
- 60 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Il grande amico
Informazioni su questo libro
La vita scorre tranquilla per François, figlio dell'insegnante della scuola di Sainte-Agathe in cui anche lui è alunno. Ma quando fa la sua comparsa Augustin Meaulnes, il diciassettenne soprannominato da subito il Grande Meaulnes, tutto cambia. François partecipa, prima impotente e poi complice, alle inquietudini dell'amico: la fuga dalla scuola, l'amore per una ragazza di cui perde le tracce, i tentativi di ritrovarla, l'amicizia con il ribelle fratello di lei. Poi, l'epilogo: drammatico ed eroico insieme.
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Informazioni
Print ISBN
9788817066723eBook ISBN
9788858648520
Mi fermai sul primo gradino davanti al cancello.
Era una signora elegante, piccola, con il viso sfilato, i capelli grigi e un cappellino di velluto.
«Dove si sarà ficcato?» si domandava ad alta voce. E bussava sui vetri, ma mia madre non poteva sentirla.
L’avevo lasciata alle prese con i soliti abiti da rammendare nella stanza in fondo alla grande casa rossa in cui vivevamo a Sainte-Agathe. Mio padre, il professor Seurel, era partito presto, come ogni domenica, per la pesca al luccio.
Toccò a me farla entrare.
L’ospite sconosciuta si accomodò su una poltrona del soggiorno. Composta, garbata, aveva qualcosa di signorile e distaccato nei modi. Veniva da Ferté d’Argillon, ci disse, un paese a quattordici chilometri da lì. Ci aveva portato un pensionante, suo figlio minore. Il maggiore era morto e a questo grande dolore si aggiungeva anche quello di essere vedova. Quindi aveva deciso di mettere Augustin, così si chiamava il ragazzo, a scuola da noi perché frequentasse il Corso superiore per la patente magistrale, tenuto allora da mio padre.
Fu a quel punto che udimmo i passi.
Pesanti, cadenzati. Venivano dai solai.
Balzammo tutti e tre in piedi, sentimmo la porta aprirsi, i passi sulle scale, in cucina. Una figura comparve sull’uscio della sala da pranzo.
Era un ragazzone alto, sui diciassette anni, con un cappello di feltro spinto all’indietro e la camicia stretta da una cintura. Sorrideva.
«Vieni in cortile?» mi chiese, con l’aria di uno che non si aspetta un no per risposta.
Uscimmo in giardino. Era quasi buio. Aveva trovato in solaio alcuni petardi inesplosi dalla sera del 14 luglio. Prese di tasca dei fiammiferi, diede fuoco alla miccia e, afferrandomi per la mano, mi tirò indietro con forza. L’esplosione riecheggiò in tutto il cortile, illuminandolo di zampilli di stelle rosse e bianche.

Era una domenica di novembre del 189…, il primo giorno d’autunno che faceva davvero pensare all’inverno.
Avevo quindici anni. E avevo appena conosciuto il grande Meaulnes.

L’aula non restava più deserta dopo che, alla fine delle lezioni, i due ragazzi incaricati avevano finito di spazzare il pavimento, e io non rimanevo più in casa da solo a leggere fino a quando era pronta la cena. Tutti ci accalcavamo attorno al grande Meaulnes, così avevamo preso a chiamarlo, e aspettavamo un suo cenno per partire. «Via, andiamo!» diceva, e noi lo seguivamo per le vie, nelle stalle, nelle botteghe.
Tutta Sainte-Agathe si abituò in fretta a noi. Aspettavano gli studenti del Magistrale come si aspettano i vecchi amici in visita. Anch’io, che per via del mio male alla gamba mi ero sempre tenuto in disparte, cominciai a gironzolare con loro e presi a seguire quel cappello di feltro che svettava sulle altre teste come un faro in mezzo a una tempesta.
Mancavano otto giorni a Natale quando ci trovammo, Augustin, io e pochi altri, attorno alla fucina del maniscalco.
«Fromentin vi presterà il carro e la giumenta?» domandò l’omone.
I miei nonni sarebbero arrivati il giorno dopo alla stazione, carichi come tutti gli anni di prelibatezze natalizie e sacchi colmi di castagne. Io sarei andato a prenderli e il mio compagno Moucheboeuf sarebbe venuto con me. Mio padre non si fidava a mandarmi solo. In realtà , io avrei voluto che fosse Meaulnes ad accompagnarmi, e anche Meaulnes lo desiderava: il problema era che nessuno dei due aveva espresso il suo desiderio.
«No» risposi, «con l’asino di papà Martin.»
Il maniscalco e il suo aiutante scoppiarono a ridere. «Sarà un lungo viaggio! Peccato, perché con la cavalla potevate andare a prenderli a Vierzon. Ma ormai…»
La conversazione si spense, mentre le fiamme della fucina ci danzavano ancora sul viso.
Meaulnes, appoggiato allo stipite della porta, fissava lo sguardo nel vuoto come se non ci avesse nemmeno sentito.

Il professor Seurel non si accorse di niente.
Solo io vidi che alla fattoria della Bella Stella, di fronte alla scuola, stavano preparando il carro. Gli uomini lo seguirono fin sul portone. La cavalla di Fromentin uscì al passo. Il carro scomparve dietro la siepe e ricomparve sull’unico pezzo di strada che si scorgeva dall’aula. Lo riconobbi subito, il mio amico, a cassetta, rilassato, come se in tutta la sua vita non avesse fatto altro che guidare carri.

Poi sentii un nome urlato a gran voce. Augustin si rizzò in piedi, tese le redini e fece schioccare la frusta.
«Il grande Meaulnes è scappato!» gridarono in tre in fondo all’aula.
«Professore, l’avete autorizzato voi quello studente?» domandò spalancando la porta uno degli uomini che avevo visto davanti al portone.
Ma Meaulnes galoppava già sulla strada per Vierzon.
Attaccai l’asino al carro e andai a prendere i nonni Charpentier con lo spirito di un condannato a morte. Anche se mio padre era convinto del contrario, sapevo che sarebbe stato un viaggio a vuoto. E per di più con Moucheboeuf che non avrebbe taciuto nemmeno un istante, ora che era successo quello che era successo.
Ma quando arrivammo alla stazione, i nonni scesero dal treno come sempre. No, a Vierzon non c’era nessun ragazzo con un carro, ci dissero.
«E perché avrebbe dovuto esserci?» aggiunse la nonna in tono contrariato.
Già . Perché?
Di Meaulnes non c’era ancora traccia quando ci mettemmo a tavola per la cena nella nostra grande sala da pranzo, all’improvviso colma di un silenzio a cui non ero più abituato. Solo quando stavamo per andare a dormire sentimmo qualcuno entrare in cortile. Un uomo con il suo carro aveva riportato giumenta e carro della Bella Stella. Li aveva trovati abbandonati e cercava il proprietario per restituirli.
«Ho letto il nome del proprietario sulla targhetta» ci spiegò, indicandocela nel bagliore tenue del lume di mio padre.
Mi parve di guardare il relitto di un naufragio, forse il primo e l’ultimo dell’avventura di Meaulnes.

Entrò in classe come se niente fosse, guardandosi intorno con un’aria di sfida che nessuno gli aveva mai visto prima. Dov’era stato? Che aveva fatto? Lì per lì nessuno, nemmeno il professor Seurel, mio padre, osò domandargli nulla.
C’era qualcosa di diverso e nuovo in lui, e non era soltanto il panciotto di seta che sfoggiava sotto la semplice giacca di sempre. Noi stessi lo guardavamo con occhi diversi, lo scrutavamo alla ricerca di un indizio, un segno qualsiasi che ci rivelasse qualcosa della sua avventura.
Il primo pranzo di nuovo insieme trascorse in un silenzio imbarazzato, con i nonni che non si capacitavano di come quel ragazzo fosse scomparso nel nulla e dal nulla fosse ricomparso.
Soltanto dopo mangiato il mio amico e io scappammo in cortile.
Corremmo rasente i muri per non farci vedere dai compagni che giocavano.
Cercammo riparo in classe e riuscimmo a chiuderci dentro appena un istante prima che gli altri si gettassero con violenza contro la porta.
Salvi, pensai.
Salvi e soli, unici padroni della classe e di quel segreto che tutti volevano, ma che il mio amico avrebbe condiviso soltanto con me.
Si mise subito a frugare nella cattedra, nei banchi, e pescò un piccolo atlante. In piedi, i gomiti appoggiati sulla cattedra e la testa fra le mani, cominciò a osservarlo. Feci un passo verso di lui. Avrei sbirciato da sopra la sua spalla e l’avrei visto, quel suo viaggio straordinario.
Ma qualcuno doveva aver lasciato aperta una finestra della scuola elementare. La porta che dava nell’aula dei piccoli si spalancò e gli altri ci furono addosso.
«Non si può stare in pace un momento!» sbottò Augustin.
«E allora perché non te ne sei rimasto dov’eri?» gli gridò in faccia Delouche, il figlio della locandiera che guidava il gruppetto.
Il grande Meaulnes chiuse di scatto l’atlante e si rizzò, dritto e pallido e teso. «E tu perché non te ne vai adesso?»
«Sei scappato per tre giorni e credi di tornare e metterti a fare il padrone?» Gelsomin ridacchiava, incattivito.
Il mio amico gli fu subito addosso.
Le maniche delle camic...
Indice dei contenuti
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- Copyright
- Frontespizio
- Il grande amico