
- 288 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Gli animali ci parlano: imparando ad ascoltarli, il nostro legame con loro sarà ancora più forte e intenso. Margrit Coates, la più famosa guaritrice di animali del mondo, in questo libro ci svela i segreti della comunicazione empatica attraverso le sue incredibili storie, come quelle di: Mitzi, la gattina che si sacrifica per salvare la vita alla sua padrona Rusty, il cocker spaniel a cui Margrit ha insegnato che non tutti gli esseri umani sono crudeli e violenti Cosmo, il gatto che fa da "consulente matrimoniale" ai suoi padroni.
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Informazioni
Print ISBN
9788817048064eBook ISBN
9788858616765
1. I MIEI ANIMALI E ALTRE SCOPERTE
Accogliete con gioia ogni miagolio, ogni latrato,
ogni cinguettio, ogni sospiro e ogni respiro di questi
angeli, e instaurate con loro un dialogo da cuore a cuore.
ogni cinguettio, ogni sospiro e ogni respiro di questi
angeli, e instaurate con loro un dialogo da cuore a cuore.
Si celano dovunque: personalità avvolte in morbidissime pellicce, figure che si stagliano in piumaggi partoriti da un estro sorprendentemente geniale o creature che rifulgono dentro squame sfavillanti. Gli animali possono assumere un’infinità di sembianze, ma sono accomunati indistintamente dalle loro qualità angeliche.
So per certo che gli esseri umani non sono gli unici in grado di sentire, pensare, progettare, sognare e comprendere l’universo. Grazie ai loro poteri superiori di messaggeri angelici, gli animali sono in grado di fare tutte queste cose e molto altro ancora.
Il primissimo ricordo che conservo di me stessa risale a quando avevo poco più di dodici mesi. Ero seduta nel seggiolone quando, d’un tratto, uno dei miei zii preferiti entrò nella stanza porgendomi dei dolcetti. Nel preciso istante in cui ne afferrai una manciata, voltai la testa a sinistra per osservare un cane seduto sotto una finestra. Mio zio e mia madre mi stavano parlando, e quel cane stava facendo altrettanto. Tutti loro facevano parte di quello che per me rappresentava una realtà inconfutabile. Le persone parlavano utilizzando la bocca, mentre il cane mi parlava con la sua voce interiore, ma per me non c’era nessuna differenza. Le informazioni che mi giungevano attraverso il cane non avevano la forma di parole – anche perché ero comunque troppo piccola per poter comprendere il significato di molti vocaboli – bensì trasudavano una sorta di sapienza. Si tratta della conoscenza che viene trasmessa da un’anima a un’altra. A dispetto della mia tenerissima età , ero stata in grado di captare il messaggio di quel cane e di acquisirlo per mezzo del sistema universale telepatico.
Ho sempre saputo che gli animali hanno un’anima, un’anima che costituisce peraltro un elemento inscindibile di tutti gli esseri viventi, così come ho sempre saputo che gli animali possiedono delle qualità angeliche, attraverso le quali possiamo instaurare con loro un dialogo a livello animico. E, più lo facciamo, più facilitiamo agli animali il compito di aiutarci, permettendoci inoltre di rafforzare il legame che ci unisce a loro.
Sono cresciuta negli anni Cinquanta in un quartiere popolare di Hull, nella regione dell’East Yorkshire, dove i cani e i gatti potevano scorrazzare liberamente. Mia madre, che aveva una nonna contessa, era una profuga fuggita senza un soldo dall’Europa devastata dai bombardamenti alla fine della seconda guerra mondiale. Aveva sposato mio padre, un soldato inglese che ci abbandonò quando avevo soltanto dieci anni, condannandomi a vivere un’infanzia difficile. In quegli anni, non potendo contare su alcun sussidio statale, mia madre fu costretta a crescere me e mia sorella in una condizione di estrema povertà . Non potevamo contare sull’aiuto di nessuno, perché mia madre aveva perso tutta la famiglia durante la guerra; in quanto ai parenti di mio padre, non volevano avere nulla a che fare con noi. Presumo che sia quello il motivo per cui, fin da piccola, avevo riversato tutte le mie attenzioni sugli animali, consapevole del fatto che loro sono sempre al nostro fianco dimostrandoci un amore infinito.
L’unico lavoro che mia madre era riuscita a trovare era come barista e cameriera ai tavoli. Per comprare da mangiare a fine giornata, si affidava alle mance; quando le capitava di non riceverne, ci accontentavamo di dividere la cena del nostro cane. Facevamo bollire le ossa che ci regalava il macellaio, e quindi succhiavamo il midollo, per poi lasciare al cane quello che avanzava. Da piccola, lo trovavo divertente; i nostri antenati cacciatori, che vivevano in prossimità degli accampamenti assiepati dai cani, si cibavano nello stesso modo.
Vidi per la prima volta il nostro cane a casa di un’amica. Aveva appena otto settimane ed era intento a giocare con altri cuccioli. Benché fosse un bastardino, il suo aspetto e il colore del pelo ci avevano indotto a pensare che nelle sue vene scorresse il sangue di un fox terrier. Nell’attimo in cui mi ero inginocchiata accanto a quei piccoli tutti presi dalle loro acrobazie, lui si precipitò verso di me dimostrando subito quell’atteggiamento aperto e affettuoso che avrebbe conservato per tutta la vita. Feci scivolare dentro la mia giacca quel cagnolino che non smetteva di dimenarsi, e lo portai a casa. In un primo momento, mia madre non accolse con grande entusiasmo la mia decisione a causa delle nostre ristrettezze economiche, ma ben presto la dolcezza di quel cucciolo finì per conquistarla. Patch, questo è il nome che gli avevamo dato, divenne un elemento fondamentale della nostra casa, il collante che riusciva a mantenere unita la famiglia nei momenti più duri. La sua personalità solare ci aiutava a sopportare anche le non poche giornate cupe. Quel cane buffo, affettuoso e intelligente era il nostro angelo del focolare.
Ricordo che, quando ero piccola, affrontavamo spesso le tematiche inerenti alla medianità , perché mia madre discendeva da una stirpe di guaritori naturali. Molti anni dopo, ogni volta che mi capitava di dover gestire un caso difficile, chiedevo a mia madre di pensarmi. Successivamente, quando andavo a trovarla, mi descriveva il colore, le dimensioni e la forma dell’animale del quale mi ero occupata, oltre a tutto ciò che era accaduto durante la seduta.
Mi ritrovavo puntualmente a chiederle: «Come fai a sapere tutte queste cose?».
Indicando il pavimento davanti a sé, mia madre rispondeva: «Perché tu eri qui. Potevo vederti. Abbiamo lavorato insieme su quell’animale».
Ero convinta che quel tipo di relazione fosse qualcosa di assolutamente normale.
Che io ricordi, ho sempre voluto posare le mie mani sul corpo di persone o animali malati e sofferenti; ogni volta che l’ho fatto, tutti mi hanno detto di aver percepito una sensazione di calore oppure un formicolio che scaturiva dalle mie mani. Inoltre, le esperienze singolari che ho vissuto nel corso degli anni con gli spiriti dei trapassati e anche con gli angeli mi hanno confermato che possiedo da sempre delle facoltà medianiche. Questo significa che sono estremamente sensibile alle energie; mi ci sono voluti molti anni per imparare a gestirle.
Quando ero piccola, la società era piuttosto chiusa su argomenti come la telepatia e la pranoterapia; ho dunque imparato a mantenere un certo riserbo sulle mie «facoltà ». Terminato il liceo, avevo accarezzato per qualche tempo l’idea di diventare un veterinario; finii invece per assecondare le mie inclinazioni artistiche, frequentando per quattro anni l’Accademia di Belle Arti e specializzandomi in progettazione grafica. Svolgere un’attività creativa è utile per la nostra evoluzione spirituale, poiché ci porta a esprimere noi stessi e ad approfondire il significato più autentico dello spirito di osservazione; posso dunque affermare che quel periodo è stato terapeutico per me. Per comunicare con gli animali in modo ottimale, dobbiamo sviluppare il nostro spirito di osservazione non solo a livello visivo, ma anche sul piano dell’energia invisibile. Se ci limitiamo a vedere solo con i nostri occhi, senza utilizzare l’intera gamma delle nostre percezioni sensoriali, potremmo incontrare non poche difficoltà nel comunicare con gli animali.
Dopo essermi diplomata all’Accademia di Belle Arti di Hull, mi ero trasferita a Londra per lavorare presso un’importante agenzia di pubblicità , ritrovandomi poi a collaborare come stilista e, saltuariamente, come indossatrice per alcune case di moda. Frequentando l’ambiente della pubblicità , conobbi il mio primo marito che ogni tanto suonava come bassista in una band e che, per un certo periodo, aveva lavorato come musicista in sala d’incisione, partecipando alla realizzazione di uno dei primi dischi dei Rolling Stones. A causa delle mie umili origini, questo mondo folle e rutilante mi incuteva un timore reverenziale; nel giro di sei mesi, ci eravamo sposati. Ora sono consapevole del fatto che uno stile di vita superficiale come quello che avevo condotto in quegli anni è stato deleterio per me, visto e considerato che essere quotidianamente a contatto con gli animali, come faccio attualmente, mi viene spontaneo come respirare. Delusa da tutto, finii per divorziare dopo cinque anni di matrimonio; fu un evento traumatico che segnò l’inizio di un lungo periodo introspettivo. Anche se all’epoca non mi sembrava così, quel momento non rappresentava la fine bensì l’inizio di un viaggio straordinario.
È fin troppo facile perdere di vista tutto ciò che è ovvio e acquisito. Il nostro pianeta è popolato da un sofisticato miscuglio di esseri viventi, perlopiù non umani. Eppure, buona parte di quanto accade intorno a noi riflette il dolore e l’infelicità della gente. Quando riconosciamo l’esistenza parallela dei due regni – umano e animale – e ci sforziamo di rimediare alle numerose ingiustizie che vi vengono perpetrate, impegnandoci a costruire un mondo migliore a cominciare da noi stessi e dalla nostra dimensione interiore, è sorprendente notare come il nostro viaggio attraverso la vita possa divenire appagante. Basta un piccolo gesto per modificare il nostro modo di vedere le cose, abituandoci a osservare gli altri con uno sguardo più attento e penetrante. Dopo il divorzio, avevo imparato ad apprezzare le piccole cose e i dettagli che più contano nella vita, compreso il mio atteggiamento nei confronti degli animali.
Nei cinque anni successivi alla fine del mio matrimonio, ho volutamente trascurato la vita sociale per poter sviluppare le mie facoltà extrasensoriali. Ho anche studiato i fenomeni paranormali per cercare di comprendere meglio il mondo invisibile verso il quale avevo già molta dimestichezza. E ho preso un gatto.
Casey aveva scelto di venire a vivere con me mettendo in atto lo stratagemma che i gatti sono spesso soliti adottare. Abbandonato dai suoi padroni che avevano traslocato altrove, quell’esserino grigio e bianco di appena diciotto mesi si sedeva davanti alla porta principale della mia casa e si precipitava dentro ogni volta che la aprivo. Tentai di spiegargli che non potevo tenerlo per via del mio lavoro che mi costringeva a trascorrere molte ore lontano da casa, ma lui mi rispose di non preoccuparmi perché non ci sarebbero stati problemi in tal senso. (In un secondo tempo, avrei trovato dei vicini disposti a badare a lui quando mi dovevo assentare.) Fu così che Casey venne a vivere con me; confesso che era la cosa più bella che mi fosse capitata da molto tempo a quella parte.
Come avrete forse intuito, Casey era un gatto dotato di spiccate facoltà medianiche che ci permisero ben presto di instaurare un intenso dialogo a livello telepatico. Eravamo due anime gemelle avvicinate dalle qualità angeliche di quella bestiola. Quando stringevo Casey fra le braccia, gli dicevo: «Tu sei me, e io sono te». Entrambi conoscevamo bene il significato di quelle parole: eravamo uniti da quel fortissimo legame magico che genera i miracoli.
Se Casey non fosse venuto a vivere con me, non so come avrei potuto tirare avanti negli anni successivi. La mia vita sociale era pressoché inesistente, poiché mi ero dedicata anima e corpo al mio lavoro; in quanto alla sfera privata, tutte le mie energie erano impiegate nello sviluppo delle facoltà medianiche per poter diventare una guaritrice. Negli anni che seguirono, quel gatto speciale aveva cominciato a fornire delle risposte a certi misteriosi fenomeni che mi affascinavano da tempo; potrei scrivere un altro libro solo per descrivere quegli episodi che assumono spesso una connotazione surreale.
Avevo anche due conigli – Flopsy, candido come la neve, e Marmalade, dal pelo aranciato – che Casey amava alla follia. Era uno spasso guardarli mentre facevano mille piroette nel mio giardino. I conigli sono facili da addomesticare; tutte le sere venivano ad accoccolarsi vicino a me e a Casey, mentre leggevo o ascoltavo musica. Il relax, però, non era sempre garantito, come quella volta in cui Flopsy si era messo a rosicchiare il filo del telefono, o come quando Marmalade aveva mangiucchiato le stringhe dei miei stivali nuovi.
In seguito, ebbi anche un cane. A dire il vero, non era mio bensì di un mio vicino. Si chiamava Sam e fra noi si era instaurato un rapporto così stretto, al punto che mi resi conto che lui era un’altra mia anima gemella. Come era successo con Casey, quando mi trovavo accanto a Sam, avevo l’impressione che le nostre due coscienze diventassero una cosa sola, un fenomeno che ovviamente si può manifestare in presenza degli animali, in virtù dell’energia angelica che li pervade.
Sam era il mio confidente e, nel tempo libero, facevamo delle lunghissime passeggiate. Era un cane dalla stazza imponente e con l’aria da duro, prelevato dal canile di Battersea quando aveva sei mesi. A dispetto dei suoi vigorosi latrati, era un angelo dolcissimo con chiunque facesse amicizia con lui.
Durante le nostre passeggiate, Sam ascoltava con molta calma e infinita pazienza tutti i problemi, i segreti e i sogni che gli confidavo. Al limitare di un grande campo, c’era una panchina di sasso su cui ero solita sedermi perdendomi nelle mie riflessioni. Senza che glielo chiedessi, lui si sedeva vicino a me: non so dirvi quante volte gli ho appoggiato la testa sul collo, inzuppandolo di lacrime. Sapevo che quel cane era in grado di scrutare nel più profondo del mio cuore, comprendendo i miei stati d’animo molto meglio di quanto avessi potuto spiegargli a parole. Ciò voleva dire che sapeva comprendermi meglio di quanto io stessa sapessi fare.
Non si limitava a leggermi nel pensiero, ma riusciva anche a cogliere le mie intenzioni, perfino quando non ero con lui. Una sera mi telefonò la mia amica per chiedermi se sarei uscita di lì a poco per passare da casa sua e portare Sam a fare una passeggiata. Quando le domandai come sapeva che stavo giusto per farlo, mi rispose che il cane era seduto in prossimità dell’ingresso principale della sua casa, intento a mugolare e a scodinzolare. Dal momento che tutta la sua famiglia era raccolta davanti al televisore, ne aveva dedotto che Sam stava aspettando solo me.
Sam aveva preso l’abitudine di piazzarsi davanti alla porta ogni volta che pensavo di portarlo a fare una passeggiata. Benché non potesse né vedermi, né sentirmi, né annusarmi quando mi trovavo all’altro capo del villaggio, sapeva sempre che sarei arrivata di lì a poco. Non c’era nessuna differenza fra i periodi in cui rispettavo degli orari ben precisi e i periodi in cui non avevo orari e mi capitava addirittura di non rincasare. Con infallibile precisione, Sam sapeva esattamente ciò che avrei fatto nell’imminente futuro.
Alla luce di tutte queste esperienze, avevo cominciato a mandare dei messaggi a Sam ogni volta che mi recavo in qualche posto. Questi gesti erano immancabilmente seguiti da un senso di pace; ero certa che lui captasse le mie comunicazioni. Ne ebbi conferma quando la mia amica mi disse che a volte il cane scrutava nello spazio circostante, come se guardasse lontano. Confrontammo gli orari in cui lo faceva con quelli in cui gli parlavo mentalmente. Mi era di conforto sapere che avrei potuto mettermi in contatto con Sam ovunque mi trovassi, e ogni volta che sentivo la necessità di comunicare con lui.
In seguito, cominciai a interessarmi ai cavalli. Ero sinceramente convinta che fosse del tutto normale per chiunque si occupasse di cavalli udire le loro «parole», senza soffermarsi sul loro linguaggio o sul loro comportamento, ma solo attraverso la voce che sgorga dai meandri più profondi del loro spirito. Mi sono spesso rifiutata di montare a cavallo, perché sentivo immancabilmente questi animali invocare aiuto. Ero scioccata al pensiero che i cavalli venissero – e vengano tuttora – montati anche quando stanno male, sono in preda a dolori atroci, piuttosto che quando sono tristi o depressi. La gestione, l’addestramento e il trattamento a loro riservato sono spesso improntati a un fraintendimento di fondo unito alla disinformazione e a una serie di miti che andrebbero sfatati; è questa la ragione che mi ha spinto a scrivere tre libri caratterizzati da una visione «pionieristica», per aiutare la gente a comprendere meglio la natura dei cavalli e le modalità più appropriate per comunicare con loro.
In seguito a un nuovo incarico che mi era stato proposto quando avevo quarant’anni, fui costretta a trasferirmi nella regione della New Forest, nell’Inghilterra meridionale. A quell’epoca, Sam era già anziano e soffrivo molto sapendo di non poterlo portare con me. Inutile dire che sentivo terribilmente la sua mancanza; ebbi spesso la sensazione che stabilisse un contatto telepatico con me, per consentirci di comunicare anche a molte miglia di distanza. Avevo programmato di andare a trovarlo, ma non feci mai quel viaggio perché lui morì alcuni mesi dopo il mio trasferimento. L’essenza delle nostre passeggiate e dei dialoghi a tu per tu con quel cane speciale è rimasta impressa in modo indelebile dentro di me.
Casey mi aveva seguito in occasione del trasloco nella New Forest, ma un’insufficienza renale se lo sarebbe portato via qualche anno dopo: aveva sedici anni. Ero di nuovo sola, e dopo un mese non riuscivo più a sopportare il silenzio sceso sulla mia casa. Mi ero dunque recata presso un rifugio per animali abbandonati, dove adottai due gatti, un cucciolo di tre settimane e sua madre, che qualcuno aveva trovato sotto una siepe che costeggiava una strada cittadina molto trafficata. In men che non si dica, ebbi la netta sensazione di trovarmi nuovamente al cospetto di anime gemelle, pregustando i dialoghi che avrei imbastito con l’astuta Mitzi e con Floyd, il suo figlioletto ancora puro e innocente. Osservare Mitzi intenta a spiegare a Floyd come va il mondo si era rivelata un’esperienza particolarmente edificante, che mi ha arricchito molto riguardo alla profondità dei sentimenti che gli animali manifestano gli uni verso gli altri.
Il mio nuovo lavoro mi portava a viaggiare da un capo all’altro del pianeta in veste di responsabile delle pubbliche relazioni per conto di un’azienda che operava a livello mondiale. Non ho mai fatto parola con nessuno della mia «doppia vita» come guaritrice che comunica con gli animali, per scongiurare il rischio di non venir presa sul serio nello spietato mondo degli affari. Una mattina, nel corso di una riunione, ebbi la certezza che uno dei miei conigli era morto. Era stato sottoposto a un intervento chirurgico per l’asportazione di un tumore, ma, in quel preciso istante, notai la sua presenza nel mio ufficio. Come ci si può concentrare, con lo spirito di un coniglietto seduto sulla scrivania? Di certo, non avrei potuto dire al mio capo, alias Mister No-Sono-Tutte-Sciocchezze: «Oh, a proposito, il mio coniglio è appena passato a salutarmi!». Diversi anni dopo, il mio capo sarebbe venuto ad assistere a una mia dimostrazione pubblica con i cavalli, confessandomi di essere rimasto colpito dalle loro risposte, che lo avevano fatto riflettere molto.
La mia vita cambiò di nuovo dopo che mi ero risposata, mentre un altro cambiamento incombeva all’orizzonte perché fui messa in cassa integrazione subito dopo il matrimonio. Ero sempre più delusa dall’universo aziendale perennemente pronto a pugnalarci alle spalle, e avvertivo un bisogno impellente di...
Indice dei contenuti
- Cover
- Frontespizio
- Sommario
- Dedica
- Introduzione
- 1
- 2
- 3
- 4
- 5
- 6
- 7
- 8
- 9
- 10
- 11
- 12
- 13