1.
Perché questo libro?
Mentre riflettevo sull’opportunità di scrivere o meno questo libro su Hillary, “l’altra donna”, all’improvviso mi sono venuti in mente con una chiarezza inquietante i due episodi della mia adolescenza che hanno costituito il fondamento ideologico di tutte le mie scelte successive.
Avevo sedici anni ed ero una matricola al college quando trovai un lavoretto part-time nella filiale della compagnia di assicurazioni People’s Indemnity Life Insurance a Hot Springs, in Arkansas. Il fondatore, nonché presidente della società, era imparentato con alcuni amici di famiglia, perciò mi sentivo piuttosto a mio agio lì. Iniziai come receptionist, rispondendo al telefono un paio di volte la settimana, e presto mi ritrovai ad assistere il presidente e altri dirigenti nella gestione della corrispondenza. Finché non mi proposero di dare una mano all’ufficio contabilità.
Nell’occuparmi delle registrazioni contabili di routine mi accorsi che le provvigioni versate agli agenti assicurativi, così come le somme percepite dal presidente, non avevano alcun nesso logico con i premi riscossi. Mi resi rapidamente conto dell’imbroglio: una frode, un castello di carte destinato a crollare.
La società gestiva un afflusso continuo di “fondi d’investimento” provenienti da familiari e amici di Hot Springs dai quali era completamente dipendente. Non c’erano coperture o certezze finanziarie, perciò le possibilità che nell’immediato futuro la compagnia fosse in grado di corrispondere gli indennizzi delle assicurazioni sulla vita nel caso in cui un numero importante di contraenti fosse morto erano nulle.
Quante probabilità c’erano che si verificasse questa eventualità? Parecchie. Gli agenti assicurativi vendevano polizze nelle basi militari di tutto il Paese a giovani soldati che stavano per essere spediti oltreoceano, a servire la patria in Vietnam. E lì il bilancio dei caduti era già spaventoso.
All’inizio non riuscivo a crederci. Come si poteva essere così disonesti, e in modo tanto spudorato? Com’era possibile che qualcuno raccontasse balle di quella portata? O che si accanisse proprio sui giovani che si apprestavano a dare la vita per il Paese?
Purtroppo mio padre era già morto, e non potei discuterne con lui. Ma aveva lavorato nel campo assicurativo e mi aveva insegnato qualcosa in proposito. In ogni caso, anche senza quell’infarinatura mi sarei resa conto che la compagnia non avrebbe dovuto versare provvigioni e commissioni dieci volte superiori ai premi mensili pagati dagli assicurati. Per quel che ne sapevo, quelle “provvigioni” potevano venire solo dagli investitori che finanziavano l’impresa.
Ne parlai a mia madre. Non volle credere che persone apparentemente tanto perbene, amici e conoscenti, potessero essere così disoneste. Non riuscii a trovare nessun altro disposto ad ascoltare questa storia, perciò mi tenni i miei timori per me e non ne parlai più. Dopo un po’, lasciai il lavoro e cercai di dimenticare la People’s Indemnity Life Insurance.
Non ricordo esattamente quando avvenne ma, come avevo previsto, non ci volle molto perché il castello di carte crollasse su se stesso. Le persone che a Hot Springs avevano inconsapevolmente investito in quella truffa persero enormi somme di denaro. Ciò che non avevo previsto erano le ripercussioni catastrofiche che la frode ebbe sull’intera città: rimasi sconvolta quando seppi dei fallimenti, dei pignoramenti e delle tante famiglie distrutte dai divorzi.
I danni subiti dalle giovani vedove e dagli orfani di quegli ingenui soldati che, appena adolescenti o poco più che ventenni, avevano cercato di garantire un futuro alle loro famiglie sottoscrivendo un’assicurazione sulla vita erano incalcolabili. Il presidente della società finì in carcere, ma non vi fu giustizia per le vittime della truffa.
L’idea di non aver fatto niente per scongiurare quello tsunami mi perseguitava, ma allora tutta la faccenda per me era soltanto un incidente isolato, non sapevo che avrebbe influenzato tutta la mia vita.
A diciotto anni mi sposai e mi trasferii a Little Rock. Conducevo un’esistenza tranquilla in una bella zona residenziale, con i vicini che portavano i cani a passeggio lungo i viali e dove ci conoscevamo tutti di persona.
Una volta al mese si riuniva un club di giardinaggio riservato alle donne. Al primo incontro scoprii che la mia vicina, la signora Powell, non avrebbe partecipato perché era malata di cancro allo stadio terminale. Era il 1966 e a quell’epoca la parola “cancro” veniva sussurrata come se bastasse pronunciarla per ammalarsi.
Quando nacque mia figlia, spesso la sistemavo in un robusto passeggino di pelle vecchio stile e facevo un paio di giri del quartiere per prendere un po’ d’aria e fare esercizio. Di fronte alla casa dei Powell rallentavo sempre sperando di scorgere un segno di vita o di trovare una scusa per suonare il campanello e andare a fare visita alla famiglia, ma non lo feci mai. Non volevo essere invadente, ma il pensiero cominciò a rodermi la coscienza. Più ci pensavo, più temevo di non essere la benvenuta. Non sapevo cosa aspettarmi se mi fossi presentata alla loro porta senza essere invitata.
Alla fine la signora Powell morì. Preparai un paio di polli arrosto e li portai al signor Powell e alle persone strette attorno a lui per il funerale. Quando arrivai mi accolse la domestica, Ruby, e io feci per presentarmi.
«Oh, so chi è lei!» esclamò. «La bella signora Dolly, la vicina. La signora la guardava tutti i giorni dalla finestra e diceva sempre: “Spero che quella graziosa giovane venga a trovarmi per farmi vedere la sua bambina”.» Mi sentii malissimo perché, di nuovo, non avevo agito, non avevo fatto assolutamente niente per cambiare la situazione.
Quella notte mi addormentai piangendo.
L’indomani promisi a me stessa che non sarei mai più rimasta con le mani in mano. Non avrei mai più perso l’occasione di agire, di intervenire, indipendentemente dalle conseguenze. Mi ripromisi di farmi avanti ogni volta che fosse stato necessario. Ed è quello che sto facendo adesso: pubblicare questo libro è la cosa giusta.
Hillary Rodham Clinton, candidata alla presidenza, è una persona moralmente ed eticamente corrotta.
Mi trovo in una condizione unica, anche se estremamente scomoda: posso rivelare a tutti ciò che so riguardo al suo complice, l’ex presidente Bill Clinton, un uomo malato di sesso che ha molestato diverse donne. I sostenitori di Hillary devono pur covare il sospetto che sia una bugiarda ambiziosa senza scrupoli, disposta a fare qualunque cosa (come scagliarsi contro le donne quando dice di difenderle) per placare la propria sete di potere.
Ma per qualche ragione, almeno finora, tutto ciò non sembra turbare le sue sostenitrici. Credo che in un certo senso si rifiutino di accettarne la vera natura. La mia intenzione è di dimostrare che la sua condotta, passata e presente, la rende inadeguata alla carica di presidente.
In un Paese con oltre trecento milioni di abitanti, dev’esserci una donna degna di diventare il primo presidente di sesso femminile degli Stati Uniti d’America. Ma quella donna non è Hillary. Gli elettori non devono abbassarsi a eleggere un’opportunista che è arrivata dov’è ora sulla scia del successo di uno stupratore/molestatore seriale. Il nostro Paese può fare di meglio che sostenere i Clinton nei loro feroci e inesorabili attacchi contro qualsiasi cittadino che osi dire la verità sul loro conto.
Negli USA ci sono più di ottanta milioni di giovani sotto i vent’anni che non conoscono i trascorsi dei Clinton, a parte le amenità che i media hanno scelto di diffondere. Se hanno sentito qualcosa riguardo l’ormai lontano impeachment del presidente Clinton, probabilmente pensano che si sia trattato di un tentativo fazioso di punirlo per lo scandalo Lewinsky, cioè per aver ricevuto sesso orale nello Studio Ovale da una stagista che poteva essere sua figlia.
Non sanno che le accuse a suo carico comprendevano falsa testimonianza, corruzione di testimone e ostruzione al corso della giustizia. Ciò che gli americani hanno implicitamente imparato dai Clinton è che si può mentire sotto giuramento. Non è così: l’intero sistema giudiziario si basa sul rispetto della verità nel corso della testimonianza giurata.
In qualità di avvocato e funzionario del tribunale è mio dovere difendere il sistema giudiziario degli Stati Uniti. Com’era dovere giurato del presidente Clinton difenderne la Costituzione. Invece, nella sua veste di capo del potere esecutivo, si è scagliato contro il sistema, così come si è scagliato contro tutte le persone, uomini e donne, che si sono opposte alla sua condotta antisociale, sociopatica e criminale.
Molti ricorderanno (ma molti no) che lo slogan con cui i Clinton si candidarono alla presidenza nel 1992 recitava “due al prezzo di uno”: Hillary si presentava come copresidente al fianco del marito. Questo è il principale “traguardo” professionale e privato che ha raggiunto. Successivamente, nei quattro anni in cui è stata segretario di Stato del governo Obama, ha viaggiato per il mondo senza conseguire nessun risultato positivo per gli Stati Uniti. Mentre non abbiamo ancora scoperto tutto ciò che ha ottenuto per se stessa e quanto ha fatto perdere al Paese.
È tempo di rendersi seriamente conto di ciò che questa coppia di presidenti/cospiratori ha fatto in questi ultimi quarant’anni. Proprio come agli esordi, continuano ad attaccare e a calpestare chiunque ostacoli la loro corsa al potere, sostenuti dalle stesse figure di un tempo che sono tuttora sulla scena (o meglio, dietro le quinte) a muovere i fili per insabbiare la verità con qualunque mezzo. Non è un bel quadro quello che si presenta, e doverlo dipingere per chi ha bisogno di aprire gli occhi non mi rallegra.
Fare delle rivelazioni su questi coniugi assetati di potere non è un’esperienza piacevole. Come fa notare Dave Schippers nella sua Prefazione a questo libro, i Clinton “monteranno la consueta campagna fatta di menzogne, mezze verità e attacchi personali” contro di me, che ho osato dire la verità sul loro conto.
Grazie alla vile connivenza del Congresso e dei mezzi d’informazione, è stato loro permesso di riscrivere la storia. Bill e Hillary Clinton sono riusciti a persuadere l’elettorato assopito che l’impeachment riguardasse solo le pratiche sessuali condotte nello Studio Ovale, e che le accuse contro il presidente fossero state montate dal “vasto complotto della destra” immaginato da Hillary. Non c’è niente di più lontano dalla verità. L’impeachment riguardava reati commessi contro il popolo e la Costituzione. Hillary e Bill furono complici in questi crimini come in innumerevoli altri. Il problema è che si tratta di una questione dalle proporzioni vastissime, tanto che a molti risulta difficile credere che sia potuto accadere senza che si scoprisse.
Io stessa, che ho vissuto e osservato questi eventi da vicino, non ho capito la reale portata della farsa che si stava svolgendo sotto agli occhi di tutti. Ma ora posso rendere pubblica la verità, e in questo libro rivelerò decenni di abusi e di corruzione nel modo più chiaro e conciso possibile. L’ho scritto di getto e spero che il lettore riesca a “sentire” la mia voce. Il modo in cui poi userà queste informazioni è fuori dal mio controllo. Mi auguro però che chiunque legga queste pagine inizi a porsi delle domande e non rifugga di fronte agli importanti interrogativi che susciteranno.
Farsi avanti e parlare in nome della verità e della giustizia può essere una scelta difficile, di fronte alla quale ognuno di noi si trova più volte nel corso della propria vita. In quanto primogenita di un marine degli Stati Uniti sepolto da tempo, non intendo voltarmi vigliaccamente dall’altra parte.
2.
L’incontro con Bill Clinton
«Ammettilo, Dolly!» esclamò Geraldo Rivera dagli studi televisivi di New York. «Ammetti di essere stata attratta dal potere del presidente Clinton quando era governatore dell’Arkansas!»
Io scoppiai a ridere e scossi la testa. Geraldo stava comodamente seduto a quattordicimila miglia di distanza dal remoto studio televisivo di Dallas in cui mi trovavo. Guardai dritto verso la lucina rossa della telecamera.
«No, Geraldo. Neanche lontanamente.»
«E allora cos’è stato?»
«Ho conosciuto Billy Clinton sul campo da golf del country club Belvedere, a Hot Springs, nell’estate del 1959. Avevo undici anni e lui dodici, quasi tredici. Era più alto di me!»
Ma non era tutta la verità. Per quella non c’è mai tempo all’interno di una modalità di comunicazione dominata dalle frasi a effetto. Per rievocare fedelmente quel primo incontro sarebbe stato necessario scomodare le dinamiche psicologiche ed emotive legate alle storie familiari e alle esperienze condivise in una città del Sud piccola anche se relativamente cosmopolita.
In più, nonostante fossimo giovanissimi, il nostro primo incontro fu in tutto e per tutto quello che mia madre e la sua famiglia chiamavano “colpo di fulmine”.
Alcuni lettori forse ricorderanno il colpo di fulmine nel Padrino, in Romeo e Giulietta o nel più recente Titanic.
In Sempre, J. M. Darhower ne offre una vivida descrizione:
Quando l’amore colpisce come una saetta, ed è così potente e intenso che non si può negare. È sublime e caotico, squarcia il petto e ne lascia sgorgare l’anima, perché la vedano tutti. Mette sottosopra chi ne è vittima, e non vi è ritorno. La vita cambia per sempre.
Immagino che questa descrizione possa sembrare eccessivamente enfatica a chiunque non l’abbia sperimentato. E conosco l’annoso dibattito sulla controversa nozione romantica dell’amore a prima vista.
Non intendo lanciarmi in un’argomentazione filosofica in favore della sua esistenza, voglio solo raccontare cosa è successo fra Billy e me quel giorno.
Il nostro colpo di fulmine non ci ha portato a vivere per sempre felici e contenti, ciononostante siamo stati molto uniti; l’infatuazione infantile nel corso del tempo si è trasformata in un flirt adolescenziale, poi in una profonda amicizia e in ultimo in una storia d’amore appassionata. Abbiamo parlato, flirtato, riso, gridato, pregato, cantato, camminato, ballato, ci siamo scritti, abbiamo fatto l’amore, ci siamo lasciati e ripresi moltissime volte. Comunque la si voglia definire, la nostra relazione è durata decenni e ha valicato frontiere, oceani, matrimoni, proibizioni sociali e considerazioni di carattere politico.
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Per capire i miei rapporti con Hillary Rodham Clinton e le condizioni che per lunghi anni mi hanno permesso di osservare il suo comportamento, bisogna sapere qualcosa di più sulla mia relazione con Billy. Prima di dedicarmi alla scrittura ero una ...