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Succede anche a voi
E vanno gli uomini a contemplare
le cime dei monti, i vasti flutti del mare,
le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano,
il corso degli astri e trascurano se stessi.
Sant’Agostino
Ciascuno di noi nella propria vita ha fatto esperienza di qualche incontro o avvenimento strano. Ad esempio, decidiamo di chiamare qualcuno, ma mentre stiamo per farlo il telefono squilla ed è proprio la persona che volevamo chiamare. Per evitare di riflettere più seriamente su questi episodi usiamo parole come caso. Ci convinciamo che siano successi per puro caso e la vita va avanti come se niente fosse.
Altro esempio: siamo in un centro commerciale e all’improvviso iniziamo a pensare a qualcuno che non vediamo da molto tempo. In quel preciso istante quella persona sta scendendo dalla scala mobile. Ancora una volta è un caso strano. Forse sulle prime ne restiamo un po’ stupiti, ma poi, per salvaguardare la nostra serenità interiore, ci sbarazziamo della sorpresa relegandola in un angolino remoto e polveroso della nostra mente e ce ne dimentichiamo.
Io non posso più farlo.
Questo caso è saltato fuori troppe volte nella mia vita. Mi ha mostrato una strada da seguire, mi ha suggerito una soluzione o mi ha salvato da una situazione problematica. Ha notevolmente influenzato la mia vita, qualche volta anche con un pizzico di ironia. Nel corso degli anni mi sono successe cose che secondo le probabilità statistiche non sarebbero dovute accadere e che dal punto di vista scientifico e matematico sono del tutto improbabili, per non dire impossibili. Eppure mi hanno fornito soluzioni utili e spesso eleganti a piccoli e grandi problemi.
Ecco perché non credo più al caso, o almeno a quel genere di caso di cui di solito si parla quando si dice «è successo per puro caso», riferendosi a quegli episodi che non sono considerati altro che una specie di vuoto d’aria statistico, che capitano e basta e non hanno nessun significato nascosto.
Io ho iniziato a sospettare che invece questo significato ci sia. Con il passare del tempo mi sono sempre più convinto che il caso è qualcosa di profondamente diverso da quello che siamo inclini a credere. Ho iniziato a capire che caso non significa coincidenza.
Il celebre psichiatra Carl Jung era molto interessato alle coincidenze e coniò il termine sincronicità per indicare una coincidenza significativa. Jung riteneva che potesse esserci una sorta di connessione fra sincronicità e intuito. È come se a tutto ciò che succede fosse sotteso un ordine, come se l’universo fosse permeato da una specie d’intelligenza, e questa è la stranezza che m’incuriosisce molto e che mi piacerebbe condividere con voi in questo libro. Vorrei semplicemente raccontarvi cose strane che sono successe davvero e invitare voi lettori a meravigliarvi con me per quanto la vita possa essere fantastica ed eccezionale.
Una volta ho avuto il privilegio di incontrare il fisico quantistico Fritjof Capra, autore di vari libri di successo come Il Tao della fisica e Il punto di svolta. Capra spiegava che gli scienziati di solito formulano ipotesi sull’oggetto della loro indagine, poi inventano e conducono esperimenti che confermeranno o confuteranno questa ipotesi.
«Ma adesso» disse «nei nostri laboratori accadono cose su cui non abbiamo neppure formulato un’ipotesi. Qualche volta semplicemente non riusciamo a capire ciò che sta succedendo e perché.»
In altre parole, noi umani viviamo in un universo di cui non possiamo capire che una piccolissima parte. Tutto il resto è ancora sconosciuto. E quindi che cos’è veramente quello che sperimentiamo durante il nostro viaggio tra la culla e la tomba, quest’avventura straordinaria che chiamiamo vita? La maggior parte di noi qualche volta si chiede cosa significhi tutto ciò. Chi sono? Qual è il senso della mia vita? Qual è il mio ruolo nell’universo? Dov’ero prima di nascere e dove andrò quando morirò?
Spesso è solo un pensiero vago che sfiora appena la nostra mente. Molte persone trovano addirittura sgradevoli queste riflessioni e le scacciano come le vespe che ronzano attorno a un cestino da picnic. Ho sentito alcuni dire: «Diamine, no, non rimuginiamo su questa roba, si rischia d’impazzire e basta». Preferiamo immergerci nella routine quotidiana delle nostre vite: il lavoro, la famiglia, la casa, il golf, la macchina e tutto quello che richiede la nostra attenzione ogni giorno. Ovviamente dobbiamo occuparci di queste cose, è naturale e necessario, visto che sono una parte della realtà materiale in cui viviamo.
Io, però, non posso fare a meno di pormi delle domande e sono ormai convinto del fatto che esista davvero una realtà più grande oltre a quella che vediamo e tocchiamo.
Forse la sincronicità è uno degli elementi che ci ricordano il grande mistero di cui facciamo parte? Durante il nostro incontro, Capra disse che gli eventi sincronicistici potrebbero dipendere da una specie di risonanza o interazione tra i meccanismi della coscienza e quelli della materia. Io ero tutto orecchie. Mi trovavo davanti a uno dei fisici più famosi del mondo e lui stava suggerendo che potrebbe esserci un legame tra spirito e materia, tra i pensieri e i sentimenti di un individuo e ciò che accade nel mondo al di fuori di lui, e che la sincronicità potrebbe essere l’anello di congiunzione tra questi due piani.
Oggi la sincronicità sta ottenendo sempre più attenzione: è considerata un aspetto della vita singolare ma difficile da spiegare. Questo mi incuriosisce e mi affascina. Le mie esperienze sincronicistiche personali e quelle che mi sono state raccontate da altri mi hanno convinto che abbiamo a che fare con una realtà molto più grande e strana di quanto possiamo comprendere allo stato attuale delle nostre conoscenze. Più strana di quanto riusciamo a immaginare, forse anche più di quanto la nostra mente riesca a concepire.
Non sono né uno scienziato né un sacerdote e non bado alla cogenza scientifica o al decoro religioso. Non credo neppure di essere un eletto o di soffrire del cosiddetto disturbo narcisistico della personalità . Sono solo un profano curioso che ha sviluppato l’abitudine di notare quando succedono cose strane e che non può evitare di chiedersi cosa significhino.
Per questo mi piacerebbe incoraggiarvi, cari lettori, a prestare attenzione a simili avvenimenti nella vostra vita. A tutti capitano esperienze sincronicistiche. La prossima volta che succede a voi, fateci caso, rifletteteci e cercate di capirne il significato profondo. Forse è veramente importante per voi. Se non altro, vi garantisco che la vita diventerà più interessante, divertente ed emozionante.
Esiste forse un’avventura più straordinaria di quella che chiamiamo vita? Questo grande enigma, questo mistero strano e insondabile che nessuno scienziato al mondo può spiegarci. Nessuno ha in mano la verità , ma è affascinante riflettere e andare alla ricerca di risposte.
Come dice lo scrittore Milan Kundera in L’insostenibile leggerezza dell’essere:
Non si può quindi rimproverare al romanzo di essere affascinato dai misteriosi incontri di coincidenze, ma si può a ragione rimproverare all’uomo di essere cieco davanti a simili coincidenze nella vita di ogni giorno e di privare così la propria vita della sua dimensione di bellezza.
E non solo della dimensione di bellezza.
2
E Gunnar era lì
Avevamo un problema all’agenzia pubblicitaria e io non sapevo come gestire la situazione. Ero stato nominato da poco amministratore delegato della società e dovevo fare qualcosa, ma cosa? Non avevo molta esperienza in quel ruolo. Venendo dal reparto creativo ero piuttosto ignorante in fatto di economia e avevo un assoluto bisogno di discutere della situazione con una persona più esperta di me.
Sapevo chi avrebbe potuto aiutarmi. Gunnar Wessman era stato amministratore delegato di molte importanti società svedesi, come la Perstorp, la Uddeholm e la Pharmacia. Ora era in pensione, ma la sua solida formazione aziendale e la sua capacità di comprendere le persone mi erano di grande aiuto in un momento in cui cercavo di gestire un incarico che avevo accettato con qualche esitazione.
C’incontravamo di tanto in tanto e discutevamo di piccoli e grandi problemi. Gunnar era diventato una specie di mentore per me e ora avevo bisogno di vederlo con estrema urgenza. Sfortunatamente ciò non era possibile, la sua agenda di viaggio era fittissima e non c’era proprio tempo per incontrarci con così poco preavviso.
Ero stressato e preoccupato, soprattutto perché non era un genere di problema di cui avremmo potuto parlare per telefono. Mi sarebbe servita solo un’ora faccia a faccia con lui, ma non si poteva fare. Era come se mi fosse caduta una tegola sulla testa. E nel bel mezzo di quel guaio dovetti anche correre a Copenaghen per un incontro di lavoro imprevisto.
Quella mattina mi misi in macchina diretto all’aeroporto di Arlanda. Quando arrivai nei pressi del ponte di Lidingö, mi resi conto che sul ponte stava succedendo qualcosa. La Volvo grigia davanti a me frenò all’improvviso. Io feci lo stesso e riuscii a fermarmi appena in tempo per non tamponarla. Il conducente della Volvo era riuscito a sua volta a fermarsi, evitando il tamponamento che si era appena verificato: davanti a noi c’era una fila di sette o otto macchine una addosso all’altra.
Non sembrava che ci fossero feriti o danni seri, solo qualche paraurti ammaccato, qualche faro rotto e schegge di vetro sparse sulla carreggiata. Non c’era ragione che mi fermassi, così mi spostai con cautela sull’altra corsia per superare l’incidente: non volevo certo perdere l’aereo.
Mentre stavo superando piano la Volvo grigia che si era fermata davanti a me, lo sportello dell’auto si aprì e ne scese un uomo. Era Gunnar!
Cercai invano di richiamare la sua attenzione, e non potevo fermarmi perché avevo altre macchine dietro di me e dovevo correre all’aeroporto. E comunque mi resi conto che non sarebbe stato possibile mettersi a parlare lì. Merda! Gunnar era così vicino e così lontano allo stesso tempo. Avevo davvero bisogno di parlare con lui, ma dovetti andare via.
All’aeroporto, dopo aver fatto il check-in, m’immersi nella lettura di un giornale, ma non riuscivo a concentrarmi: continuavano a tornarmi in mente i miei problemi di lavoro, Gunnar e il tamponamento sul ponte. Finalmente l’altoparlante annunciò che era ora di imbarcarsi. I passeggeri scattarono immediatamente verso l’imbarco, solo per ritrovarsi bloccati in una coda che diventava sempre più lunga. Succede ogni volta. Non appena l’altoparlante emette anche solo un sussurro, i passeggeri vengono presi dall’ansia di salire a bordo il prima possibile. Mi chiedo perché abbiano tutti fretta, dal momento che di solito il posto è già assegnato. Io me la presi comoda, continuai a leggere e aspettai che la folla si smaltisse. Non avevo certo bisogno di altro stress. Sempre cercando di stare rilassato, mostrai la mia carta d’imbarco al banco dei controlli, salii con calma a bordo e cercai il mio posto. Avevo l’8B. Quando arrivai, ebbi una sorpresa incredibile. Al posto 8A era seduto Gunnar!
3
E la polizia era lì
Non era stato un incidente molto grave. Io e il mio collega Lars Hall viaggiavamo su una macchina aziendale, una Peugeot 506 marrone, e procedevamo lungo una strada stretta di Stoccolma. Avvicinandomi a un incrocio, rallentai più del solito, dal momento che la visibilità sulla destra era piuttosto scarsa. Evidentemente non fui abbastanza prudente. Una macchina nera sbucò dal nulla, ci fu uno scontro e, poiché veniva da destra, era senza dubbio colpa mia.
Lars e io, per fortuna incolumi, scendemmo dalla macchina. Dall’altra auto scesero due uomini asiatici in uniforme. Una delle due uniformi era abbastanza semplice, nera e senza decorazioni. L’altra mi colpì di più, perché aveva galloni e bottoni dorati e medaglie cucite sul petto. Stavano a indicare che si trattava dell’addetto militare presso l’ambasciata thailandese, un ammiraglio, e del suo imbarazzatissimo autista.
Guardammo il paraurti ammaccato e i fari rotti. Io iniziai a scusarmi, pronto a dichiararmi colpevole, e a compilare i moduli dell’assicurazione. L’ammiraglio però fece un cenno con la mano: si trattava di un incidente di poco conto, nessuno si era fatto male e non c’era niente di cui preoccuparsi. «Non c’è problema, non c’è problema.» Sembrava volesse solo andarsene di lì il prima possibile. Ci stringemmo la mano, ci sorridemmo a vicenda con aria mortificata, ci scambiammo dei convenevoli e ci dichiarammo d’accordo a dimenticare l’intera vicenda. A volte capitano contrattempi del genere, e il nostro atteggiamento amichevole era probabilmente dovuto soprattutto al fatto che nessuno di noi avrebbe dovuto pagare per i danni di tasca propria.
L’ammaccatura della mia macchina non era così grave da impedirmi di allontanarmi dalla scena dell’incidente. Iniziai però a pensare con preoccupazione alle seccature che l’incidente comportava: portare la macchina da un meccanico, riempire i moduli dell’assicurazione e tutto il resto.
Poi, all’improvviso, mi ricordai che avevo già prenotato una revisione per l’indomani mattina! Non capita molto spesso di essere coinvolti in un incidente e non capita molto spesso di avere una prenotazione in officina. Eppure entrambe le cose stavano succedendo nel giro di dodici ore. Lars e io scherzammo sul tempismo perfetto dell’incidente.
E il meglio doveva ancora venire. La mattina successiva uscii di casa per raggiungere la città , distante trentacinque chilometri, e andare dal meccanico. Ero divertito dalla mia buona sorte e dalla coincidenza per cui l’officina era pronta a riparare la mia auto quel giorno stesso.
Dopo pochi chilometri, però, mi accorsi di qualcosa di molto spiacevole. L’indicatore della temperatura si stava spostando verso il rosso! Mi resi conto che il radiatore doveva essere stato danneggiato durante l’incidente e che durante la notte il liquido refrigerante doveva essere fuoriuscito. Maledizione! Era quello che mi meritavo per aver gongolato. E per di più mi trovavo in un tratto di strada che attraversa una zona completamente disabitata, dove non ci sono altro che boschi per chilometri e chilometri.
I miei pensieri correvano veloci. Dovevo fermarmi immediatamente. Non potevo guidare con il motore surriscaldato, si sarebbe potuto bloccare da un momento all’altro. Cosa potevo fare? Come potevo chiamare un carro attrezzi? Sapevo che non c’era un telefono nel giro di chilometri e non era ancora l’epoca dei cellulari. Dovevo cercare di attirare l’attenzione del conducente di qualche altra macchina per farmi dare un passaggio. Ero imbarazzato all’idea di starmene sul ciglio della strada a fare l’autostop. Doveva succedermi proprio lì, su quel tratto di strada deserta? Che ne era stato della mia buona sorte? Evidentemente mi aveva abbandonato.
Ero piuttosto contrariato e preoccupato all’idea che il motore si fosse danneggiato, ma allo stesso tempo era come se una parte di me fosse rimasta calma e stesse osservando seraficamente l’altra parte, che si stava dannando seduta in macchina.
L’attimo dopo vidi una cosa che non avevo mai visto nei quindici anni in cui avevo percorso quella strada quasi quotidianamente: un posto di blocco della polizia!
Un poliziotto mi fece cenno di fermarmi. Probabilmente fu l’unica volta in cui provai sollievo e gioia all’idea di venire fermato a un posto di blocco. Di solito vengo preso immediatamente da un vago e indistinto senso di colpa. Mi chiedo se sono sobrio, se ho la patente con me, eccetera. Allora invece provai una bella sensazione di sorpresa e sollievo e, dopo aver accostato, aprii il finestrino ed esclamai: «Che bello che siate qui!» a un poliziotto piuttosto sorpreso.
Gli spiegai il mio problema e chiesi se potevo usare la loro radio per chiamare un carro attrezzi. Il poliziotto mi fu di grande aiuto e non controllò neppure se fossi sobrio o avessi la patente.
Un quarto d’ora dopo comparve un carro attrezzi. L’autista aprì in fretta il cofano della mia macchina e poco dopo eravamo diretti all’officina presso la quale avevo prenotato la revisione ormai da settimane. Mi meravigliai del fatto che il posto di blocco di polizia si fosse materializzato proprio in quel punto e proprio in quel momento e ringraziai l’universo per aver organizz...