Bidone nucleare
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Bidone nucleare

  1. 268 pagine
  2. Italian
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Bidone nucleare

Informazioni su questo libro

Nel 1987 gli italiani hanno detto no all'energia nucleare. Adesso in molti criticano quella scelta, dettata dallo choc che seguì al disastro di Chernobyl, e attribuiscono a timori infondati un presunto ritardo rispetto ai Paesi nuclearizzati. Ma siamo davvero gli unici a dubitare di ciò che gli altri accettano di buon grado? E poi, quanto costa cambiare strada? Chi pagherà quest'energia "pulita e sicura"? Roberto Rossi, che segue da anni il piano governativo di rilancio nucleare, ora giunto alla sua fase attuativa, fa un bilancio della situazione consultando esperti e presentando documenti inediti. Parla delle centrali che vogliono metterci in casa - le Epr, della francese Areva - che tra sistemi di sicurezza mal progettati e crepe nella struttura di contenimento fanno tremare i finlandesi. Calcola quanto ancora costino i vecchi impianti, anche sulla nostra salute. Smaschera l'apparato di propaganda che vuole rassicurarci con una montagna di bugie e fa i nomi della nuova "cricca" che ha reso il nucleare un business estremamente redditizio. Ma soprattutto rivela per primo le sedi italiane selezionate per lo smaltimento delle scorie. L'energia atomica - elemento strategico nel rapporto Berlusconi-Putin - sembra vantaggiosa solo per chi costruisce, gestisce e finanzia. In definitiva solo l'utente finale non ha nulla da guadagnare e soldi e salute da perdere.

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
Print ISBN
9788817046091
PARTE SECONDA
Le bugie
Come ci vogliono convincere e perché
Capitolo 1
Ci conviene?
Scajola dixit
Nel febbraio del 2010 l’allora ministro per lo Sviluppo Claudio Scajola decise di rilasciarmi un’intervista sul nucleare in Italia. Nelle sue risposte l’ex ministro enucleava e spiegava perfettamente tutte le istanze che sostengono il ritorno al nucleare: le sue parole, insomma, sono in qualche modo una sorta di manifesto dei nuclearisti.1
Scajola si è dimesso nel maggio del 2010 in seguito allo scandalo scaturito dagli imbarazzanti retroscena relativi alla valutazione e alle modalità di pagamento della sua abitazione a due passi dal Colosseo. Alla guida dello Sviluppo economico il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha chiamato quindi Paolo Romani. Con il nuovo ministro l’impostazione di fondo sul nucleare, però, resta la stessa.
Ministro, l’Italia si appresta a tornare al nucleare. Perché lei ritiene che sia conveniente per il Paese?
Perché paghiamo l’energia elettrica il 30 per cento in più della media europea e il 50 per cento in più della Francia, che ricava dal nucleare il 70 per cento della propria elettricità. Perché dobbiamo ridurre la dipendenza dall’estero, mentre oggi importiamo l’85 per cento dell’energia che consumiamo. Perché il nucleare è tra le fonti energetiche più sicure. Perché dobbiamo affrontare la sfida del cambiamento climatico e il nucleare non emette gas serra: per questo anche esponenti del centrosinistra preoccupati per la salute e per l’ambiente, come Umberto Veronesi e Chicco Testa, lo ritengono necessario. Nel mondo ci sono 439 reattori in funzione, che generano il 16 per cento dell’energia elettrica globale, 53 centrali sono in costruzione e oltre 60 in progettazione, perché tutti i grandi Paesi stanno investendo sul nucleare. Solo noi ne siamo usciti col referendum del 1987 che ci è costato oltre 50 miliardi di euro. E continua a costarci caro: ci sono molte imprese che non sono più in grado di sopportare l’eccessivo costo dell’energia elettrica in Italia. Stiamo facendo i salti mortali per tentare di convincere a restare nel nostro Paese la multinazionale statunitense dell’alluminio Alcoa che impiega duemila persone in Sardegna e Veneto. Se avessimo una quota di energia nucleare non avremmo questi problemi, i posti di lavoro sarebbero tutelati e potremmo eliminare uno dei fattori più importanti che riducono la competitività del Paese.
Secondo un recente rapporto di Citigroup il costo di ciascun reattore nucleare è tra i 5 miliardi di euro (se non ci sono ritardi e tutto va bene) e i 6 miliardi di euro (se ci sono ritardi di due anni). L’Enel nel 2008 dichiarava che un reattore costa 3-3,5 miliardi di euro e oggi dichiara costi per 4-4,5 miliardi di euro. Areva ha dichiarato che i costi di Olkiluoto saranno diffusi solo alla fine della costruzione. Quanto si spenderà per ogni singolo reattore in Italia?
Con la Legge Sviluppo da me presentata e approvata dal Parlamento a fine luglio [2009, N.d.A. ], abbiamo riaperto la possibilità di realizzare centrali nucleari in Italia. Ma poi le centrali le costruiranno e le finanzieranno le imprese energetiche. Se non è conveniente farlo non lo faranno, nessuno le obbliga. Ma è evidente che non è così, perché le centrali nucleari sono già convenienti con il petrolio a 55-60 dollari al barile, mentre oggi il petrolio oscilla tra i 70 e gli 80 dollari ed è destinato ad aumentare ancora man mano che la ripresa economica si rafforzerà. Quello di Olkiluoto è il primo reattore Epr in costruzione, quasi un prototipo. Quando cominceremo a costruirli noi, saranno già collaudati.
Enel ha detto che sarà un grande affare italiano. Il 70 per cento delle commesse resteranno nel nostro Paese. Ma la tecnologia è tutta francese, a partire dai brevetti, e come ha dimostrato il caso finlandese saranno proprio le società francesi a gestire la maggior parte dei lavori. Non pensa che sarà soprattutto un affare che non ci riguarda?
È francese la tecnologia del reattore, che rappresenta il 30 per cento dei costi di una centrale. Il resto è costituito da impiantistica e lavori edili, nei quali le nostre imprese sono molto forti e già forniscono componenti per il nucleare all’estero. Del resto, Enel sta costruendo con Edf due centrali in Francia e ne costruirà altre in Paesi terzi. Inoltre, l’Italia potrebbe ricostruire eccellenze su alcuni aspetti correlati allo sviluppo del nucleare, anche senza essere attiva sull’intera filiera. Per soddisfare tutte le richieste di forniture per la realizzazione del nucleare nel mondo, le aziende italiane potranno poi accreditarsi e partecipare anche a iniziative all’estero, in partnership con aziende straniere. Al recente incontro organizzato in Confindustria sulla ripresa del nucleare erano presenti 470 imprese italiane.
Visto l’alto indebitamento di Enel (intorno ai 50 miliardi) come potrà sostenere il costo finanziario dell’operazione?
Enel è una società quotata e ha piena autonomia gestionale. Se nel mondo ci sono 53 centrali in costruzione e oltre 60 in progettazione, debbo pensare che l’energia nucleare sia economicamente conveniente. E se è conveniente è finanziabile, anche se si configura come un investimento ad alta intensità di capitale. E ci sono altre imprese interessate a costruire centrali in Italia.
Se negli Usa, dove l’industria nucleare è nata e tuttora è un settore forte, l’amministrazione Bush ha dovuto introdurre incentivi statali a favore del nucleare, come pensa Enel di tornarci senza fondi pubblici?
Nessuna delle imprese energetiche interessate a costruire centrali ha avanzato richieste di sussidi allo Stato.
Quanti soldi saranno a carico dello Stato?
Non sono previsti soldi a carico dello Stato, se non i pochi milioni necessari al funzionamento dell’Agenzia di sicurezza nucleare. Bisogna comprendere bene che lo sviluppo del nucleare in Italia avverrà con le regole del mercato: le competenze dello Stato sono di tipo legislativo, normativo e autorizzativo; non di partecipazione industriale e finanziaria alle iniziative.
Sempre negli Stati Uniti, cinque anni dopo la creazione di appositi incentivi non è stato aperto nessun cantiere. Perché?
Io so che in Usa ci sono 18 centrali in corso di avanzata autorizzazione, che si aggiungeranno alle 104 già in funzione in Usa e so che l’«economia verde» del presidente Obama e del suo ministro dell’Energia, il premio Nobel Steven Chu, prevede un forte impulso alle fonti rinnovabili, ma anche al nucleare.
C’è ancora molta incertezza su quanto pagheremo alla fine l’energia. Il governo dice 40 euro ogni 1000 kilowattora, ma Citigroup ritiene che il suo prezzo salirà oltre i 70 euro. Quanto la pagheremo in Italia?
Le centrali nucleari hanno un alto costo di investimento iniziale ma poi producono energia elettrica a prezzi inferiori alle altre fonti, compreso il carbone. E non inquinano. Ricordo che dal 2012 pagheremo fortissime multe, fino a un miliardo di euro l’anno, se non riusciremo a ridurre le emissioni di gas serra entro i limiti fissati dall’Unione Europea. E questo aumenta ulteriormente la convenienza relativa del nucleare. È difficile dire oggi quale sarà il prezzo dell’energia nel 2020, quando inizierà la produzione dei primi impianti nucleari. Si consideri, per quanto riguarda i costi variabili, che una variazione del 100 per cento del prezzo del gas, che è collegato al petrolio, incide per il 70 per cento sulla variazione del costo di generazione di una centrale a ciclo combinato, mentre una variazione del 100 per cento del prezzo dell’uranio incide per meno del 10 per cento sul costo di generazione di un impianto nucleare. Per quanto riguarda i costi fissi che incidono sul prezzo finale, è importante realizzare le centrali in tempi brevi, per rispettare le previsioni di prezzo più favorevoli.
Molte Regioni si stanno mobilitando. Avete in mente di coinvolgerle? Se sì in che modo?
Lo schema di decreto sul nucleare in esame presso le Commissioni parlamentari prevede che la Conferenza Stato-Regioni partecipi alla definizione dei criteri che dovranno avere i territori per poter ospitare una centrale. Poi, quando le imprese chiederanno le autorizzazioni per costruire una centrale, le Regioni saranno coinvolte nel processo autorizzativo. Non solo: secondo il decreto è previsto anche che presso i...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Sommario
  4. Dedica
  5. Prologo
  6. Parte Seconda
  7. Parte Terza