Schopenhauer come educatore
eBook - ePub

Schopenhauer come educatore

  1. 160 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Schopenhauer come educatore

Informazioni su questo libro

Schopenhauer come educatore è la terza e la più bella delle quattro Considerazioni inattuali. È anche la chiave per capire Nietzsche, perché è il suo diario, la sua storia più intima e il suo manifesto. Egli stesso rivela in essa quella che è la molla fondamentale, il motivo generatore della sua vita e della sua opera. Attraverso l'esaltazione del suo primo e unico maestro, il grande Arthur Schopenhauer, è Nietzsche stesso che, ripetendo l'esperienza fatta da Platone con Socrate, si presenta come educatore: educatore alla grandezza e a compiti di portata storica universale. Poiché il filosofo non è qui un neutro contemplatore, un ruminante, ma dinamite, che può far saltare ogni ordine esistente.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Schopenhauer come educatore di Friedrich W. Nietzsche,Sossio Giametta in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Filosofia e Storia e teoria della filosofia. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
Print ISBN
9788817001540

SCHOPENHAUER COME EDUCATORE

dp n="58" folio="58" ? dp n="59" folio="59" ?

1

Quel viaggiatore che aveva visto molti paesi e popoli e più d’un continente, e a cui fu chiesto quale qualità degli uomini avesse ritrovato dappertutto, disse: hanno una tendenza alla pigrizia. A più d’uno sembrerà che avrebbe potuto rispondere, in modo più giusto e più valido: sono tutti dei paurosi. Si nascondono dietro costumi e opinioni. In fondo ogni uomo sa benissimo che è al mondo solo una volta, come un unicum, e che nessun caso per quanto strano metterà insieme una seconda volta, agitandola e mescolandola, una così bizzarra e variopinta molteplicità nell’unità che egli è: lo sa, ma lo nasconde come una cattiva coscienza – perché? Per paura del vicino, che esige le convenzioni e si ricopre con esse. Ma che cos’è che costringe l’individuo ad avere paura del vicino, a pensare e ad agire alla maniera del gregge e a non essere contento di sé? Il pudore forse per taluni e rari. Per la grande maggioranza è la comodità, l’indolenza, insomma quella tendenza alla pigrizia di cui parlava il viaggiatore. Egli ha ragione: gli uomini sono ancora più pigri che paurosi e hanno paura più di tutto dei fastidi che una sincerità e nudità incondizionata addosserebbero loro. Soltanto gli artisti odiano questo lasciarsi andare a maniere prese a prestito e a opinioni appiccicate, svelando il segreto, la cattiva coscienza di tutti, la verità che ogni uomo è un miracolo irripetibile; essi osano mostrarci l’uomo quale egli stesso, egli soltanto è, fin nell’ultimo movimento dei muscoli, ancor più, che egli, in questa rigorosa coerenza della sua unicità, è bello e degno di considerazione, nuovo e incredibile come ogni opera della natura e assolutamente non noioso. Se il grande pensatore disprezza gli uomini, è la loro pigrizia che disprezza, giacché è a causa di questa che essi appaiono come prodotti di fabbrica, come indifferenti, indegni di frequentazione e di ammaestramento. L’uomo che non vuole appartenere alla massa non deve far altro che cessare di mettersi comodo con se stesso; segua la sua coscienza che gli grida: «Sii te stesso! Tu non sei tutto questo che adesso fai, pensi e desideri».
Ogni giovane anima ascolta questa esortazione giorno e notte tremando, giacché presagisce la misura di felicità destinatale dall’eternità, quando pensa alla sua vera liberazione: felicità che in nessun modo potrà raggiungere finché sarà stretta dalle catene delle opinioni e della paura. E come può diventare sconsolata e priva di senso la vita senza questa liberazione! Nella natura non c’è nessuna creatura più squallida e ripugnante dell’uomo che è sfuggito al suo genio e ora sbircia a destra e a sinistra, indietro e dovunque. Alla fine un tale uomo non lo si può più neanche attaccare, giacché egli è tutto esteriorità senza nocciolo, è una veste sdrucita, dipinta, rigonfia, un fantasma agghindato, che non può suscitare nemmeno paura e certo neanche pietà. E se a ragione si dice che il pigro ammazza il tempo, allora, per un periodo che ripone la sua salute nelle opinioni pubbliche, cioè nelle pigrizie private, bisogna preoccuparsi seriamente perché un tale tempo sia una buona volta realmente ammazzato: voglio dire perché sia cancellato dalla storia della verace liberazione della vita. Quanto dovrà essere grande l’avversione delle generazioni posteriori a occuparsi dei lasciti di quel periodo, in cui non dominavano gli uomini viventi, ma gli uomini posticci della pubblica opinione; per questa ragione forse la nostra epoca sarà per una qualche lontana posterità il segmento di storia più oscuro e più sconosciuto, perché il più inumano. Vado per le nuove strade delle nostre città e penso che fra un secolo, di queste case orribili che la generazione schiava dell’opinione pubblica si è costruite, niente più sarà in piedi e allora certo anche le opinioni di questi costruttori di case saranno crollate. Come possono invece essere pieni di speranza tutti coloro che non si sentono cittadini di questo tempo, perché se lo fossero contribuirebbero a loro volta ad ammazzare il loro tempo e a tramontare con il loro tempo – mentre vogliono piuttosto risvegliare il tempo alla vita per continuare essi stessi a vivere in questa vita.
Ma anche se il futuro non ci facesse sperare nulla – la nostra singolare esistenza proprio in questo mentre ci incoraggia nel modo più forte a vivere secondo la nostra misura e legge: questo fatto inspiegabile che noi viviamo proprio oggi pur avendo avuto un tempo infinito per nascere; il fatto che non possediamo niente se non un oggi lungo una spanna e dobbiamo mostrare in esso perché e per quale scopo siamo nati proprio adesso. Noi dobbiamo rispondere a noi stessi della nostra esistenza; per conseguenza vogliamo anche essere i veri timonieri di questa esistenza e non permettere che essa assomigli a una casualità priva di pensiero. Bisogna prenderla con un certo ardire e azzardo, tanto più che nel peggiore come nel migliore dei casi la si perderà sempre. Perché essere attaccati a questa zolla, a questa occupazione, perché stare ad ascoltare quello che dice il vicino? È così provinciale obbligarsi a nutrire opinioni che un paio di centinaia di miglia più in là già non obbligano più. Oriente e occidente sono tratti di gesso che qualcuno ci traccia sotto i nostri occhi, per prendersi gioco della nostra paura. Voglio fare il tentativo di pervenire alla libertà, si dice la giovane anima; e ciò le dovrebbe essere impedito dal fatto che per caso due nazioni si odiano e si fanno la guerra, o che tra due continenti c’è un mare, o che intorno ad essa viene insegnata una religione che però un paio di millenni prima non esisteva? Tu non sei tutto questo, essa si dice. Nessuno potrà gettare per te il ponte sul quale precisamente dovrai passare per attraversare il fiume della vita, nessuno fuorché te stessa. Certo vi sono innumerevoli sentieri e ponti e semidei che vogliono farti attraversare il fiume, ma solo a prezzo di te stessa; tu vi impegneresti e perderesti te stessa. Nel mondo c’è un’unica via che nessuno può percorrere all’infuori di te. Dove porta? Non domandare, seguila. Chi fu che pronunciò la frase: «Un uomo non sale mai tanto in alto come quando non sa dove la sua via lo può ancora portare»?
Ma come possiamo ritrovare noi stessi? Come può l’uomo conoscersi? Egli è una cosa oscura e velata; e se la lepre ha sette pelli, l’uomo ne può trarre da sé sette volte settanta senza mai poter dire: «Questo sei tu ora veramente, questa non è più scorza». Inoltre è un inizio tormentoso e pericoloso, quello di scavare in tal modo in se stessi e scendere con violenza per la via più breve nel pozzo del proprio essere. Con che facilità uno può allora farsi del male in modo che nessun medico possa guarirlo. E per giunta: perché sarebbe ciò necessario, se tutto dà testimonianza del nostro essere, le nostre amicizie e inimicizie, il nostro sguardo e le nostre strette di mano, la nostra memoria e quello che dimentichiamo, i nostri libri e i tratti della nostra penna? Ma per fare l’interrogazione più importante c’è questo mezzo. La giovane anima guardi indietro nella vita domandandosi: che cosa hai tu finora amato veramente, che cosa ha attratto la tua anima, che cosa l’ha dominata e insieme resa felice? Poniti davanti la serie di questi oggetti venerati, e forse essi ti indicheranno, con la loro essenza e la loro successione, una legge, la legge fondamentale del tuo autentico te stesso. Confronta questi oggetti, vedi come l’uno completa, allarga, supera e trasfigura l’altro, come essi formano una scala sulla quale tu ti sei finora arrampicato verso te stesso; giacché il tuo vero essere non si trova profondamente sepolto in te, bensì a un’altezza incommensurabile al di sopra di te o almeno al di sopra di quello che tu normalmente prendi come il tuo Io. I tuoi veri educatori e plasmatori ti rivelano qual è il vero senso originario e il materiale di base del tuo essere, qualcosa di assolutamente non-educabile e non-plasmabile, ma comunque difficilmente accessibile, legato, paralizzato: i tuoi educatori non possono essere nient’altro che i tuoi liberatori. E questo è il segreto di ogni formazione: essa non procura membra artificiali, nasi di cera, occhi occhialuti, – anzi ciò che potrebbe conferire questi doni è solo l’immagine deformata dell’educazione. Questa è invece liberazione, rimozione di tutte le erbacce, delle macerie, dei vermi che vogliono intaccare i germi delicati delle piante, irradiazione di luce e di calore, amorevole scrosciare di pioggia notturna, è imitazione e adorazione della natura, dove questa mostra intenzioni materne e misericordiose, è compimento della natura, quando ne previene gli attacchi crudeli e spietati e li volge al bene, quando getta un velo sulle manifestazioni dei suoi sentimenti di matrigna e della sua triste stoltezza.
Certo, ci sono altri mezzi per trovarsi, per rinvenire dallo stordimento in cui di solito ci si agita come in una fosca nuvola, ma non ne conosco nessuno migliore del ricordarsi dei propri educatori e plasmatori. E così oggi voglio essere memore dell’unico maestro e severo educatore, di cui mi posso vantare, Arthur Schopenhauer – per ricordarne in seguito altri.

2

Se voglio descrivere quale avvenimento fu per me quel primo sguardo che gettai sugli scritti di Schopenhauer, devo soffermarmi un poco su un’idea che nella mia gioventù era così ricorrente e urgente come forse nessun’altra. Quando un tempo mi abbandonavo ai desideri come il cuore portava, mi immaginavo che il terribile sforzo e impegno di educare me stesso mi sarebbe stato risparmiato dalla sorte, qualora avessi trovato al momento giusto, come educatore, un filosofo, un vero filosofo, a cui avessi potuto obbedire senza stare a rifletterci su, perché avrei riposto in lui più fiducia che in me stesso. Allora mi domandavo: quali sarebbero stati i principi secondo i quali mi avrebbe educato? E riflettevo su che cosa avrebbe detto delle due massime dell’educazione che sono in voga nel nostro tempo. L’una esige che l’educatore riconosca al più presto la forza particolare dei suoi allievi, per indirizzare poi tutte le energie e le linfe e ogni raggio di sole proprio in quella direzione, onde portare a piena maturità e fecondità quell’unica virtù. L’altra massima vuole per contro che l’educatore faccia crescere, curi e porti in armonioso rapporto scambievole tutte le forze disponibili. Ma si dovrebbe perciò costringere con la forza alla musica chi ha una decisa inclinazione all’oreficeria? Si deve dar ragione al padre di Benvenuto Cellini, che non si stancava di costringere il figlio al «lascivissimo cornetto», che il figlio chiamava «quel maledetto sonare»? Non si dirà che ciò è giusto quando si tratta di talenti così forti e che si esprimono in modo così determinato; e quindi quella massima della formazione armoniosa si può forse applicare soltanto alle nature più deboli, in cui si trova bensì tutto un nido di bisogni e inclinazioni, ma questi presi sia insieme sia singolarmente non vogliono dire molto. Ma dove troviamo in genere la totalità armonica e la consonanza polifonica in una stessa natura, dove ammiriamo l’armonia più che in questi stessi uomini, uno dei quali era Cellini, in cui tutto, conoscere, desiderare, amare, odiare, converge verso un centro, una forza radicale, e dove proprio in virtù della prepotenza imperiosa e dominante di questo centro vivente si forma un sistema armonico di movimenti in qua e in là, in su e in giù? E quindi le due massime non sarebbero affatto contrastanti? Forse l’una dice soltanto che l’uomo deve avere un centro e l’altra che deve avere anche una periferia? Il filosofo educatore che io sognavo non avrebbe soltanto scoperto la forza centrale, ma avrebbe anche saputo evitare che essa avesse effetti distruttivi sulle altre forze. Il compito della sua educazione sarebbe stato piuttosto, come mi sembrava, di trasformare l’intero uomo in un sistema di sole e pianeti in moto vivente e di conoscere la legge della sua superiore meccanica.
Intanto quel filosofo mi mancava e io tentavo questo e quello; trovai che noi moderni facciamo una figura miserevole nei confronti di Greci e Romani, anche soltanto per quanto riguarda l’intendere in modo serio e rigoroso i compiti dell’educazione. Con un tale bisogno nel cuore si può girare per tutta la Germania e specialmente per tutte le università senza trovare quello che si cerca; ma anche desideri molto più modesti e semplici rimangono qui insoddisfatti. Chi per esempio fra i Tedeschi volesse seriamente formarsi come oratore, o chi avesse l’intenzione di frequentare una scuola per scrittori, non troverebbe da nessuna parte né maestri né scuola; sembra che qui non si sia ancora pensato che il parlare e lo scrivere sono arti che non si possono acquisire senza la più accurata preparazione e i più faticosi anni di tirocinio. Ma niente rivela l’arrogante compiacimento dei contemporanei con se stessi in modo più chiaro e vergognoso della meschinità mezzo spilorcia e mezzo svagata delle loro pretese nei confronti di educatori e maestri. Che cosa mai non è ritenuto sufficiente, anche tra le nostre persone più distinte e meglio istruite, sotto il nome di precettore, che guazzabuglio di teste bislacche e di istituzioni antiquate è spesso chiamato e trovato buono come ginnasio; che cosa non basta a noi tutti come supremo istituto di insegnamento, come università, quali guide, quali istituzioni, paragonate alla difficoltà del compito di educare un uomo ad essere uomo! Finanche l’ammiratissima maniera con cui i dotti tedeschi si applicano alla loro scienza, mostra soprattutto che nel far ciò essi pensano più alla scienza che all’umanità, che vengono addestrati a sacrificarsi ad essa come una schiera perduta, per destinare sempre nuove generazioni a questo sacrificio. Il commercio con la scienza, quando non è guidato e delimitato da una superiore massima di educazione, ma è solo e sempre più scatenato secondo il principio «Quanto più tanto meglio», è certamente per i dotti altrettanto nocivo della teoria economica del laissez faire per l’eticità di interi popoli. Chi sa ancora che l’educazione del dotto, la cui umanità non deve essere abbandonata né deve inaridirsi, è un problema quanto mai difficile? – eppure questa difficoltà si può vedere con gli occhi, se si fa attenzione ai numerosi esemplari che sono stati incurvati e contrassegnati da una gobba da una sconsiderata e troppo prematura dedizione alla scienza. Ma vi è un indice ancora più importante dell’assenza di ogni educazione superiore, più importante e più pericoloso e soprattutto molto più generale. Se è subito chiaro perché un oratore, uno scrittore non può essere oggi educato – perché appunto per essi non vi sono educatori -; se è quasi altrettanto chiaro perché un dotto deve oggi diventare curvo e deforme – perché dovrebbe essere educato dalla scienza, dunque da un’astrazione disumana – ci si chieda infine: dove sono propriamente per noi tutti, dotti e indotti, nobili e meschini, i nostri modelli e le nostre celebrità morali tra i nostri contemporanei, il visibile compendio di ogni morale creativa di quest’epoca? Dove è veramente finito tutto quel riflettere sulle questioni etiche che in tutti i tempi ha tenuto occupata ogni società nobile ed evoluta? Non vi sono più celebrità né riflessioni di quel tipo; si consuma in effetti il capitale di moralità ereditato, che è stato accumulato dai nostri antenati e che noi non sappiamo accrescere ma solo sperperare; nella nostra società o non si parla affatto di tali cose o se ne parla con una inesperienza naturalistica e maldestra, che non può che suscitare ripugnanza. Siamo arrivati al punto che le nostre scuole e i nostri docenti prescindono semplicemente da un’educazione morale o si accontentano di formalismi. E virtù è una parola sotto la quale maestri e allievi non sanno più pensare niente, una parola antiquata, della quale si sorride – e male se non si sorride, perché allora ci si infinge.
La spiegazione di questa rilassatezza e del basso livello di tutte le forze morali è difficile e complicata; però nessuno che tenga conto dell’influsso del cristianesimo vittorioso sull’eticità del mondo antico potrà neanche trascurare la reazione del cristianesimo soccombente, dunque la sua sorte sempre più probabile nel nostro tempo. Con l’altezza del suo ideale il cristianesimo ha superato i sistemi morali antichi, e la naturalezza in tutti uniformemente presente, in modo tale che verso questa naturalezza si divenne sordi e schifiltosi; ma in seguito, quando si riconosceva ancora sì il migliore e superiore, ma non se ne era più capaci, non si poté più tornare, per quanto lo si volesse, al buono ed elevato, cioè a quella virtù antica. In questo oscillare tra cristianesimo e antichità, tra un cristianesimo dei costumi impaurito o menzognero e un anticheggiare altrettanto privo di coraggio e prevenuto, vive l’uomo moderno e non vi si trova bene. La paura ereditata del naturale e d’altra parte la rinnovata attrazione di questo naturale, il desiderio di trovare un sostegno da qualche parte, l’impotenza del suo conoscere, che barcolla in qua e in là tra il bene e il meglio, tutto ciò genera un’inquietudine, una confusione nell’anima moderna, che la condanna all’infecondità e all’infelicità. Mai si ebbe più bisogno di educatori morali e mai fu più improbabile trovarli; nei tempi in cui i medici sono più necessari, nelle grandi epidemie, essi sono anche i più minacciati. Dove sono infatti i medici dell’umanità moderna che si reggano essi stessi saldamente e sanamente sulle loro gambe, in modo da poter sostenere anche gli altri e condurli per mano? Sulle migliori personalità del nostro tempo grava una certa cupezza e tetraggine, un’eterna scontentezza per la lotta tra sincerità e finzione che viene combattuta nei loro petti, un’irrequietudine nella fiducia in sé – e a causa di tutto ciò essi divengono incapaci di far da guida e insieme di essere maestri di disciplina per gli altri.
Era dunque veramente un gozzovigliare coi miei desideri, quando mi immaginavo di poter trovare un vero filosofo come educatore, che potesse strappare qualcuno dall’insoddisfazione, in quanto questa dipendesse dall’epoca, e gli insegnasse di nuovo ad essere semplice e schietto, nel pensare e nel vivere, quindi inattuale nel senso più profondo della parola; poiché gli uomini si sono fatti ora così molteplici e complicati che sono costretti a diventare insinceri tutte le volte che parlano, fanno affermazioni e vogliono agire in base ad esse.
In mezzo a tali frangenti, bisogni e desideri, io feci la conoscenza di Schopenhauer.
Io sono uno di quei lettori di Schopenhauer che, dopo averne letto la prima pagina, sanno con certezza che leggeranno tutte le altre e daranno ascolto a ogni parola che egli abbia detto. La mia fiducia in lui fu immediata ed è oggi ancora la stessa di nove anni fa. Lo intesi come se avesse scritto per me, dico per esprimermi in modo comprensibile, ma immodesto e folle. Da ciò proviene il fatto che io non abbia mai trovato in lui un paradosso, benché qua e là qualche piccolo errore; giacché che altro sono i paradossi se non affermazioni che non ispirano fiducia, perché l’autore stesso le ha fatte senza vera fiducia, in quanto con essi voleva brillare, sedurre e in genere apparire? Schopenhauer non vuole mai apparire, perché scrive per sé, e nessuno ama essere ingannato, tanto meno un filosofo, che si fa addirittura una legge del: non ingannare nessuno, neanche te stesso! Neppure con il cortese inganno sociale che quasi ogni conversazione comporta e che gli scrittori imitano quasi inconsciamente; ancor meno con l’inganno più consapevole perpetrato dall’alto della tribuna dell’oratore e con i mezzi artificiosi della retorica. Ma Schopenhauer parla con sé, oppure, se proprio ci si vuole immaginare un ascoltatore, si immagini allora il figlio che viene istruito dal padre. È un modo di esprimersi onesto, rude, benevolo, davanti a un ascoltatore che ascolta con amore. Tali scrittori a noi mancano. Il vigoroso senso di benessere che emana da chi parla ci avvolge al primo risuonare della sua voce; ci accade come quando ci addentriamo in un bosco d’alto fusto: respiriamo profondamente e improvvisamente ci sentiamo di nuovo bene. Qui c’è un’aria sempre ugualmente corroborante, così noi sentiamo; qui c’è una certa inimitabile spigliatezza e naturalezza, quale hanno gli uomini che dentro di sé si sentono a casa loro, e in verità padroni di una casa ben ricca, al contrario degli scrittori che si stupiscono essi stessi al massimo, se sono stati una volta geniali, sicché il loro modo di scrivere ne riceve qualcosa di inquieto e innaturale. Altrettanto poco, quando parla Schopenhauer, ci ricordiamo del dotto, che ha membra rigide, non esercitate, ed è stretto di petto e perciò cammina tutto spigoloso, impacciato o affettato; mentre d’altro canto l’anima ruvida e un po’ da orso di Schopenhauer insegna non tanto a sentire la mancanza dell’agilità e della grazia cortese dei buoni scrittori francesi, quanto a disdegnarle, e nessuno scoprirà in lui quella patina contraffatta e quasi argentata di franceseria che gli scrittori tedeschi ostentano a tutto spiano. Qua e là il modo di esprimersi di Schopenhauer mi fa pensare un poco a Goethe, ma altrimenti niente affatto a modelli tedeschi. Egli sa infatti dire le cose profonde con semplicità, le cose commoventi senza retorica e quelle rigorosamente scientifiche senza pedanteria. E da quale Tedesco avrebbe potuto imparare ciò? Si tiene inoltre libero dalla maniera cavillosa, eccessivamente mobile e – con licenza parlando – piuttosto non-tedesca di Lessing: il che è un grande merito, dato che Lessing è tra i Tedeschi, per quanto riguarda lo scrivere in prosa, l’autore più seducente. E, per dire subito il massimo che posso dire del suo modo di scrivere, riferisco a lui stesso la sua frase: «Un filosofo dev’essere molto onesto, per non servirsi di ausilî poetici o retorici». Il fatto che l’onestà sia qualcosa e addirittura una virtù, fa parte certo, nell’epoca delle opinioni pubbliche, delle opinioni private, che sono proibite; e perciò avrò non lodato, ma solo caratterizzato Schopenhauer se ripeterò: egli è onesto, anche come scrittore; e onesti sono così pochi scrittori, che si dovrebbe essere diffidenti verso tutti coloro che scrivono. Conosco solo un altro scrittore che per l’onestà pongo alla pari con Schopenhauer, anzi ancora più in alto: è Montaigne. Che un uomo simile abbia scritto, per questo veramente il piacere di vivere...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. SCHOPENHAUER COME EDUCATORE - NELL’OPERA DI NIETZSCHE
  5. LA VITA DI NIETZSCHE AL TEMPO DELLA TERZA CONSIDERAZIONE INATTUALE
  6. CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
  7. BIBLIOGRAFIA
  8. SCHOPENHAUER COME EDUCATORE