Io no
eBook - ePub

Io no

  1. 196 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Flavio e Francesco sono fratelli. Il primo dirige con successo l'azienda di famiglia e ha saputo far sua una vita che ha trovato già pronta. Il secondo, musicista e viaggiatore, è di quelli che fin da piccoli vanno a sbattere contro il mondo, e da grandi si ritrovano disillusi pur senza perdere l'ironia. Difficile immaginare due orbite più distanti, eppure la corrispondenza tra le certezze di Flavio e le inquietudini vagabonde di Francesco è troppo precisa per non far pensare a due opposti che, inesorabilmente, tornano ogni volta ad attrarsi. E poi ci sono le donne, ad aggrovigliare i destini: c'è Laura, moglie di Flavio, da sempre innamorata di un altro, ed Elisa, l'incontro travolgente che Francesco non sapeva neppure di stare aspettando. Io no è la storia di questi amori: sovrapposti, sfasati, ricambiati, nascosti; è, soprattutto, il racconto esilarante e drammatico di un grande viaggio, quello che ognuno intraprende alla ricerca di se stesso.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
Print ISBN
9788817030977
eBook ISBN
9788858607633



a mia madre e a mio padre

PROLOGO
Dodici anni prima

Francesco

«Pronto?»
«Buonasera signor Rocca, sono Francesco, c’è Federico?»
«Certo che c’è, sono quasi le undici! Dorme.»
«No, papà, sono sveglio. Passamelo.»
«Ah, sei sveglio! Non dovevi dormire? Domani devi andare a scuola, hai la versione di greco!»
«Infatti, stavo studiando.»
«Sì, studiando, raccontala a un altro, te lo passo ma fate presto… e di’ al tuo amico che non si telefona in casa della gente alle undici di sera.»
«Cazzo, Francesco, già non ti vede bene…»
«Ti volevo dire una cosa, non mi sembrava così tardi.»
«Ma non me la potevi dire domani, a scuola?»
«Domani non vengo.»
«Perché?»
«Eh, perché… non ce la faccio, se vengo mi rovino la media.»
«Sai che media!»
«Appunto.»
«Vabbe’, me lo dicevi domani pomeriggio. Cosa c’è di tanto urgente?»
«C’è che ho deciso, parto, me ne vado… a fare un viaggio.»
«Vai a fare un viaggio? Quando?»
«Quest’estate, dopo la maturità.»
«Dopo la maturità? E devi dirmelo ora!»
«Sì, volevo dirtelo, ho bisogno di sapere se vuoi venire con me.»
«Venire con te dove?»
«Non lo so, voglio partire, voglio stare via come minimo un anno, voglio andare a trovare un posto, una casa dove vivere, io qui a Milano per tutta la vita non ci resto.»
«Oddio… Fino a una settimana fa volevi cambiare il mondo, quasi volevi tirare le molotov, e ora vuoi partire?»
«E be’, mica lo devo cambiare quest’estate il mondo, e poi posso farlo anche lontano da qui.»
«No, il mondo lo cambi se stai qui.»
«E allora non lo cambio, tanto non te lo fanno cambiare, lo so già, sono tutti d’accordo.»
«Ma tutti chi?»
«Tutti… Il sistema… Quelli che ti danno tutte le cose che hai e che non ti servono ma di cui piano piano non puoi fare a meno, cose belle che tu pensi di volere… di scegliere e invece no! Le scelgono loro per te, tu pensi di essere libero e invece sei uno schiavo, e per loro non c’è niente di meglio di uno schiavo che si sente libero, così non si ribella…»
«Tu sei fuori.»
«No, sei tu che sei dentro.»
«E smettila! Io non sono dentro proprio a niente.»
«Sei dentro invece… Ancora non lo sai perché è una cosa lenta che quando te ne accorgi è troppo tardi… Lo fanno apposta… Ma io li frego e me ne vado.»
«Ok, ok, te ne vai, ma dove?»
«Dovunque, basta che sia lontano da qui.»
«E la principessa la porti con te?»
«Quando, nel viaggio?»
«Anche.»
«No, nel viaggio no. Premesso che i suoi non le permetterebbero di venire, devo andare da solo, muovermi, dormire dove capita, essere libero. Però gliel’ho detto, questo viaggio lo faccio anche per lei, per trovare una casa dove vivere un giorno, noi due.»
«Io non ce la vedo la principessa vivere in un posto che non sia Milano.»
«Non è vero, non è come pensi, e poi mi ama, con me verrebbe in capo al mondo, fidati.».
«Mah, se lo dici tu…»
«Lo dico io, sì! Comunque ti ho chiamato per sapere se vuoi venire con me, altrimenti vado da solo.»
«Francesco, non so… Non credo… Quando vorresti partire?»
«Subito dopo la maturità, te l’ho detto. Prendiamo un biglietto aperto per l’America o per l’India o per l’Africa o per dove vogliamo, poi da lì ci muoviamo a piedi.»
«Sì, a piedi!»
«Vabbe’, si fa per dire, ci muoviamo liberi, giriamo.»
«Non lo so, Francesco… I miei vogliono che vada tre mesi in Inghilterra a imparare l’inglese…»
«E tu non ci vai, tra due mesi sei maggiorenne, fai quel cazzo che vuoi, l’inglese lo impari ancora meglio se vieni con me.»
«Lasciamo perdere… Comunque, in giro per un anno! Figurati se sto via un anno.»
«Mica ho detto che devi stare via per forza un anno, partiamo insieme e poi tu torni quando ti pare. Sono io che sto via un anno, almeno.»
«E i Rude Boys?»
«Che cosa vuoi che me ne freghi dei Rude Boys, continuate a suonare anche senza di me.»
«Senza di te non continuiamo, lo sai.»
«E allora non continuate, chissenefrega. Comunque non sparisco per sempre… Parto, trovo una casa, o magari non la trovo e pazienza, vorrà dire che la prossima estate riparto finché non la trovo, poi mi organizzo con calma e tra qualche anno me ne vado per davvero, perché quando me ne vado poi non voglio tornare più, non voglio fare come quelli che se ne vanno e poi, dopo un po’, ritornano con le pive nel sacco. Io, se parto, trovo una casa e mi ci sistemo.»
«E se non la trovi?»
«Eh, se non la trovo vedremo… Ci penserò… Butto le molotov.»
«Sì, vabbe’…»
«Comunque, in ogni caso non partecipo all’ambaradàn, al loro gioco non ci sto, piuttosto guarda… Faccio il barbone alla stazione…»
«Allora è più facile che butti le molotov… Senti, fammi capire una cosa, parlando seriamente… Va bene, parti, ma che bisogno c’è di stare via un anno, non puoi fare una vacanza normale, come tutti?»
«Se non sto via un anno adesso, poi con l’università… Lo sai, i miei… Mio padre rompe i coglioni con l’università. E poi la mia non è una vacanza ma una missione, devo trovare un posto dove trascorrere il resto della vita. Non voglio finire come mio fratello, non voglio lavorare per quello stronzo di mio padre, voglio fare una cosa che mi piaccia in un posto dove sto bene. Non voglio ritrovarmi tra vent’anni a guardare la televisione in pantofole, come un imbecille completamente rincoglionito, non voglio vivere qui, l’hai capito o no?»
«Guarda che si può vivere qui anche senza rincoglionirsi.»
«No, ti rincoglionisci, matematico, tutto lavora silenziosamente per il tuo rincoglionimento… Puoi resistere per un po’ ma non la scampi, e allora o lo sai… Voglio dire… o sai che ce l’hai nel culo e te ne fai una ragione, ma vivi male e col rimpianto, oppure non lo sai e sei contento, sei come vogliono loro, ma allora è meglio spararsi che vivere nell’inconsapevolezza del rincoglionimento… L’inconsapevolezza del rincoglionimento! Bello no? Bisognerebbe intitolarci un saggio!»
«Mah… Non so, non credo, io credo che anche qui si possa…»
«No, non si può, io non posso, qui non saprei cosa fare.»
«Vabbe’, scusa, ma la musica?»
«La musica, la musica… Sempre ’sta musica… La musica va bene, ma prima della musica vengo io, prima devo trovare me stesso, capire cosa voglio… Chi sono, perché mi sento così.»
«Così come?»
«Estraneo.»
«Estraneo?»
«Sì, estraneo, non saprei trovare una parola migliore per spiegare come mi sento, sono fuori posto ovunque.»
«Anche quando suoni?»
«No, forse quando suono no, ma… Non mi basta, e poi con la musica sono una pippa… Quando sento certa gente… Lasciamo perdere…»
«No, non è vero Francesco, questo no. Comunque non ti capisco, io non credo che sia così come dici, a me in fondo non dispiace stare qui, guarda che alla fine un posto vale l’altro… Cioè, voglio dire, non dipende dal posto.»
«Lo so che non dipende dal posto, ma conta, fidati che conta, contano il posto e la gente: come vive, com’è… Ti sei guardato intorno? Fammi il piacere…»
«Per me non è così, a me non interessa partire, anzi, non mi va proprio, voglio costruire qualcosa qui. E poi tu hai fatto i conti senza l’oste…»
«Cioè?»
«L’appartenenza, Francesco. Ovunque tu vada dovrai farci i conti, potrai anche trovarti bene in un posto, la gente ti piacerà persino, per carità, ma ricordati che non ti sentirai mai uno di loro.»
«Federico…»
«Cosa?»
«Io non mi sento uno di loro nemmeno qui.»

Giamaica, dicembre ’81
Principessa, come stai?

Già, ma perché te lo chiedo, tu non mi puoi rispondere.
Io sto bene, ti penso sempre e ci sono giorni che mi sembra di non potercela fare a restare ancora lontano da te, ma poi mi ricordo che sono in missione, che devo cercare il posto dove prima o poi andremo a vivere, e allora la malinconia diventa un po’ più sopportabile. Certo, sapere che tra poco è Natale non è il massimo, per fortuna che qui dove sono non c’è neve… E nemmeno babbi natale per strada!
Sono partito da Miami, e da quasi due mesi sono in Giamaica (hai visto? sembrava tanto lontana quando ne parlavamo e invece…). Lo so, non ti scrivo da un bel po’, scusami, ma prima di farlo volevo davvero capire come fosse la vita qui. Ho girato tutta l’isola, con gli autobus, in autostop e a piedi, e sono stato anche sulle montagne. Quand’ero a Kingston mi sono fatto accompagnare a Trench Town da un amico giamaicano (da solo un bianco è meglio che non ci metta piede) alla ricerca delle radici del reggae. Le ho trovate! Ho visto la vecchia casa di Bob, il campetto dove giocava a pallone e anche il posto dove suonava con i Rude Boys. A proposito, salutami i miei di Rude Boys, soprattutto Federico, digli che prima o poi gli scrivo un’altra lettera, a quello stronzo che non è voluto venire con me.
Ho conosciuto molti rasta, ce ne sono di due categorie: quelli che vivono per lo più all’interno o addirittura sulle montagne a coltivare l’erba (non hai idea!) che sono dei personaggi straordinari, dei Nobili Selvaggi, e quelli che vivono lungo la costa, al mare, nei posti turistici, che sono dei veri coglioni.
Ora sono a Negril, un paradiso, figurati che c’è una spiaggia che sarà lunga… Boh… Non lo so quanto sarà lunga; tre chilometri? Cinque? Non lo so. Ci sono le palme e tutto il resto, e di notte vengono fuori dalla sabbia o da chissà dove dei granchi grossi come meloni che se non stai attento ti mozzicano i piedi. Ho affittato una specie di bungalow sulla spiaggia, alla foce di un piccolo fiume. Dovresti vedere che sogno. Spendo tre dollari al giorno! Qui ci sono un mucchio di terreni in vendita e ce n’è uno che mi piace, non è grande, ma è in una posizione bellissima, proprio davanti al mare, subito dietro la linea delle palme, di fronte a un’isoletta disabitata che volendo si raggiunge a piedi perché è dentro al reef. Vogliono trentamila dollari. Per comprare però devi avere la cittadinanza, altrimenti fanno difficoltà, vorrà dire che mi sposerò una giamaicana! (Scherzo, io sposo te.) Il modo per comprare comunque si trova, basta appoggiarsi a uno di qui, aprire una società, mi hanno detto. Pesco alla traina con una barchetta che mi presta uno di qui e tiro su certi pesci da far paura, che poi vendo agli alberghi (ce ne sono solo tre, per ora). Vendere, effettivamente, è una parola grossa, magari gli mollo un pesce da dieci chili e loro mi fanno fare colazione gratis al buffet (ma io mi mangio tutto il buffet). Non è che i pesci qui valgano molto.
C’è stato un momento in cui ho pensato di essere arrivato a casa, è per quello che sono rimasto così a lungo, ho creduto che qui si potesse vivere davvero una vita diversa, una vita vera, ma poi ho cambiato idea. Ti ricordi che nell’ultima lettera da Miami ti ho scritto che mi ero comprato un paio di All Star rosse? Be’, i giamaicani, anche i rasta, anzi soprattutto loro, ci stanno andando fuori di testa per le mie All Star. Baratterebbero tutte le loro palme per quel paio di scarpe. E pensare che qui le scarpe quasi non si dovrebbero usare, eppure impazziscono per le mie All Star rosse. Questo è un pessimo segnale, perciò ho deciso di non rimanere. Non mettiamo su casa qui per colpa delle scarpe. Forse se delle mie scarpe non gliene fregava niente a nessun giamaicano, venivamo a vivere qui.
Il fatto è che anche qui le cose stanno cambiando. Il turismo sta invadendo anche la nostra ultima spiaggia (speriamo che non sia davvero l’ultima). E i giamaicani si stanno vendendo la Giamaica. Non vorrei, tra dieci anni, ritrovarmi in un Club Méditerranée. Cambiando discorso, che è meglio, c’è una cosa che ti devo dire: mi hai iscritto a Filosofia? Non che sia fondamentale, però, visto che se anche riesco a trovare la casa non riusciremo a partire subito (già me li vedo i tuoi quando gli dirai che vai a vivere a Bongo Bongo!) butto un po’ di fumo negli occhi ai miei. A proposito, se ti capita di parlare con mia madre non dirle niente (spero che tu non lo abbia già fatto), perché mio padre crede che prima di partire abbia dato incarico a un’agenzia di iscrivermi a Economia, come quel leccaculo di mio fratello, in modo che abbia la preparazione adatta per poi lavorare in azienda. Figurati, io che lavoro in azienda, mi ci vedi?
Poi, quando torno (se torno!) glielo dico io, così mi godo la faccia che fa. Pensa come s’incazza!
Ora ti saluto perché domani parto, tanto la nostra casa non è qui.
Ciao Principessa, sei sempre nel mio cuore.
Francesco
P.S. Non ti preoccupare, torno, e se non torno vieni tu da me, oppure ti vengo a prendere....

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Io No
  4. Nota dell’autore
  5. Ringraziamenti