
- 238 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
LE VITE DI ALICE E JAIME, quindicenni iscritti a un liceo classico milanese, non potrebbero essere più diverse. Alice vive in centro, in una bella casa con una madre intellettuale e troppo concentrata su se stessa per costruire un rapporto d'amore con la figlia. A Jaime l'amore di sua madre è mancato per tanti anni, ma ora che lei ha un permesso di soggiorno e un lavoro, ha potuto raggiungerla nel quartiere di periferia dove condividono un minuscolo appartamento. Quando Alice e Jaime si innamorano, nessuno sembra disposto ad accettarlo. Ma la loro storia è più forte degli ostacoli, più tenace dei pregiudizi. Una storia di sentimenti e di integrazione, una coraggiosa battaglia quotidiana fondata sul valore del dialogo e del confronto.
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Informazioni
Print ISBN
9788817047104eBook ISBN
9788858647950Ventiquattro
Il giorno dopo non venne a scuola. Mi aspettò dietro l’angolo, all’uscita. Mi accorsi subito del nuovo taglio sul sopracciglio.
Lo accarezzai piano, come si fa con un animale ferito.
«Di nuovo loro?»
Jaime annuì in silenzio, gli occhi umidi che per orgoglio non volevano lasciarsi sfuggire le lacrime, le parole strozzate in gola. «La polizia è andata a cercarli e loro sono venuti a cercare me. Adesso vogliono soldi. Sanno tutto di me, di te. Devo sparire per un po’, il tempo che si dimenticano.»
Scappare. Lo volevamo tutti e due. Trovare un posto dove metterci in salvo e recuperare le forze dopo quel terribile naufragio nella realtà.
Risposi d’istinto: «Vengo con te.»
Mi venne più vicino. «Cosa vuoi dire?»
Lo guardai dritto negli occhi. «È tornato il fotografo.»
Jaime mi afferrò per il braccio: «Cosa ti ha fatto?»
«Mi ha toccata. Sono sicura che ci riprova e mia madre non si accorge di niente. Voglio andarmene, Jaime.» Volevo piangere, ma ancora di più volevo fargli capire che avevo preso una decisione, finalmente.
Restò in silenzio per qualche secondo. Incredulo. Le braccia abbandonate lungo i fianchi.
«Quel bastardo.» La voce gli si spezzò. Scoppiò a piangere. «E io non ho fatto niente per difenderti» balbettò fra i singhiozzi. Si passò una mano sul viso, cercando di cancellare le lacrime.
Questa volta fui io ad avvicinarmi a lui, il mio viso a sfiorare il suo. Avrei voluto dargli un bacio. Riuscii solo ad accarezzarlo. «Grazie che ci sei» gli sussurrai in un orecchio.
Passammo a casa mia solo per lasciare gli zaini. Entrammo, il tempo di salutare Rosa che faceva le pulizie e lasciare il peso dei libri, e uscimmo di nuovo.
La strada era arroventata. Alle due di quel pomeriggio di quasi estate, a Milano sembrava di essere nel Sahara. Frotte di impiegati uscivano dai bar per rientrare in ufficio. Noi ci infilammo nel solito kebab e ordinammo due porzioni di falafel.
Chiesi a Jaime di prendermi una coca dal frigorifero e andai a sedermi al tavolo rotondo con gli sgabelli alti vicino alla vetrina. Ci piaceva veder passare la gente mentre stavamo lì.
Mangiammo senza quasi parlare, scambiandoci ogni tanto uno sguardo e un sorriso.
Quando i piatti furono vuoti, versò l’ultimo sorso di Coca-Cola nel mio bicchiere e mi chiese a bruciapelo: «Hai sempre intenzione di non dire niente a nessuno di quel bastardo?»
Bevvi a piccoli sorsi fino all’ultima goccia, presi fiato e gli dissi con un sorriso: «Non serve a niente parlare adesso. Non saprei nemmeno a chi dirlo» e feci spallucce, fingendo di trovare interessante le poche gocce di coca che scivolavano lungo le pareti del bicchiere di carta. «Ma non ho nemmeno intenzione di subire senza fare niente» e dicendolo, alzai di nuovo lo sguardo e lo fissai seria. Avevo riflettuto abbastanza sul mio progetto.
Jaime mi guardò con aria interrogativa. «Che cos’hai in mente, Alice?» Con le mani aperte appoggiate sul tavolino, risaltavano netti i graffi che gli erano rimasti dall’ultima aggressione.
«Voglio andarmene. Paghiamo? Sono stufa di stare qua dentro.» Mi alzai e andai verso la cassa. Jaime mi seguì.
La fuga mi sembrava l’idea migliore, non mi rendevo conto che scappare è solo rimandare, svicolare, cercare di confondere le acque. Volevo solo riuscire a convincere Jaime.
Uscimmo di nuovo nella calura, e ci avviammo verso i Navigli, come due turisti sotto quel cielo scintillante. La gonna con le margherite mi svolazzava sulle gambe pallide.
Salimmo sul ponticello vicino al Libraccio e ci fermammo lì, appoggiati al parapetto, a fissare lo scorrere dell’acqua e il verde delle alghe piegate dalla corrente. Stavamo in silenzio, ognuno chiuso nei suoi pensieri dalla paura di fare il passo più lungo della gamba.
Io avevo un’idea precisa, folle forse, ma l’unica che mi pareva sensata in quel momento. Avrei dato un dolore a mia madre, l’avrei delusa e fatta arrabbiare. Ma forse, pensai, l’avrei anche costretta a fare i conti con la realtà. All’improvviso mi sentii carica come una molla. Così arrabbiata da avere perso qualsiasi timore. Avevo bisogno di andare lontano, di mettere una grande distanza fra me e Milano, fra me e i miei fantasmi.
La mamma non mi avrebbe mai dato il permesso di andare. L’avrei messa davanti al fatto compiuto. Ma non volevo partire da sola.
«Andiamocene in Puglia da mio padre» buttai lì, attorcigliandomi i capelli come facevo sempre quando ero nervosa.
«Da tuo padre? Ma non lo odiavi?»
«Dovrei conoscerlo per poterlo odiare. E poi, è pur sempre mio padre. Diciamo che potrei decidere di dargli un’altra possibilità.»
Jaime era di nuovo senza parole. L’avevo preso alla sprovvista.
«E come ci andiamo in Puglia? E tua madre? Come glielo dici?» Cercava di prendere tempo.
«Non glielo dico: semplice! Cioè, glielo dico quando siamo in viaggio. O quando siamo arrivati. Tu ce li hai un po’ di soldi? Io ho cento euro del compleanno, magari due biglietti del treno riusciamo a comprarli. L’ho detto a Veronica. È stata lei a consigliarmi di invitarti.»
«Tu sei matta. Tua madre ti ammazza. Se poi sa che te ne sei andata con me, si allea con quei bastardi delle case popolari e offre una ricompensa per chi mi ammazza prima.» Appallottolò lo scontrino del kebab e lo buttò nel Naviglio con un gesto nervoso.
Io mi staccai dal parapetto e andai ad appoggiarmi a quello di fronte. Il sole mi batteva sul viso e mi costringeva a socchiudere gli occhi. «Non ce l’ha con te. Ce l’ha con mio padre. Si infurierà, ma io non sono più una bambina, non sono solo la sua bambina.»
Un gruppo di canottieri stava passando sotto il ponte. Jaime non parlava.
«Insomma, ci stai o no?»
Si grattava la testa, sembrava un personaggio dei cartoni animati in crisi esistenziale. «Devo pensarci. Devo parlarne con mia mamma. Io non scappo di casa.» Si riparò gli occhi con una mano per seguire la piccola imbarcazione dei canottieri che puntava verso la periferia a forza di remi.
Io avrei voluto avere subito una risposta e tornai alla carica col mio entusiasmo. «Tu fai come vuoi, basta che lei non chiami mia madre prima che siamo partiti, perché se no mi chiude in casa e fa cambiare la serratura.» Mi misi a ridere.
Jaime restò serio, lo sguardo fisso sull’acqua che scorreva portando con sé erba, foglie e una bottiglia di plastica rosa. «Non è una cosa che si decide su due piedi. Dovrai anche parlare con tuo padre, chiedergli se è d’accordo che andiamo tutti e due. Insomma, andiamo con ordine.»
«Okay, andiamo con ordine. E pensiamoci meglio, se proprio ci tieni. Ma io ho i miei buoni motivi per scappare.» Tirai un calcio contro la colonnina di pietra del ponte. «E poi, non vado mica a rapinare una banca, vado a trovare il mio legittimo padre che mi ha invitato per una vacanza. Non mi sembra un delitto per cui possano arrestarci, no?»
Jaime era perplesso davanti alla mia insistenza.
«Ne parlo con mia madre» ribadì.
Lo conoscevo abbastanza da sapere che non era il caso di insistere. Lo presi per mano e lo trascinai verso la gelateria. Io presi un cono gigante cioccolata e panna. Jaime non riusciva a scegliere.
Ero, di nuovo e come sempre, più irrequieta di lui, più drastica nelle scelte e nelle passioni. Andare in Puglia senza chiedere il permesso mi sembrava la soluzione perfetta ai nostri problemi. L’istinto mi diceva di scappare, per il mio bene e per quello di Jaime. E io volevo solo seguire il mio istinto.
Alla fine della scuola mancavano due giorni. Il tempo necessario per procurarsi i biglietti, infilare l’essenziale nello zaino e annunciare il nostro arrivo a mio padre. Quanto saremmo rimasti? Qualche settimana, non avevo le idee chiare. Il tempo di riposarci, di lanciare un segnale a mia madre, di far dimenticare Jaime a quei delinquenti delle case popolari.
A mio padre mandai una e-mail breve e diretta. Gli scrissi solo che avevo deciso di accettare il suo invito e che, se per lui andava bene, avrei portato con me un mio caro amico. Papà fu entusiasta della notizia e si offrì addirittura di farci i biglietti del treno.
Solo quando gli dissi che avrei parlato io con la mamma, oppose qualche resistenza:
Data: 6.6.2009 18:01
Sei sicura che non vuoi che ne parli io con la mamma? Non vorrei che se la prendesse.
Per i biglietti, li faccio subito fare dall’agenzia viaggi qui in paese e ti mando il codice via sms. Sai come funziona, vero?
Ciao, piccola. (piccola? quanto sarai cresciuta nel frattempo?)
Ti abbraccio, il tuo papà
Data: 6.6.2009 18:30
Parlo io con la mamma, tranquillo. La scuola è finita, la pagella è buona e, quindi, non può avere niente da ridire. Ha detto tante volte che dovresti fare di più il padre. Mettiamola così: io voglio darti questa possibilità.
Compra i biglietti, che abbiamo fretta di arrivare. Se per te va bene, noi partiremmo sabato.
Ci sentiamo per telefono per i dettagli.
Baci, Alice
Data: 6.6.2009 19:05
Okay, capo. Obbedisco.
Bacioni, papà
Venticinque
Cara mamma,
quando leggerai questa lettera io sarò in viaggio verso la Puglia.
Vado da papà.
Scusami se non ti ho chiesto il permesso. Sapevo che non saresti stata d’accordo, ma spero che tu possa capirmi e che non ti arrabbierai troppo.
Ho preso un treno con Jaime, arriveremo domani mattina e papà verrà a prenderci in stazione. Non preoccuparti per noi. In ogni caso, ho il telefonino così puoi chiamarmi quando vuoi.
Tu sei la mamma più “mammosa” che c’è, ma io ho voglia di stare un po’ con papà e di conoscerlo. È giusto, per me e per lui, fare almeno un tentativo.
Stai tranquilla, non preferirò mai lui a te. Lo so che è di questo che hai paura. Ma so anche che, se non ci fossi stata tu, io non sarei qui, non avrei potuto fare tante cose ed essere tanto amata.
Fidati di me, lascia che mi faccia una mia opinione. Magari troverò solo conferme a tutto quello che tu mi hai detto di lui, ma potrebbe anche succedere che con me lui riesca ad essere migliore. Il tempo può averlo cambiato. Fatto crescere. Chi lo sa.
Quando voi avete deciso di lasciarvi, io ero troppo piccola per capire e dire la mia. Non ti chiedo di riallacciare i rapporti con lui, ma come lui mi lascia vivere con te, io ti chiedo di lasciarmi vivere qualche settimana con lui.
E poi tu hai davanti ancora un mese di lavoro e non avermi intorno sarà come una vacanza. Potrai fare tardi la sera e passare qualche finesettimana fuori con Carlo.
So che questa Alice è diversa da qu...
Indice dei contenuti
- Cover
- Frontespizio
- Copyright
- Dedica
- Uno
- Due
- Tre
- Quattro
- Cinque
- Sei
- Sette
- Otto
- Nove
- Dieci
- Undici
- Dodici
- Tredici
- Quattordici
- Quindici
- Sedici
- Diciassette
- Diciotto
- Diciannove
- Venti
- Ventuno
- Ventidue
- Ventitré
- Ventiquattro
- Venticinque
- Ventisei
- Ventisette
- Ventotto
- Ventinove
- Trenta
- Trentuno
- Trentadue
- Trentatré
- Trentaquattro
- Trentacinque
- Trentasei
- Trentasette
- Trentotto
- Ringraziamenti