Le donne e gli amori
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Le donne e gli amori

Giacomo Casanova

  1. 400 pagine
  2. Italian
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Le donne e gli amori

Giacomo Casanova

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Giunto alla fine della sua vita straordinaria, durante il triste periodo che lo vide confinato nel tedioso ruolo di bibliotecario del castello di Dux in Boemia, Casanova (1725-1798) iniziò a scrivere le sue Memorie, tornando così a rivivere i piaceri passati e creando un'opera che fece la felicità (e l'invidia) di generazioni di lettori. Prototipo degli avventurieri italiani che, come Cagliostro e Da Ponte dopo di lui, cercarono fortuna in Europa, nel corso dei suoi viaggi incontrò filosofi come Rousseau e Voltaire, sovrani come Caterina di Russia e Federico il Grande, membri della più alta nobiltà e cialtroni della peggior risma e, naturalmente, innumerevoli donne di cui si innamorò e a cui fece girare la testa. In questo volume curato da Elsa Sormani sono raccolte le avventure più intriganti di Casanova con donne dalle estrazioni sociali più varie, dalla monaca galante alla ricca borghese alla cortigiana, collegate dal filo rosso della ricerca del piacere in ogni fuggevole attimo di cui è composta la vita umana.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858649961
PARTE I
TRE DONNE
È curioso destino che il Casanova, passato in proverbio per le sue avventure amorose, cada talvolta, nel raccontarle, nell’unica menda che il lettore non sia disposto a perdonargli di cuore: la monotonia. Sembra quasi che nella mente del vegliardo di Dux tutti quegli occhi, quei capelli, quelle forme si siano confusi in un unico fantasma, il convenzionale manichino del suo sogno di vecchio giubilato. «Non mi sono mai spogliato così in fretta.» «Ella mi dispiegò tutte le sue grazie.» «Un buon sonno di otto ore mi rimise in sesto»: quante volte, e sempre con le stesse parole!
Ma altre volte appare un profilo più risentito, un particolare visibile e diremmo palpabile, che sa di verità; il disordinato ondeggiare dei tempi fra passato e presente – la tumultuosa sintassi sentimentale del Casanova – crea una prospettiva ai personaggi del suo teatro personale. Il viaggio alla ricerca del tempo vissuto riprende allora di gran lena.
È questo il caso delle tre lunghe avventure del Casanova che costituiscono la prima parte della scelta. Tre profili di donne: la signora della buona borghesia, la monaca galante, la cortigiana; e ciascuna ritratta in un ambiente diverso ed in una cifra ben distinta.
Donna Lucrezia, o la felicità. Gli amori del Casanova con la «belle romaine» sono improntati a una felicità pagana, sullo sfondo di ben tenuti giardini e di pittoresche rovine, o nell’atmosfera dolce e corrotta della Roma settecentesca.
Gli ostacoli sono quali si richiedono per dar gusto all’avventura, non di più. Il marito della signora appartiene ad un tipo che spesso s’incontra nelle Memorie, vale a dire il marito di mezza età, indulgente ai flirts della moglie, cieco quando il Casanova arriva al sodo, e con lui cordialissimo sempre. Un tipo d’uomo per il quale l’avventuriero, che in materia d’adulterio non conosce rimorsi, prova la più viva simpatia e talora una sincera amicizia.
Quanto all’oggetto della sua passione, non vi sono difficoltà d’ordine morale. Lucrezia è «esprit fort», ma senza aver vinto le remore della religione, per una sorta di nativo scetticismo italico; se qualcuno ha da invocare nel pericolo, sarà il suo Genio o il dio Amore; serba, pur nella passione, una compostezza di stile neoclassico. Ella si concede al Casanova ancor novellino, che in tale occasione si fa radere per la prima volta (una vera «depositio barbae» dedicata al dio Amore, per restar nel clima); poi gli getta fra le braccia la sorella, fidanzata ad un insignificante impiegato di banca, per «far luce nel suo animo»; molti anni dopo chiuderà un occhio, anzi due, sugli amori del Casanova con Leonilda, frutto dei loro antichi amori romani.
Molti anni dopo, si è detto: perché Lucrezia è la «donna che ritorna», altro tipo assai frequente nelle Memorie del Casanova, ove le donne amate in gioventù riappaiono a distanza di anni e la sua galanteria o il suo appetito le rivedono belle come allora e le ritrovano amiche come sempre. Bisogna anche dire che il Casanova ha avuto spesso la galanteria postuma di ringiovanirle, oltre che la discrezione di camuffarne il nome a croce e delizia dei casanovisti.
Una questione aperta per gli eruditi è appunto l’incesto con Leonilda. Dell’esistenza di lei non si hanno prove negli archivi, e si sospetta che si tratti di invenzione: vero o falso che sia, l’episodio rientra del resto nella più pura tradizione libertina (si pensi a Restif de la Bretonne). Il fidanzamento del già maturo Casanova con Leonilda (che, egli nota, potrebbe essere sua figlia, il cui volto gli ricorda un altro volto amato: accordi che preludono la melodrammatica agnizione alla vigilia delle nozze) e poi, sette anni dopo, la consumazione dell’incesto lungamente desiderato, ci offrono un altro sfondo, delineato con un’arguzia ed una vivacità degne del miglior viaggiatore. È la vita dei gran signori napoletani, scettici e generosi, spiritosi e ospitali, che di nascosto giocano d’azzardo e compongono satire contro la corte, ma alla luce del giorno vanno a baciar la mano al re; che magari non son credenti, addirittura massoni come il vecchio marito di Leonilda, ma vanno a messa e tengono un prete in casa «per la forma»; e sempre per la forma, se gli accade di diventare impotenti, mantengono una amante. Noblesse oblige!
M.M. o la competizione. Lo sfondo della seconda avventura è un ambiente ben più familiare al Casanova, la «sua» Venezia quale ce la mostrano i dipinti di Pietro Longhi e di Francesco e Gian Antonio Guardi: con il suo carnevale e le sue maschere, il ridotto dove si gioca giorno e notte, le gondole misteriose, il vortice delle feste e delle danze che penetra fin nei parlatori dei conventi, a consolare le belle recluse.
Fra queste spicca M.M., giovane, bella e di alto lignaggio (probabilmente va identificata con Maria Eleonora Michiel, imparentata coi Bragadin). Il suo personaggio, fra i più vivi delle Memorie, rappresenta il prototipo dell’amor libertino, come quella che si è liberata dalle «ombre del pregiudizio» con opportune letture filosofiche e con l’aiuto pratico del suo amante, il cui nome è citato a tutte lettere: Pierre de Bernis, ambasciatore di Francia a Venezia, noto diplomatico e letterato.
Amica e confidente di C.C. (Caterina Capretta), giovane veneziana sedotta dal Casanova e rinchiusa dai familiari in un convento, M.M, si incuriosisce del seduttore, gli dà convegno nel «casino» del suo amante, lo induce a compiacere ai gusti particolari del Bernis, che è quel che oggi si direbbe un «voyeur», ed infine trascina nel gioco anche C.C., da lei iniziata ai misteri di Lesbo.
Messo al confronto con questa coppia di consumati libertini, l’avventuriero prova un sottile disagio che emerge sempre più dalla narrazione e ne costituisce il filone segreto. Ha un bel far regali alla sua amante, già agghindata dalla munificenza del Bernis; ha un bell’accoglierla in un «casino» di cui magnifica l’eleganza (e la scena della «prova generale», con la cena solitaria davanti al cuoco sbalordito, è ineffabile); ha un bel prodigarsi in prodezze erotiche in cui è chiaro l’intento agonistico nei confronti del suo aristocratico e meno vigoroso comprimario: egli continua a sentirsi in stato di inferiorità.
Val la pena di aggiungere che alcuni casanovisti dubitano della completa veridicità dell’avventura, e accusano il Casanova di aver inventato di sana pianta la partecipazione del Bernis, per farsi bello di questa intimità con una persona altolocata (anche la visita a Voltaire, per fare un esempio, non è comprovata da documenti decisivi). Se ammettiamo l’ipotesi, bisogna riconoscere al Casanova di aver raggiunto una notevole verisimiglianza sul piano psicologico: nel corso dell’avventura il suo istinto di animale libero lo avverte che il gioco è troppo forte, che mani abili e leggere lo van manovrando come uno strumento dell’altrui piacere. Prima è indotto ad esibirsi – la prima volta senza saperlo – in voluttuoso spettacolo al Bernis; poi, dopo una vivace notte con le due donne la cui occasione gli è data di proposito, è costretto a cedere il posto al Bernis nello stesso trio, abbandonando non senza rimorso la sua innocente «mogliettina» alle brame di M.M. e del suo amante.
Verrebbe fatto di pensare alla diabolica coppia delle Liaisons dangereuses di Laclos, specie considerando il personaggio di C.C. che si accosta, nella sua tenera ocaggine, a Cecilia di Volanges; ma qui il gioco è più lieve e men perverso, il piacere dei sensi prevale su quello dell’intelletto, e l’avventura – di cui, per motivi di spazio, abbiamo riportato solo i brani salienti – finirà in modo men tragico. I due uomini usciranno di scena; Bernis tornerà a Parigi, e il Casanova, stuccatosi delle sue due amanti, riprenderà lena fra le braccia di una bella servotta, poi sarà arrestato e rinchiuso nei Piombi di Venezia donde uscirà con una rocambolesca evasione. Anni dopo, incontrata una monaca che ha con M.M. una straordinaria somiglianza, intreccerà con lei e con una sua giovane amica lesbica un altro intrigo a tre, complice la fatale grata del parlatorio, ma questa volta, e con sua gran soddisfazione, non ci sarà un quarto a guastargli la festa.
La Charpillon, o l’umiliazione. Marianne Geneviève Augspurgher, nota a Londra col nome di battaglia di Charpillon, ha diciassette anni quando incontra il Casanova, trentottenne e già carico di allori amorosi, e gli impone la più dura umiliazione che il grande incantatore e fine impostore possa concepire: essere a sua volta lo zimbello.
Circondata da una corte di parenti e di ruffiani, gli spilla denaro per mesi eludendo il suo desiderio: ora adduce ragioni sentimentali, ora scopre la sua maschera beffarda e sfrontata di prostituta, ma non perde mai le redini dell’imbroglio. Miss Charpillon non ha ancora finito di crescere (c’è una sorta di melanconica tenerezza in Casanova, nel notarlo) ma è già passata per mille battaglie: i rapporti di polizia, che riferiscono le poco edificanti vicissitudini della famiglia Augspurgher, confermano in sostanza il racconto che Goudar ne fa al Casanova. La fanciulla ha succhiato col latte l’astuzia, e la sua piccola mano paffuta indica al suo maturo ammiratore la via del declino. Nel giorno della loro conoscenza l’animo superstizioso del Casanova vede l’inizio della parabola discendente («da quel giorno ho incominciato a morire»); nell’atto di stendere l’episodio, nel 1797, ne deduce con lugubre calcolo la probabile data della sua morte («posso contare ancora su quattro anni di vita»). Sbaglierà il calcolo, il cabalista: morirà l’anno dopo.
Secondo un’ipotesi del Maynial, all’episodio si sarebbe ispirato circa un secolo dopo Pierre Louys per il suo romanzo La donna e il burattino (1898), la cui fama fu rinfrescata da due riduzioni cinematografiche: di von Sternberg la più famosa, poi di Duvivier. Le analogie sono innegabili: anche qui protagonisti sono un uomo non più giovane e una fanciulla che gli si nega alternando pretesti a oltraggiose ripulse; anche qui una notte infruttuosa ed esasperante con la diabolica trovata dell’indumento-corazza; anche qui la venalità della donna e della madre complice. Vi sono però differenze di fondo: la Conchita di Pierre Louys finisce col concedersi, vergine, all’amante che ha trovato la strada giusta, quella della violenza. Più che una perfida imbrogliona pare una nevrotica, così come Don Mateo è assai sospetto di masochismo: fra quelle due infelici creature c’è una complicità morbosa che non appare nel racconto del Casanova, di più limpida atmosfera.
La questione di tale filiazione resta quindi aperta; come anche il rapporto, sempre proposto dal Maynial, fra l’opera del Casanova e quella del suo contemporaneo Restif de la Bretonne. Quest’ultimo narra più volte e in varie versioni un’analoga vicenda di amore senile che trova la sua forma più definita in Sara, o l’ultima avventura di un uomo di quarantacinque anni: ma con quanta effusione verbale e sentimentale! Nel racconto del Casanova, invece, il rancore e la rabbia, che gli sono rimasti come una scheggia fra i denti, tendono il racconto come un arco, lo tingono di luci ora comiche, ora grottesche, ora drammatiche; e alla fine, ed è innegabile maestria narrativa, la tensione si scioglie in una gran risata: la beffa del pappagallo.
Intorno ai due duellanti, milordi e diplomatici che si crogiolano nelle loro passioni, cortigiane d’ogni prezzo, avventurieri, ruffiani e gazzettieri, giudici e sbirri: figure e figurine che si muovono sui vari sfondi della Londra settecentesca, dai giardini di Vaux-Hall, luogo di delizie, alle squallide prigioni di Newgate.
LUCREZIA
Nel 1744, il giovane abate Casanova si reca nella diocesi di Martirano, in Calabria, per iniziare la carriera ecclesiastica al servizio del vescovo. Spaventato dallo squallore e dalla miseria dell’ambiente, rinuncia all’incarico; va a Napoli, ove si procura amicizie influenti; quindi, fornito di lettere di raccomandazione, parte per Roma a cercarvi miglior fortuna.
Ero così assorto a contemplare la bella via Toledo, e ad asciugare le mie lacrime, che non pensai a guardare in faccia i miei compagni di viaggio finché non arrivammo alle porte della città di Napoli. L’uomo fra i quaranta e i cinquant’anni che sedeva al mio fianco aveva un viso simpatico e sveglio. Le due donne, che mi stavano di fronte, erano giovani e belle; il loro abbigliamento era assai elegante, le loro maniere disinvolte e signorili al tempo stesso. Ne fui molto piacevolmente sorpreso, ma avevo il cuore gonfio, e non me la sentivo di parlare. Arrivammo ad Aversa sempre in silenzio; qui il cocchiere ci avvertì che si sarebbe fermato solo per abbeverare i suoi muli, quindi non scendemmo. Verso sera ci fermammo a Capua. Cosa da non credersi, non aprii bocca per tutta la giornata, ascoltando con piacere il dialetto dell’uomo, che era napoletano, e il bell’eloquio delle due sorelle, che erano romane. Fu la prima volta in vita mia ch’io ebbi la costanza di passare cinque ore faccia a faccia con due belle signore senza rivolger loro né una parola né un complimento.
A Capua dove dovevamo passare la notte ci diedero una camera a due letti, cosa comune in Italia. Allora il napoletano se ne uscì a dire: «Avrò dunque l’onore di dormire col signor abate». Gli risposi che lo lasciavo libero di disporre altrimenti, se voleva. Questa replica strappò un sorriso alla signora che già mi pareva la più bella. Ciò mi parve di buon augurio.
A cena, fummo in cinque, poiché è uso che il vetturino mangi con i passeggeri, salvo accordi diversi. Nei soliti discorsi che si fanno a tavola, trovai il decoro e lo spirito della buona società. Questo mi incuriosì.
Dopo cena scesi per sapere dal vetturino che gente fossero i miei tre compagni. «L’uomo» mi disse «è un avvocato, e una delle due sorelle è sua moglie, ma non so quale delle due.»
Usai loro la cortesia di coricarmi e poi di alzarmi per primo al mattino, e di uscire per lasciare le signore in piena libertà. Rientrai solo quando mi chiamarono a prendere il caffè, che era ottimo. Io lo lodai, e la più gentile delle due mi promise di offrirmelo ogni giorno. Dopo colazione venne un barbiere che, dopo aver raso l’avvocato, si offrì, con un fare malandrino, di rendermi lo stesso servizio. Gli risposi che non avevo bisogno di lui, quello mi replicò che la barba era una cosa sudicia e se ne andò.
Non appena fummo in carrozza, l’avvocato disse che quasi tutti i barbieri erano insolenti.
«Bisognerebbe sapere» disse la bella signora «se la barba è o non è una cosa sudicia.»
«Sì che lo è,» rispose l’avvocato «perché è un escremento.»
«Può anche darsi,» gli dissi io «ma non la si considera come tale; chiamiamo forse escrementi i capelli, che al contrario noi curiamo, e di cui ammiriamo la bellezza e la lunghezza?»
«Di conseguenza,» riprese la dama «il barbiere è uno sciocco.»
«Mi dica,» riattaccai io «è vero che ho la barba?»
«Mi pare di sì.»
«Allora incomincerò a farmi radere a Roma. È la prima volta che mi sento fare questa osservazione.»
«Moglie mia,» disse l’avvocato «è meglio che stia zitta, perché può darsi che il signor abate vada a Roma per farsi cappuccino.»
Questa uscita mi fece ridere; ma non volli restar beccato. Gli dissi che aveva indovinato, ma che la voglia di farmi cappuccino mi era passata non appena avevo visto la signora. Ridendo anche lui, mi rispose che sua moglie andava pazza per i cappuccini, quindi non dovevo abbandonare la mia vocazione. Da questi passammo ad altri scherzi, e così trascorremmo piacevolmente la giornata fino a Garigliano, dove la spiritosa conver...

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Stili delle citazioni per Le donne e gli amori

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Casanova, G. (2013). Le donne e gli amori ([edition unavailable]). RIZZOLI LIBRI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3304453/le-donne-e-gli-amori-pdf (Original work published 2013)

Chicago Citation

Casanova, Giacomo. (2013) 2013. Le Donne e Gli Amori. [Edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. https://www.perlego.com/book/3304453/le-donne-e-gli-amori-pdf.

Harvard Citation

Casanova, G. (2013) Le donne e gli amori. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. Available at: https://www.perlego.com/book/3304453/le-donne-e-gli-amori-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Casanova, Giacomo. Le Donne e Gli Amori. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI, 2013. Web. 15 Oct. 2022.