PARTE SECONDA
STORYSELLING IN AZIONE
Come si vendono le storie.
Dalla retorica greca al mindfucking contemporaneo,
senza dimenticarci della captologia
4 PRIMA DELLA STORIA: LEGGERE LA BIOGRAFIA DELL’INTERLOCUTORE
Perché per raccontare dobbiamo occuparci di storie di vita
È nella natura del desiderio di non poter essere soddisfatto, e la maggior parte degli uomini vive solo per soddisfarlo.
Aristotele
4.1 LE TRANSIZIONI DI VITA E LA FICTION ECONOMY
Conoscere il destinatario della mia narrazione (il “narratario”) è fondamentale. Le migliori tecniche di persuasione antiche e moderne, dalla retorica classica al cosiddetto mindfucking (termine dello slang inglese che indica una serie di tecniche psicologiche attuate per manipolare la mente) e alla captologia1 contemporanea (una nuova area di ricerca che studia le influenze profonde che le tecnologie interattive esercitano nel nostro rapporto con esse) sfruttano fondamentalmente l’analisi (auto)biografica.
In cosa consiste questo tipo di attività di indagine? In vari e sofisticati processi di lettura di un interlocutore, che esulano da queste pagine. Ciò che è importante per noi ora è capire che per leggere un target sulla base della sua autobiografia è necessario osservare le sue transizioni di vita.
Ognuno di noi infatti attraversa fasi di vita. A volte si tratta di forti transizioni, altre volte di periodi di rallentamento e di inerzia. Ci sono momenti in cui siamo più felici o più tristi, più stanchi o più eccitati, più annoiati o più interessati. Questi momenti sono sia passaggi esistenziali, sia stasi di vita, che si rincorrono in modo continuo durante la nostra esistenza quotidiana.
In questi periodi ci raccontiamo che siamo tristi e/o felici e che ci piacerebbe possedere strumenti di soddisfazione relativa.
Così, la merce si cristallizza sempre di più in una varietà di scelte legate ai momenti autobiografici di noi clienti-fruitori-consumatori (Carmagnola, 2006; Minestroni, 2006; Dujarier, 2009).
Per questo, l’attuale fase di produzione/consumo definita fiction economy si basa sulla narrazione, che a sua volta si basa sulla memoria dei momenti di vita che abbiamo attraversato e dei processi di consumo che abbiamo vissuto:
Lo scopo del marketing narrativo non è più semplicemente convincere il consumatore a comprare il prodotto, ma anche immergerlo in un universo narrativo, coinvolgerlo in una storia credibile. Non si tratta più di sedurre o convincere, ma di produrre un effetto di credenza (Salmon, 2008, p. 35).
Come ha dimostrato la psicologia contemporanea, noi pensiamo per storie e raccontiamo il consumo per storie (Franchi, 2007). Tutta la nostra identità si basa su format narrativi che raccontiamo a noi stessi e agli altri. Come se non bastasse, non solo la nostra identità è narrativa ma anche la nostra memoria lo è: pure quel dispositivo che ci serve per ricordare chi siamo, cosa abbiamo fatto, o cosa abbiamo in animo di fare, funziona in modo narrativo.
Basta un semplicissimo esempio. Se vi chiedo cosa avete fatto ieri, diciamo intorno a ora di cena, ha immediatamente inizio una fiction: un recupero di fatti, immagini, suoni, odori, che siete chiamati a organizzare narrativamente a un duplice livello:
visivo mentale: il ricordo si fa narrazione filmica introspettiva (rievocate immagini);
discorsivo verbale: una volta recuperato il ricordo visivo dovete raccontarlo, posizionandolo nella mente dei vostri interlocutori.
E proprio a livello discorsivo verbale viene il bello, perché a seconda della persona con cui state parlando e dei motivi di interlocuzione (forse dovete solo informare oppure dovete convincere e influenzare) le forme del racconto cambiano notevolmente.
Quando le persone raccontano qualcosa di loro stesse, di solito generano fiction, ognuna con un suo format e un suo storyboard massmediale.
Per questo la prima cosa da fare se voglio fare storyselling è una profonda attività di intelligence sulle mie audience. Conoscere e immaginare tutto del mio interlocutore. Un’attività che mi aiuta, tra l’altro, a generare la trance narrativa da ascolto.
4.2 I DIVERSI MOMENTI DI CONSUMO NELLA FICTION ECONOMY
Nella nostra vita quotidiana consumiamo per varie ragioni e attraversiamo diversi momenti di esistenza in cui compiamo gesti di consumo (Minestroni, 2006).
Questi momenti di vita sono stati ampiamente studiati dal marketing contemporaneo e dalla sociologia dei consumi (Morace, 2004; Siri, 2007; Fabris, 2008).
Esistono infatti moltissime classificazioni, tantissimi modelli concettuali a seconda della tradizione teorica di riferimento.
Interessante per il nostro studio sullo storyselling, però, è notare il fatto che il consumo è diventato una parte fondante del nostro pensiero e della nostra vita.
Gli oggetti del consumo contemporaneo ci supportano nel riconoscerci, espandono le nostre life skill (le competenze per vivere) e i beni diventano dispositivi per pensare (Douglas, Isherwood, trad. it., 1984) perché servono per comunicare e sono dotati di simbologie sociali:
I beni e i loro significati costituiscono così le parti accessibili di un sistema di apprendimento e di conoscenza […]. L’individuo si serve dei consumi per dire qualcosa su se stesso, sulla sua famiglia, sul luogo in cui risiede; per esprimere adesione o dissenso sul tipo di universo in cui si trova, ponendosi a volte – ma non necessariamente – in competizione con gli altri (Minestroni, 2006, pp. 232-233).
Se vogliamo raccontare meglio le nostre idee, iniziative e prodotti siamo allora per forza chiamati a conoscere il momento (auto)biografico di consumo del nostro interlocutore.
Siamo, in altre parole, chiamati a sapere in quale momento della vita si trova, quali grandi temi sta affrontando, cosa lo preoccupa, quale è il suo fatal flaw, o “difetto fatale” (per questo concetto si veda il capitolo 5). Perché sapendo questo potremo meglio creare il legame tra la sua autobiografia e il nostro oggetto commerciale (prodotto, idea o iniziativa politica che sia).
Dietro il consumo contemporaneo – come vedremo meglio nel prossimo capitolo – si esprimono grandi temi e miti esistenziali che nelle nostre autobiografie continuiamo a ripetere e ad attraversare, insieme alle nostre società:
Quali sono dunque le retoriche, i grandi temi, che si raccontano nel consumo contemporaneo all’interno di questi grandi miti esistenziali? Fondamentalmente sono cinque:
la retorica della cura/protezione;
la retorica del potere/possesso;
la retorica dell’esplorazione/curiosità;
la retorica dell’autoconferma/celebrazione di sé;
la retorica della negoziazione/progettualità.
Queste retoriche sono anche rappresentative di bisogni che si esprimono – in modo dinamico – in diversi momenti della nostra autobiografia (Siri, 2005). Per cui è possibile che appena svegli ci sentiamo mancanti di cura, poi in ufficio molto autocelebrativi, poi di nuovo privi di protezione e così via, ricorsivamente.
Se mettiamo insieme i momenti di consumo con le retoriche otteniamo un piccolo schema (si veda la tabella 4.1), non certo esaustivo, che però può esserci utile nel momento in cui dobbiamo leggere un pubblico, individuale o collettivo, prima di progettare le nostre narrazioni.
I prodotti, i grandi brand, i bravi venditori, gli efficaci uomini politici, persino gli architetti che devono progettare luoghi dove vivere e lavorare, oggi investono molto tempo e risorse nel cercare di capire i momenti di vita del proprio pubblico per intercettarlo.
Questi bisogni e momenti autobiografici sono legati a diversi fattori economici, politici, sociali e così via, ma si manifestano costantemente nella nostra quotidianità e nei contesti fisici che abitiamo:
TABELLA 4.1 Dinamiche di consumo e retoriche possibili (riadattamento da Siri, 2007)
La forma di un palazzo, di una casa o di un museo e il suo modo d’uso – le proprie caratteristiche distintive, insomma – possono essere considerati una componente importante della narrazione che si svilupperà in quel luogo e che i futuri utenti si figureranno vivendolo ogni giorno (Gallucci, Poponessi, 2008, p. 185).
Se so che il mio interlocutore è in un momento di esplorazione, in cui si sente forte e autocelebrativo, dovrò costruire un certo tipo di discorso e di conseguenza di luogo fisico. Inserirò allora nella mia narrazione tematiche come il gioco, la progettualità e la rivelazione.
In questo senso, per esempio, può essere letto il gesto di Silvio Berlusconi che, capendo bene il bisogno di esplorare una nuova politica da parte dell’elettorato italiano, costruisce una perfetta retorica auto-celebrativa di sé e del popolo italiano stesso, stilando col popolo medesimo un “contratto”: l’ormai famoso “Contratto con gli italiani”2.
Se, invece, capisco che il mio interlocutore è un po’ impaurito, che si trova in un momento di cura e protezione, dovrò ideare e proporre un discorso completamente diverso. Esemplare qui è Barack Obama, che cogliendo l’estrema necessità di sicurezza e salute del popolo americano, costruisce un’intera retorica su un doppio filone: cura e protezione insieme a esplorazione e progettualità. Nei suoi discorsi, per esempio quello della vittoria, si scoprono tematiche come la stabilità, il destino, la tradizione e il viaggio (verso un nuovo orizzonte valoriale) e così via.
Adesso, prendiamo un prodotto qualsiasi. Le scarpe di Adidas. Analizziamo per un momento i discorsi di questo marchio, sintetizzabili nel claim: “Impossible is Nothing” (“Niente è impossibile”). Chiaramente una dichiarazione di questo tipo sta parlando in modo eroico a un’audience intrepida, attraverso una modalità discorsiva che esprime conferma, dominio e controllo (attivando le retoriche d...