze toccava imparare a cucire e cucinare. Lavinia, però, non si lasciava scoraggiare. Rubava i libri di scienze dei compagni e li memorizzava. Spiava dal buco della serratura mentre suo padre esaminava i pazienti nello studio, e lo tempestava di domande sul suo lavoro. Con un coltello apriva le rane che prendeva in giardino per esaminarne le interiora. Giurò che un giorno avrebbe scoperto la cura per qualcosa. Un giorno, si diceva, sarebbe diventata famosa.
Non avrebbe mai potuto prevedere che quel giorno sarebbe arrivato molto presto, né in che forma. Suo fratello minore Douglas era sempre stato tormentato dagli incubi e negli ultimi tempi quei brutti sogni erano peggiorati. Spesso si svegliava urlando, convinto che i mostri stessero venendo a divorarlo.
«Non c’è nessun mostro» gli disse Lavinia, confortandolo, una notte. «Cerca di pensare ai piccoli di qualche animale, mentre ti addormenti, o a Cheeky che fa il matto in un campo.» E mentre lo diceva diede una carezza al loro vecchio bracco, accucciato ai piedi del letto. Così Douglas, la sera dopo, provò a pensare a Cheeky e ai pulcini mentre cercava di addormentarsi, ma nei suoi sogni il cane si tramutò in un mostro che staccò la testa ai pulcini, e lui si svegliò di nuovo urlando.
Temendo che Douglas potesse essere ammalato, il padre ne esaminò gli occhi e le orecchie e la gola e lo controllò in cerca di eruzioni cutanee, ma non trovò niente che non andasse nel fisico del bambino. I terrori notturni peggiorarono, e allora Lavinia decise di esaminare Douglas da sé, caso mai il padre avesse tralasciato qualcosa.
«Ma tu non sei un dottore» si oppose Douglas. «Sei solo mia sorella.»
«Taci e stai fermo» disse lei. «Ora fai ahhh.»
Sbirciò nella gola, nel naso e nelle orecchie, e in fondo a una di esse, con l’ausilio di una luce, scorse una strana massa nera. Vi infilò il dito e lo mosse di qua e di là ; quando lo tolse, avvolto intorno alla punta c’era un filo di una materia scura e fibrosa. Lavinia allontanò la mano, e tre piedi di quella sostanza fuoriuscirono dall’orecchio di Douglas.
«Ehi, mi fai il solletico!» disse lui, ridendo.
Lei soppesò il filo nella mano. Si agitava, benché leggermente, come fosse vivo.
Lavinia lo mostrò a suo padre. «Che strano» osservò lui, tenendolo alla luce.
«Cos’è?»
«Non lo so» rispose il padre, aggrottando le sopracciglia. Il filo gli scivolava lentamente dalla mano e si dirigeva verso Lavinia. «Però credo che tu gli piaccia.»
«Forse è una nuova scoperta!» esclamò lei, euforica.
«Ne dubito» disse suo padre. «Ad ogni modo, non è niente di cui tu ti debba preoccupare.» Le diede un buffetto sulla testa, mise il filo in un cassetto e lo chiuse a chiave.
«Anch’io vorrei esaminarlo» disse lei.
«È ora di pranzo» replicò lui, mandandola fuori.
La ragazza uscì dalla stanza pestando i piedi, seccata. La questione avrebbe potuto chiudersi lì, se non fosse che Douglas non ebbe incubi quella notte né le notti seguenti, e attribuì la propria guarigione interamente a Lavinia.
Il padre, in proposito, nutriva seri dubbi. Poco tempo dopo, tuttavia, un paziente venne da lui lamentando notti insonni dovute ai brutti sogni, e siccome nessuna prescrizione medica parve dargli sollievo, suo malgrado il dottore chiese alla figlia di dare un’occhiata all’orecchio dell’uomo. Avendo solo undici anni ed essendo piccina per la sua età , Lavinia dovette mettersi in piedi su una sedia per poter vedere all’interno dell’orecchio. Come previsto, era ostruito da una massa di materia nera e filamentosa, che suo padre non era riuscito a vedere. Lavinia mise il mignolo nell’orecchio, lo mosse, e cavò un filo. Era così lungo, e così saldamente attaccato nella testa del paziente, che per staccarlo la ragazza dovette scendere dalla sedia, puntare i tacchi sul pavimento e tirare con entrambe le mani. Quando infine il filamento si separò dalla testa, l...