Madre, madri
  1. 160 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Madre: parola meravigliosa e terribile, consolatoria e incombente, familiare ed estranea. Figura invocata e maledetta, generosa e possessiva, necessaria e rischiosa. Nome di tutti il più bello; e assoluto. Come la vita. Difficile da comprendere, perché le sue manifestazioni affondano le radici nel mito e nella storia, nella realtà e nei simboli, nella comunità e negli individui. Intorno alla Madre e alle Madri - nelle molteplici incarnazioni e memorabili raffigurazioni giunte sino a noi dalla cultura greca, latina e giudaico-cristiana - si interrogano sei interpreti del nostro tempo, in dialogo con i testi antichi, qui riuniti in un'antologia che va dall'Antico Testamento all'innografia bizantina, da Esiodo a Virgilio, da Sofocle e Euripide fino a Seneca e Apuleio. A colei-che-dà-la-vita non si cessa mai di chiedere, senza avvedersi che un cono d'ombra minaccia costantemente la luminosità dell'evento generativo. Forse è tempo di una nuova pietas: proteggere le madri.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
Print ISBN
9788817022354
eBook ISBN
9788858648629
Categoria
Sociologia
MADRI
«Terra dall’ampio petto»
Nel II libro delle Storie, Erodoto parla di Esiodo (VIII-VII sec. a.C.) come di colui che ha costruito per i Greci una teogonia, che ha dato un volto e un nome agli dèi, e distribuito loro onori e competenze. In questo sforzo di sistemazione teologica e cosmogonica, memore anche di precedenti tradizioni orientali, la Terra costituisce una delle forze primigenie alle origini del cosmo. Da essa nascono il Cielo, i Monti e il Mare e con essa avrà inizio una lunga discendenza divina.
E in principio fu il Caos; quindi in seguito
la Terra dall’ampio petto, sede sicura per sempre
di tutti gli immortali, che abitano le cime dell’Olimpo
[nevoso,
il Tartaro nebuloso nei recessi della terra dalle ampie strade,
e Amore, il più bello tra gli dèi immortali,
colui che scioglie le membra, e di tutti gli dèi e di tutti gli
[uomini
vince nel petto l’animo e il saggio consiglio.
Dal Caos nacquero l’Erebo e la Notte oscura;
dalla Notte poi vennero l’Etere e il Giorno,
che lei concepì e partorì congiunta in amore con l’Erebo.
La Terra poi per primo generò, uguale a sé,
il Cielo stellato, affinché l’avvolgesse tutt’intorno,
perché fosse agli dèi beati sede sicura in eterno,
e generò le grandi montagne, dimora gradita
delle dèe Ninfe, che abitano sui monti ricchi di valli,
generò anche il mare infecondo, fremente di flutti,
Ponto, senza amore desideroso.
(Esiodo, Teogonia, 116-132; trad. di F. Scopece)
«Ti prego, dormi, bimbo»
Un pathos severo e coinvolgente, infuso nel pianto – che culla e che prega – di una madre, gettata con il figlioletto in una cassa, in balìa delle onde del mare in tempesta: si tratta di Danae, la figlia del re argivo Acrisio, cui un oracolo aveva predetto la morte per mano del nipote Perseo, e che per questo non aveva esitato a imprigionare e a gettare in mare figlia e nipote. Al motivo, il poeta Simonide (inizio del V sec. a.C.) dedicò un canto, forse un ditirambo, di cui resta questo frammento, incentrato sulla delicata angoscia di Danae durante la problematica traversata marina, tra i brani più intensi dell’intera letteratura greca.
Quando dentro la cassa
ben lavorata
il vento che spirava
e la marina mossa nel terrore
la prostravano, con le gote bagnate,
intorno a Perseo cinse le sue braccia
e disse: «figlio mio, che sofferenza!
Tu invece fai la nanna, come tutti i lattanti,
te ne stai addormentato
sul legno inospite, bronzeo di chiodi,
in notte senza lume,
in una bruna tenebra disteso.
L’acqua salsa e profonda,
dell’onda che trascorre,
sui tuoi capelli, non ti dà pensiero,
né il rombo fragoroso
del vento, e sul purpureo
manto stai prono con il tuo bel viso.
Se per te fosse atroce ciò che è atroce,
ai miei richiami il tenero
orecchio porgeresti.
Ti prego, dormi, bimbo,
e dorma pure il mare, e dorma l’immane sciagura:
possa apparire, allora, un cambiamento
da parte tua, Zeus padre;
se un voto troppo ardito ho proferito,
senza averne diritto,
io ti prego, perdonami».
(Simonide, PMG 543; trad. di C. Neri)
Una donna ideale
Molti secoli prima di Maria, probabilmente nel V secolo a.C., un anonimo poeta – i cui versi sono poi confluiti nel composito libro biblico dei Proverbi – sbozza, attraverso un catalogo di virtù femminili, il ritratto della donna ideale: fedeltà, lavoro manuale, gestione della casa, attenzione ai poveri. Ma anche una bocca sapiente, che conosce la legge dell’amore.
Una donna valente, chi mai potrà trovarla? Sovrasta anche le
[perle il suo valore.
In lei confida il cuore del marito, ed il profitto non verrà a
[mancare.
E gli rende del bene, e non del male, per tutti i giorni della
[sua esistenza.
Si dà cura del lino e della lana, lavorano con gioia le sue mani.
Ed è come le navi mercantili: fa giungere il suo pane di
[lontano.
Si alza che è ancora notte, distribuisce il cibo ai suoi
[domestici e i compiti alle proprie servitrici.
Fa progetti su un campo e poi lo acquista, ed è col frutto
[delle proprie mani che si pianta una vigna.
Stringe forte i suoi fianchi, dà forza alle sue braccia.
Sente che il suo lavoro è cosa buona, di notte non si spegne
[la sua lampada.
Stende le proprie dita alla conocchia, le sue mani si serrano
[sul fuso.
La sua mano spalanca all’indigente, le sue dita dischiude per
[il povero.
Non teme neve e freddo per i propri domestici, infatti i
[suoi domestici vestono lana rossa.
Arazzi si prepara, e la sua veste è tutta lino e lana porporina.
Stimabile è alle porte suo marito, seduto con gli Anziani del
[paese.
Lei fa una tunica e poi la rivende, una cintura cede al Cananeo.
Forza e splendore sono il suo vestito, sorriderà nel giorno
[che verrà.
La propria bocca apre con sapienza, legge d’amore sta sulla
[sua lingua.
Sorveglia i movimenti dei domestici, di pane di pigrizia non
[si ciba.
Si levano i suoi figli, la dicono beata, e suo marito ne tesse la
[lode.
Molte sono le figlie che si son fatte onore, ma tu le hai
[superate tutte quante.
Falsa è la grazia, vana è la bellezza: colei che teme Dio si
[loderà.
Datele il frutto delle sue mani, la lodino alle porte le sue
[opere.
(Proverbi, 31, 10-31; trad. di C. Neri)
Ragione e profezia
Impegnato nell’indagine sull’assassinio di Laio, che lo ha preceduto sul trono di Tebe, Edipo interroga l’indovino Tiresia, portatore di una terribile verità: proprio lui, il sovrano, è colpevole del delitto e reca la duplice macchia del parricidio e dell’incesto. Nel dialogo si scontrano due diverse forme di sapere: quello empirico di Edipo, che crede solo alle prove, e quello rivelato e indimostrabile di Tiresia. Siamo appena all’inizio della tragedia di Sofocle (496-406/405 a.C.), ma gli spettatori già sanno che l’indagine di Edipo è solo un percorso tortuoso destinato a confermare la terribile verità.
EDIPO O tu che tutte le cose ti osservi, Tiresia, le insegnabili
e le indicibili, e le celestiali e le terrene,
la città, anche se tu non ci vedi, tu lo sai, tuttavia,
con quale malattia sta: unico suo protettore
e salvatore, o signore, ti ritroviamo.
Perché Febo, se non l’hai sentito dai messaggieri,
ha comandato a quelli che gli abbiamo mandato
che un’unica liberazione verrà, di questa malattia,
se avendo bene riconosciuto gli uccisori di Laio,
noi li uccidiamo, o li mandiamo via, esuli, da questa terra.
Tu, dunque, non rifiutandoci il responso degli uccelli,
né alcuna altra strada di arte profetica, se la possiedi,
salva te stesso, e la città, e salvami me,
salvami da tutto l’orrore di quello che è morto.
Perché in te è la nostra salvezza: e soccorrere un uomo,
con quello che si ha e che si può, è l’ottima tra le fatiche.
TIRESIA Ahi, che cosa terribile è sapere, dove non porta
risultati, a chi sa: perché queste cose, io, che le so
bene, io le ho cancellate: e qui non dovevo venire.
EDIPO Che cosa significa? Come sei venuto qui scoraggiato!
TIRESIA Rimandami nelle mie case: e ottimamente, tu, per te,
e ottimamente, per me, starò io, se ti persuado.
EDIPO Non hai detto cose giuste, né benevole per questa
città, che ti ha allevato, rifiutandole questo responso.
TIRESIA Perché io vedo che nemmeno a te ti viene opportuna,
la tua parola: dunque, per non patire così nemmeno io…
CORO No, nel nome degli dèi, tu che sai, non allontanarti,
[poiché
tutti ti veneriamo, questi, qui, che supplicano.
TIRESIA Perché voi non sapete, tutti. E mai, io,
i miei mali, per non dire i tuoi, non li rivelo.
EDIPO Che cosa dici? Non parlerai, tu che sai, e pensi
di tradire noi, e di rovinare la città?
TIRESIA Io non lo porterò, il dolore, né a me stesso, né a te:
perché vanamente mi interroghi? Non lo apprenderai,
[infatti, da me.
EDIPO Ma mai, tu, il più maligno tra i maligni, che puoi
[irritarla,
una natura di pietra, non parlerai mai, tu,
ma così arido ti dimostrerai, e così inutile?
TIRESIA Mi hai rimproverato il mio irritarti, ma il tuo, intanto,
che abita in te, non lo vedi, e me, tu mi offendi.
EDIPO E chi si può non irritare, ascoltando tali tue parole,
che con quelle, tu, adesso, me la offendi, questa città?
TIRESIA Le cose stesse verranno, per sé, anche se io, con il
[silenzio, le copro.
EDIPO Dunque, le cose che verranno, bisogna che tu me le
[dici, a me.
TIRESIA Io non voglio parlare di più. E per questo, se vuoi,
puoi agitarti pure nella tua irritazione, e nella più selvaggia.
EDIPO Ebbene, io non tralascio niente, di quello che penso,
tanta irritazione ho in me. Devi sapere, infatti, che tu mi
[sembri
che hai collaborato, al fatto, e che lo hai fatto, per quanto
non uccidendo con le tue mani: ma se tu mai ci vedevi,
anche il fatto, io lo dicevo, c...

Indice dei contenuti

  1. Madre, Madri
  2. Copyright
  3. IVANO DIONIGI – Di tutti i nomi il più bello
  4. MADRE, MADRI
  5. MADRI
  6. Sommario