Ida Magli
OMAGGIO AGLI ITALIANI
Una storia per tradimenti
Proprietà letteraria riservata
© 2006 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-58-64555-0
Prima edizione digitale 2013 da prima edizione BUR giugno 2005
In copertina: allegoria dell’Italia, stampa ottocentesca.
© Luisa Ricciarini
Progetto di collana Mucca Design
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NOTA DELL’AUTRICE. Alcune indicazioni grafiche, come per esempio le maiuscole o le virgolette, si discostano volutamente da quelle in uso abitualmente, a volte anche all’interno delle medesime pagine, in base al particolare significato che i termini assumono nel contesto.
Dedica
Questo libro è dedicato a Giacomo Leopardi del quale oso, tanto indegnamente, far mie alcune parole che introducono il Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica: “O Italiani, io non temerò mai scrivendo il vero e scrivendo come potrò per voi, né l’odio di chicchessia né il potere o la fama di chicchessia”.
Introduzione Una storia per tradimenti
Il tema essenziale di questo libro consiste nel mettere in luce, attraverso la loro opera in tutti campi — dall’arte alla letteratura, dalla musica alle scienze — la storia degli Italiani, fondamento, espressione massima e guida della civiltà occidentale.
Si cercherà di dimostrare, con assoluto rigore nell’esaminarli, due fatti concomitanti fra loro e che fanno della storia degli Italiani un’eccezione assoluta fra quelle di tutti gli altri popoli. Il primo: come i Governanti, a partire dal predominio del cristianesimo, ininterrottamente attraverso tutti i secoli che abbiamo alle spalle così come oggi, abbiano odiato, disprezzato, calpestato i loro sudditi in modo tale che in pratica la storia degli Italiani potrebbe (anzi deve) essere definita una “storia per tradimenti”.
Nessun popolo è stato mai tradito dai suoi governanti in maniera così determinata, ossessiva, cinica, perversa. Di questo atroce comportamento si darà una spiegazione, più oscura, fra quelle considerate ovvie dal punto di vista politico, più difficile da comprendere e da dimostrare, più nascosta e tuttavia evidente.
Il secondo fatto: come gli Italiani abbiano reagito al tradimento e alla più spietata oppressione con le armi della pura intelligenza, attraverso l’ininterrotta, “sfrenata” produzione del pensiero in tutti i campi. Ma soprattutto inserendovi sempre una denuncia, una critica oggettiva, una freddissima analisi di che cosa sia il Potere. Di questa analisi – basti per tutti il nome di Machiavelli le cui opere sono state condannate al rogo il giorno successivo alla sua morte – governanti, storici, politici di ogni genere, non hanno naturalmente tenuto nessun conto, esprimendo un giudizio sprezzante sulla moralità degli autori. Ne è scaturita, così, un’immagine sempre deteriore degli Italiani. Una prassi, questa, come vedremo, costantemente seguita nei confronti di quello che i detentori del Potere intuivano come il massimo pericolo nella resistenza dei loro sudditi: l’impossibilità di ingannarne e di metterne a tacere il puro intelletto.
Il tradimento ha trovato fin dall’inizio, con la cancellazione o, per quel poco che ne rimaneva, con il disprezzo verso la Civiltà Romana, una strada facilissima: creare negli Italiani la coscienza “della vergogna”, sia dentro di sé che nella propria immagine all’esterno. Una immagine negativa di vigliaccheria e di preordinata sconfitta, che ha accompagnato gli Italiani in tutta la loro storia, tanto da trovare ancora oggi in un artista geniale come Alberto Sordi il suo amarissimo rappresentante e cantore.
La storia narrata in questo libro è dunque una storia che seguirà la traccia della “Politica del tradimento”. E che dimostrerà come la ribellione degli Italiani, di volta in volta ribellione della lingua, del pensiero, dell’arte, della poesia, della musica, della scienza, della religiosità, dell’assetto politico, attraverso l’innumerevole serie di geni che si sono susseguiti senza darsi mai per vinti, abbia costruito il contrappunto all’itinerario dell’Europa d’Occidente fino al tradimento finale odierno: l’impero dell’Unione Europea.
1. Il tradimento finale
Naturalmente è stato l’aver assistito per tanti anni, dal Trattato di Maastricht in poi, giorno per giorno, parola per parola, gesto per gesto, al tradimento dei politici, intenti a togliere per l’ennesima volta, chiamando gli stranieri, la libertà e la patria ad un popolo che aveva tanto aspettato e tanto lottato per ottenerla, che mi ha fatto capire, all’improvviso, che questa non era una novità o una disgrazia. Anzi: che era la strada “solita”, una specie di sistema mentale ovvio, di memoria genetica di chiunque detenga il potere in Italia: poggiare i piedi sugli Italiani come “corpo”, come pedana dalla quale slanciarsi per raggiungere Il Potere.
Un Potere che non è potere sugli Italiani se non in forma subordinata, per la sua indispensabilità; ma che, proprio per il disprezzo loro riservato, non rappresenta per i Governanti il vero Potere, quello cui aspirano (il percorso tenuto da Romano Prodi da quando nel 1994 si è presentato sulla scena politica dicendo agli Italiani: “Io vi salverò, vi porterò in Europa” ne rappresenta un tipico esempio). Offrire ai magnati di turno, di volta in volta Papi, Re, Imperatori, Dittatori, Banchieri, il territorio, la civiltà, la storia più preziosa, quella romano-italiana, che l’Europa e il mondo hanno sempre anelato di possedere, è stato, dall’instaurarsi del cristianesimo in poi, l’unico scopo e la forza dei Governanti d’Italia.
L’Italia è il loro “mezzo”, il loro ricchissimo patrimonio-strumento.
Un lampo. Un lampo fortissimo ha illuminato, subitaneo e sicuro, quello che è stato insegnato a me come agli altri Italiani sui banchi di scuola, nei libri, nei giornali, nelle chiese, negli spettacoli: era tutto falso.
Sì, era falso il passato che ci avevano raccontato così come erano false le motivazioni e gli scopi del progetto europeo. Questo progetto è talmente privo di principio di realtà, talmente violento nel distruggere ciò che costituisce l’unico vero bene che i popoli possiedano: l’identità, la lingua, l’indipendenza, la patria, il territorio, la libertà che, fin dall’inizio, non mi era stato possibile credere che i governanti non ne fossero consapevoli; non l’avessero voluto, ingannando con astuzie di tutti i generi i propri sudditi al fine di distruggerli culturalmente e fisicamente.1
Mano a mano che vedevo coalizzarsi tutte le voci, tutti i mezzi di informazione in un unico coro di esaltazione dell’Europa; mettersi insieme i capi delle nazioni più importanti, e perfino le religioni con in testa la Chiesa Cattolica, in un disegno che comporta l’azzeramento di ogni fede, di ogni ideale precipuo dei singoli popoli, capivo finalmente in quale tenaglia siano sempre stati stritolati gli Italiani. Per fare l’impero europeo è indispensabile oggi, così come lo era nei secoli passati, possedere il territorio italiano e simultaneamente cancellare tutto quello che è italiano. Cancellare, dunque, Roma con quei pochi eppure eloquenti documenti della sua civiltà che hanno resistito alla furia distruttrice del cristianesimo e di tutti gli invasori che si sono susseguiti. Cancellare la lingua, prima latina e poi italiana, in quanto strumento cui gli Italiani si sono aggrappati per conservarsi come Popolo, come Nazione, malgrado gli innumerevoli dittatori che hanno cercato di impedirglielo. Distruggere, infine, la creatività, l’intelligenza, l’immenso patrimonio di “bellezza” che gli Italiani hanno donato al mondo e che, malgrado la schiavitù imposta dai Tre Poteri che li hanno schiacciati, ha rappresentato il fulcro e la guida del pensiero e dell’arte in ogni luogo d’Europa. Adesso finalmente (è questo, ne siamo sicuri, il motivo principale per il quale l’unione europea è stata progettata e perseguita con cieco entusiasmo: la cancellazione degli Italiani dalla scena del mondo) giustificato dal bisogno di costruire l’impero europeo, tutto questo poteva, anzi doveva essere distrutto. Non soltanto il genio italiano doveva essere rinnegato, come è stato fatto innumerevoli volte in passato, ma privato di qualsiasi possibilità di rinascere.
Il sale verrà sparso – il sale dell’uguaglianza e della solidarietà europea – e gli Italiani non ci saranno più. Italia delenda est.
2. Italia delenda est
Ecco le strade. Prima di tutto la lingua. Le lingue ufficiali dell’impero europeo sono state fino ad ora il francese e l’inglese. Adesso si è aggiunto, come era prevedibile, il tedesco, con la giustificazione della presenza di molti paesi dell’Est che sono abituati a parlarlo, ma in realtà perché il baricentro dell’Impero deve essere la Germania. Del resto l’Inno ufficiale dell’Unione è tutto tedesco: la Nona Sinfonia di Beethoven con parole di Schiller. Sarebbe davvero strano che l’Inno di un Impero non rappresentasse, con la sua lingua e la sua musica, l’anima del popolo che lo canta.
Tuttavia si finirà col parlare l’inglese e le lingue nazionali diventeranno dialetti.
Inutile soffermarsi su cose ben note in letteratura, in linguistica, in antropologia: ogni lingua è il prodotto e insieme il contenitore della cultura che la crea. Per gli Italiani la perdita della lingua sarà catastrofica, molto di più che per gli altri popoli, a causa della forza che ha esercitato come valore fondante dell’unità e dell’identità di un popolo che non possedeva unità e identità politica. Senza dilungarsi su di un argomento così complesso come la funzione di interscambio e di fecondazione reciproca che avviene fra la formazione concettuale del pensiero e la lingua in cui il pensiero si esprime, è indispensabile tuttavia sottolineare il fatto che questo processo è particolarmente importante per gli Italiani i quali, proprio perché fin dalle origini romane “pensano” con la lingua, “creano” con la lingua, trascinati da associazioni di volta in volta vere perché linguisticamente musicali, oppure vere perché traducibili in creazioni linguistiche, privati della fiducia nell’italiano, non saranno capaci di produrre nulla di creativo.
Sull’influenza della forma musicale sul pensiero e sulle creazioni artistiche degli Italiani in tutti i campi, torneremo lungo la storia tracciata in questo libro, a partire dai Romani, ma è stato indispensabile accennarlo qui perché la brutale violenza, accompagnata dal più cinico silenzio, con la quale tutti – governanti, intellettuali, insegnanti – hanno imposto agli Italiani la rinuncia al primato della propria lingua, è uno degli indici più eloquenti dello scopo che si prefigge l’Unione Europea: distruggere insieme alla lingua il popolo italiano e le creazioni del suo pensiero.
Si tratta di uno sforzo accanito, assillante; perseguito in maniera talmente determinata da includere le scuole di Stato dove lo studio dell’inglese è stato imposto fin dalle prime classi insieme all’uso del computer. Contemporaneamente, è stato abolito quasi del tutto lo studio della storia antica e del latino, il che significa avere abolito tutta la storia degli Italiani da Roma in poi.
Infine allo stesso scopo si svolge una furiosa battaglia, tramite la politica del “federalismo”, per smembrare l’unità dello Stato ed esaltare i poteri locali. “Bisogna eliminare le Nazioni” – è questo il Comandamento assoluto – tutto il resto ne dipende. I Poteri locali stanno introducendo, con la loro ottusa ignoranza, lo studio dei dialetti nelle scuole, considerando il dialetto, secondo i dettami marxisti, un patrimonio “naturale” creato dal popolo. Dovrebbe apparire ovvio, ma il vangelo marxista lo impedisce, che il dialetto è la lingua che si apprende nell’ambiente in cui si nasce, dalle labbra materne, prima di conoscere le strutture grammaticali e sintattiche che la reggono, ossia prima di potere e sapere “oggettivare”, distanziare da sé e dall’automatismo che sembra istintivo, qualsiasi comportamento ivi compreso il linguaggio. La distinzione fra dialetto e lingua esiste soltanto nelle civiltà che possiedono la scrittura. Insegnare il dialetto a scuola significa truffare coloro che non avevano potuto studiare quando il sapere apparteneva ai ricchi, ai nobili, al clero, alle classi alte. La lingua di cui parlavamo come strumento precipuo degli Italiani, è quella “riflessa”, pensata, assaporata, nella creazione artistica. E, dato che la voce degli Italiani lungo la loro tristissima storia di oppressione e di tirannia, non ha mai taciuto proprio attraverso il dibattito sulla lingua e sul romanticismo,2 attraverso la poesia, la critica storica, la musica, l’architettura, la pittura, è questa voce che si vuole far tacere per sempre.
L’itinerario che faremo in questo libro è appunto quello di documentare scegliendo soltanto qualche nome e qualche opera tra le creazioni innumerevoli cui gli Italiani hanno dato vita, la lotta degli Italiani contro i Tre Poteri che li volevano soggiogati, e alla fine morti: il Potere religioso, il Potere laico, il Potere religioso-statale del Papato.
La seconda strada è più vasta, ma analoga alla perdita della lingua. Il selvaggio autoritarismo con il quale è stata imposta non trova riscontro nella storia di nessun popolo, se non quando è stato sconfitto in guerra e il suo territorio conquistato dal vincitore. Sto parlando della consegna dell’Italia agli stranieri, all’interno dell’Europa con l’eliminazione dei confini (Trattato di Schengen), e dall’esterno con l’invasione di tutti coloro che vi approdano, con permesso e senza permesso, allo scopo ossessivamente ripetuto di creare una società “multietnica”, di “integrare” la cultura italiana con culture diverse. Il risultato ultimo sarà quello che si voleva: eliminare la “diversità” degli Italiani, della loro intelligenza, della loro insopprimibile potenza creativa.
L’incitamento a suicidarsi è rivolto agli Italiani con tutti i mezzi più fraudolenti e ricattatori: l’entusiasmo per l’Europa unita, la solidarietà con i poveri, il “dovere” dell’accoglienza, il fantasma del razzismo per qualsiasi rifiuto, la comune discendenza religiosa dal padre Abramo, il bisogno di mano d’opera, l’incremento della popolazione data la bassa natalità italiana, ma soprattutto – è questo lo scopo vero – riuscire ad eliminare le differenze fra i popoli e gli individui. Su questi argomenti non c’è politico, sindacalista, sacerdote, giornalista, che non si soffermi con una sicurezza che neanche i teologi più dogmatici hanno mai posseduto. Nessuno può azzardarsi ad opporre né un dato statistico né una riflessione di buon senso: viene ignorato. O, se ignorarlo è impossibile, viene accusato della più grave delle colpe: il nazionalismo. La cancellazione delle Nazioni è infatti indispensabile per raggiungere lo scopo dell’impero europeo: una massa informe di individui, privi di qualsiasi connotato di identità, fra i quali possano così mischiarsi altri popoli, altre culture, altre religioni con l’intento di non provocare nessuna crisi di rigetto. Una operazione analoga a quella che si compie per effettuare un trapianto d’organo: sopprimere le difese immunitarie, accecare la vigilanza della Natura nei confronti dell’ingresso di corpi estranei. I popoli, così come gli organismi, diventano debolissimi, incapaci di reazioni, di ribellioni. A cosa possono aspirare di meglio coloro che detengono il potere?
È stato necessario, però, capovolgere prima il significato positivo ed entusiasmante che possedeva il concetto di Nazione, convincere i popoli che era il nazionalismo la causa di tutte le guerre. Con il solito coro all’unisono, politici di tutte le tendenze, mezzi d’informazione e capi religiosi hanno martellato i sudditi fino a plagiarli: se volete finalmente godere la Pace, dovete rinunziare a voi stessi, a tutto quello che fino ad oggi ha formato il vostro patrimonio di valore, e consegnarvi al futuro senza volto di una uguaglianza che in realtà è sottomissione agli unici che un volto lo conserveranno, molto più forte di prima: i detentori del potere.
La Chiesa di Roma si è unita al coro con un entusiasmo che ha sconcertato i suoi poveri fedeli. Perché mai voleva a tutti i costi assimilare il cristianesimo all’islamismo? Perché, in definitiva, voleva uccidere il cristianesimo, visto che nessun musulmano lascia la sua fede, ma, al contrario, impone a tutti la propria? Eppure anche lì, nel comportamento della Chiesa c’era, sia pure accuratamente nascosta, la volontà di punire e distruggere gli Italiani, gli ultimi sì a raggiungere la gioia di diventare “nazione”, ma che, per ottenerla, avevano combattuto contro lo Stato Pontificio ed erano riusciti a toglierglielo. Del resto, il pericolo di Chiese Nazionali dipendenti dallo Stato il Vaticano l’ha sempre considerato uno dei più gravi, e la perdit...