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Il prigioniero
Doveva essere una prigione. Però una prigione molto inconsueta. Le pareti erano diafane, come se fossero di alabastro. Tutte e quattro, pure il soffitto, il pavimento. Non c’era nemmeno una porta, nemmeno una finestra, un pertugio. Erano lisce. A che distanza saranno state da lui, due metri, tre metri? Non sembravano lontane ma era così difficile calcolare la distanza! Rogan si guardò le mani, poi le gambe. C’era una luce uniforme, gradevole. Ma da dove veniva? In modo omogeneo dalle pareti ma non dava fastidio. E lui dove era seduto? Su una specie di divano anch’esso dello stesso materiale luminescente, un divano morbido che però non era elastico. Provò a muoversi alzandosi e lasciandosi cadere. Non era comodissimo ma non sgradevole. Non capiva di che materiale potesse essere fatto, non certo di alabastro che è duro. Si chinò sul pavimento. Anche questo era della stessa sostanza luminescente. Si trovava in un posto evidentemente inconsueto ma Rogan non ne era meravigliato. Era come se sapesse di cosa si trattava senza esserne cosciente. Anche il suo benessere, a pensarci bene, gli appariva strano. Stava uniformemente bene. Di solito hai sempre qualcosa che non va, per esempio ti viene spontaneo accavallare le gambe, oppure senti un prurito sulla pelle, o una qualsiasi altra sensazione di fastidio. Ora niente. Guardò il suo vestito. Un vestito scuro, camicia rosa, cravatta grigio azzurra, ben stirato. Era un suo vestito, lo ricordava bene, lo aveva messo diverse volte. Ma come era finito in quello strano posto? Non ricordava nulla. Però non provava paura, nemmeno apprensione. Strano anche questo. Eppure poco prima gli era venuto in mente che potesse essere una prigione. E una prigione senza entrata e senza uscita. Gli venne da sorridere. Il tempo passava senza dargli fastidio, non aveva desideri, non aveva fame, non aveva sete. Provò ad alzarsi e a camminare, il pavimento era morbido come aveva immaginato. Provò a toccare una parete, era dello stesso materiale del pavimento e del divano, morbido e non elastico. Provò a spingere, non cedeva, era resistentissimo.
Sebbene non ne sentisse un particolare bisogno, quasi per ascoltare la sua voce provò a chiamare «Non c’è nessuno? Qualcuno mi sente?». Udì una voce senza riuscire a capire da dove venisse.
«Sì, la sento.»
«Mi sente davvero?»
«Certo che la sento davvero.»
«Chi è lei?»
«Il custode.»
«Il custode di cosa?»
«Il suo custode.»
«E io dove sono?»
«In un interact.»
«E cos’è un interact?»
«Non posso spiegarglielo io, è una sua invenzione, anzi dovrei dire una sua costruzione, una sua creazione.»
«Non mi prenda in giro.»
«Me ne guarderei bene signore, io devo prendermi cura di lei, sono il suo custode.»
«E chi ti ha detto di farlo?»
«È previsto dal contratto, signore.»
«Che contratto?»
«Quello fatto con la fondazione.»
«E cos’è questa fondazione?»
«La sua fondazione signore.»
Rogan era sinceramente perplesso, il custode, l’interact una sua creazione, la fondazione anch’essa una sua creazione. Ma lui non ricordava nulla, nulla di nulla. Ebbe un momento di smarrimento. Cercò di vedere se conservava la memoria, se ricordava la sua vita, chi era. Certo che la ricordava, lui era Rogan Farrell un tempo un fisico famoso, aveva anche costituito una fondazione, la FFEF, la Freedom for Everybody Foundation, lottava contro la segregazione genetica. Ricordava bene cosa aveva fatto, aveva inventato l’insula che generava energia pulita, poi si era sposato, non aveva avuto figli. Viveva a New York con sua moglie Catherine, andava spesso a Washington. No, non l’avevano preso per un altro. Eppure il luogo in cui si trovava era misterioso, addirittura incomprensibile. Ma una strada per capire dove era finito doveva esserci. L’unico contatto con il mondo esterno era quel “custode” che gli aveva parlato poco prima. Doveva cavare informazioni da lui.
«Mi senti sempre?» disse.
«Certo, signore.»
«Quando tempo devo restare qui?»
«Quanto vuole, signore.»
«Posso uscire quando mi pare?»
«Certo, signore.»
«E allora fammi uscire.»
«Non conosco la password, signore, la conosce solo lei.»
«Ma io non la conosco, non so niente.»
«Non è possibile signore, è lei che l’ha scelta.»
Rogan ebbe una impressione di irrealtà, che però curiosamente subito scomparve. Era in una situazione impossibile però stranamente la sentiva reale, come se in qualche modo la conoscesse e potesse veramente uscire quando voleva.
«Custode, da qui posso parlare con qualcuno?»
«Certo signore, con chi vuole.»
«E come faccio?»
«Basta che chiami la persona con cui vuol parlare.»
«Devo chiamarla ad alta voce?»
«Anche a bassa voce purché il nome sia chiaro.»
«Catherine!»
«Chi mi chiama, sei tu Rogan?»
«Sì, sono io.»
«Dove ti trovi?»
«Non lo so, in un posto strano.»
«Sei quasi sempre in posti strani.»
«Scusa, Catherine, con che cosa mi parli?»
«Col telefono, con che cosa vuoi che ti parli?»
«Ti ho chiamato io?»
«Certo che mi hai chiamato tu. Aspetta che guardo il numero. È quello di Washington.»
«Allora sono a Washington!»
«Se non lo sai tu! Ti comporti in modo davvero strano. Dove ti trovi esattamente?»
«È difficile da spiegarsi, sono in una stanza, in una specie di prigione.»
«In una prigione a Washington, ti hanno arrestato?»
«No.»
«Avrebbero dovuto farlo. Ma se non ti hanno arrestato, allora qualcuno ti ha rapito. Non mi meraviglio che sia successo. Vuoi che avverta la polizia?»
«Posso farlo io. Come si chiama il capo? È un mio amico, Frederic, sì, Frederic Marsch. Lo chiamo io, Catherine, ci sentiamo dopo.»
«Frederic Marsch per favore.»
«Chi mi chiama?»
«Sono Rogan, Rogan Farrell.»
«Ciao Rogan, cosa posso fare per te?»
«Aiutarmi, sono in una prigione.»
«Non certo nostra.»
«È una cosa molto strana, Frederic, sono in una cella con pareti traslucide.»
«Tu mi prendi in giro.»
«Non ti prendo in giro, ora ti do una descrizione esatta di quello che mi è successo poi ti prego di incaricare qualcuno di studiare il problema.»
Finito di spiegare e rispiegare ribattendo a tutte le osservazioni: “ma è impossibile” fatte dall’altro, Rogan decise di aspettare, ma era convinto di aver scelto la persona sbagliata. Il custode gli aveva detto che in qualche modo quella cosa l’aveva fatta, concepita lui. Aveva probabilmente dimenticato qualche progetto più recente della fondazione. Doveva chiamare il suo braccio destro, Lomax.
Anche Lomax rispose subito.
«Salve presidente, dove sei finito?»
«Devi aiutarmi tu a scoprirlo, che progetti abbiamo messo a punto negli ultimi tempi?»
«L’incontro in Cina, poi quello in India.»
«No, qualcosa che ha a che fare con una costruzione, un progetto di costruzione.»
«Forse gli uffici di Ginevra?»
«Quali uffici?»
«Quelli affittati dopo lo spostamento della sede della fondazione.»
«Lo spostamento della sede?»
«Sì, presidente, da New York a Ginevra.»
«Scusami, Lomax, sono un po’ confuso.»
Ora stava male, gli girava la testa. Di colpo tutto gli sembrava assurdo. Quali uffici di Ginevra? Ma non avevano mai spostato gli uffici a Ginevra. E perché questo spaventoso mal di testa, e la nausea, una nausea insopportabile. Si buttò per terra accanto al divano. Perché non ricordava cosa era successo a Ginevra? Dove era finito?
Doveva aver dormito. Faceva fatica a ricordare se aveva sognato. Sì, aveva sognato, ma cosa? Poi gli venne in mente qualcosa, un lungo corridoio no, meglio, un’infilata di stanze riccamente ammobiliate come a Versailles. Lui prima si era fermato a guardarle ammirato. Alcune erano dei salotti con comode poltrone, divani, tavolini da gioco. Non c’erano persone, ma era facile immaginarvi dame vestite sontuosamente, aristocratici, militari in alta uniforme, stuoli di camerieri in livrea, un continuo muoversi, alzarsi, sedersi, parole sussurrate alle orecchie, risate, coppie che si appartavano per fare all’amore. Proseguendo per il corridoio ora c’erano camere da letto, poi altri salotti, grandi saloni da ballo. Camminava ormai da molto tempo ma la reggia sembrava infinita. Lui cercava qualcosa o qualcuno, ma non ricordava chi o che cosa, dava un’occhiata dentro una stanza e poi procedeva oltre. Poi in una delle grandi sale da ballo gli sembrava di aver intravisto sul fondo una giovane donna con una gonna rosa, una gran massa di capelli. Subito dopo era scomparsa. Aveva capito che stava cercando quella donna. Quando ormai aveva rinunciato a trovarla, l’ha vista sbucare fuori da una tenda, era giovane, bionda, con un corpetto rosso da cui sbocciava un bellissimo seno Ma non riusciva a scorgerne il viso. Sapeva che quella donna era importante, che doveva vederne il volto, doveva sapere chi era. Vide che entrava in una sala piena di aristocratici, di personaggi altolocati che giocavano. Tutti giocavano, avevano davanti grandi quantità di denaro, carte di credito. Passavano di mano immense fortune. Fra tutta quella gente improvvisamente la vide. Passava sorridendo fra un tavolo e l’altro. Tutti la conoscevano e la salutavano. Poi scivolò dietro una tenda. La inseguì ma ad ogni stanza che passava l’arredamento diminuiva. Or...