Don Camillo della bassa
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Don Camillo della bassa

Le opere di Giovannino Guareschi #7

  1. 580 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Don Camillo della bassa

Le opere di Giovannino Guareschi #7

Informazioni su questo libro

Storie vere di gente vera, che per glorificare Dio o il Partito farebbe qualunque cosa, salvo una: dimenticare l'amicizia. Un'amicizia forte che lega da sempre i due personaggi più famosi e amati della nostra letteratura contemporanea. In 'Don Camilllo della Bassa' ritornano i racconti di 'Gente così' e 'Lo Spumarino pallido' in cui riscopriamo il calore dell'affetto, della complicità e del cameratismo di don Camillo e Peppone.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2018
Print ISBN
9788817202121
eBook ISBN
9788858645130

Mondo piccolo

Gente così

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Caso di coscienza

Peppone smartellava sull’incudine già da parecchio tempo, ma per quanto menasse colpi da maledetto, non riusciva ad allontanare dal cervello il pensiero che lo perseguitava.
— Cretino! — borbottò fra sé. — Guarda che pasticcio mi va a combinare.
In quel momento levò gli occhi e vide che il cretino era lì, davanti all’incudine.
— Mi avete spaventato il ragazzo, — disse cupo Straziami. — Ha smaniato tutta la notte e adesso è a letto con la febbre.
Peppone continuò a smartellare.
— La colpa è tua, — rispose senza guardarlo.
— La colpa è della miseria, — replicò Stràziami.
— Ti avevamo dato un ordine e gli ordini nel partito vanno obbediti senza discutere.
— La fame dei figli comanda più del partito.
— No: il partito deve essere prima di ogni altra cosa.
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Stràziami tolse di tasca un cartoncino che depose sull’incudine e Peppone smise di smartellare.
— Restituisco la tessera, — disse Stràziami. —Questa non è più una tessera di partito ma un tesserino da vigilato speciale.
— Parli male, Stràziami.
— Parlo bene. La mia libertà me la sono pagata rischiando la pelle. Non sono disposto a rinunciarvi.
Peppone depose il martello e si asciugò la fronte col dorso della mano. Stràziami era uno dei pochi fedelissimi; aveva combattuto al suo fianco, aveva diviso con lui la fame, la disperazione e la speranza.
— Tu tradisci la causa, — disse Peppone.
— La causa è quella della libertà. Se rinuncio alla mia libertà, allora sì tradisco la causa.
— Pensaci, ti dovremo cacciar fuori: lo sai che non si possono dare le dimissioni. Chi dà le dimissioni viene espulso.
— Sì, lo so. E chi fa qualche grossa porcheria viene espulso tre mesi prima che l’abbia fatta. E poi diciamo che sono ipocriti gli altri. Addio, Peppone. Mi dispiace per te che, d’ora in poi, avrai l’obbligo di considerarmi tuo nemico mentre io continuerò a considerarti come mio amico.
Peppone guardò allontanarsi Stràziami: poi si riscosse, gettò con una bestemmia il martello in un angolo e andò fuori, a sedersi in fondo all’orto. Non riusciva a capacitarsi che Stràziami potesse essere espulso dalle file del partito: alla fine balzò in piedi.
“È tutta colpa di quel maledetto pretaccio” concluse. “Questa è la volta che lo metto a posto”.
Il «maledetto pretaccio» stava sfogliando degli scartafacci in canonica, quando Peppone gli comparve davanti.
— Sarete contento, adesso! — esclamò rabbioso Peppone. — Ci siete riuscito finalmente a far del male a qualcuno dei nostri!
Don Camillo lo rimirò incuriosito.
— Le elezioni ti hanno dato al cervello? — si informò.
— Bella prodezza! Rovinare la reputazione di un disgraziato che non ha avuto che dolori dalla vostra sporca società.
— Continuo a non capire, compagno sindaco.
— Capirete quando vi dirò che Stràziami verrà espulso dal partito per colpa vostra. Sì, per colpa vostra! Avete approfittato della sua miseria, gli avete teso il roccolo, gli avete rifilato uno dei vostri sporchi pacchi americani, così il commissario ieri sera l’ha saputo, è andato a beccare Stràziami a casa sua, gli ha buttato fuori dalla finestra tutta la roba e poi lo ha schiaffeggiato.
Peppone era agitatissimo.
— Calma, Peppone, — gli disse don Camillo.
— Calma un accidente! Se voi aveste visto gli occhi che ha fatto quel ragazzo quando si è visto portar via quella roba di sotto e quando ha visto suo padre prendere la sberla, non sareste tanto tranquillo, ammesso che abbiate un po’ di sentimento!
Don Camillo si alzò pallido, si fece ripetere quello che aveva fatto il commissario, poi puntò un dito sul petto di Peppone.
— Canaglia! — esclamò.
Peppone era furibondo.
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— Canaglia voi che sfruttate la fame dei poveretti a scopo elettorale!
Don Camillo agguantò una spranga di ferro che stava nell’angolo del camino.
— Se apri ancora bocca ti macello! — urlò. — Io non ho sfruttato la fame di nessuno, io ho qui pacchi per tutti i poveri e non nego il pacco a nessun povero. A me interessa la fame dei poveri, non le loro idee politiche. Tu canaglia che, non potendo dare nessun aiuto a chi ha fame perché hai in magazzino soltanto carta stampata e bugie, pretenderesti che nessuno fosse beneficato. E quando qualcuno dà roba alla gente che ha bisogno lo accusi di voler comprare dei voti, e impedisci agli uomini del tuo partito di accettare quella roba, e se uno l’accetta lo tratti da traditore del popolo. Tu tradisci il popolo perché gli togli ciò che gli altri gli dànno. Politica? Propaganda? Il figlio di Stràziami, i bambini degli altri tuoi compagni poveri che, per paura di te, non vengono a ritirare il pacco, non lo sanno che il pacco glielo manda l’America. Essi non sanno neppure se esiste l’America. Per essi è semplicemente roba da mangiare, nutrimento che tu rubi alla loro fame. Tu, canaglia, ammetti che un uomo se vede suo figlio soffrire per la fame può anche rubarlo il pane che è necessario alla vita del ragazzo, non ammetti però che l’uomo lo possa accettare quel pane, se glielo offre l’America. Perché ciò tornerebbe a svantaggio morale della Russia! Cosa ne sapeva il figlio di Stràziami di America e di Russia? Egli stava finalmente per sfamarsi una volta tanto, e tu gli hai strappato il cibo dalla bocca. Tu canaglia, non io!
Peppone scosse il capo.
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— Io non ho fatto e non ho detto niente.
— Tu hai permesso che uno scalzacane non solo facesse questo, ma commettesse il più infame sopruso del mondo: quello di percuotere un padre davanti al suo bambino. Il bambino ha sempre una fiducia immensa in suo padre, e lo stima sempre il più forte di tutti, lo giudica un essere intangibile e tu hai permesso che una faccia falsa distruggesse questa illusione, l’unico bene che il destino avesse concesso al più disgraziato dei bambini. Cosa diresti se io stasera entrassi in casa tua e, davanti a tuo figlio, ti riempissi la faccia di schiaffi?
Peppone si strinse nelle spalle.
— Il più è cavarcela.
— Ce la cavo! — urlò don Camillo che era gonfio di furore. — Ce la cavo! — urlò ancora. E agguantata ai due estremi la grossa sbarra di ferro che aveva tra le mani strinse i denti e, mentre ruggiva come una tigre, la piegò a U.
— Ti ci faccio la cravatta a te e a Stalin e poi ci faccio anche il nodo! — gridò.
Peppone lo guardò preoccupato e non fece commenti.
Don Camillo aperse l’armadio e ne cavò un pacco che porse a Peppone.
— Portaglielo, se non sei l’ultimo degli imbecilli! Questo non lo manda l’America o l’Inghilterra o il Portogallo: lo manda la Divina Provvidenza che non ha bisogno di voti per rimanere al governo dell’universo. Puoi mandare a prendere anche gli altri e farli distribuire tu.
— Va bene, vi manderò lo Smilzo col furgone, —borbottò Peppone celando il pacco sotto il tabarro. Giunto sulla porta, si volse, depose il pacco su una sedia, raccattò la sbarra di ferro piegata a U e provò a raddrizzarla.
— Se ce la cavi voterò per il Fronte Democratico Popolare, — ghignò don Camillo.
Peppone, per lo sforzo, diventò rosso come un gallinaccio. Poi buttò per terra la spranga che non si era mossa di un millimetro.
— Non abbiamo bisogno del vostro voto per vincere, — disse Peppone riprendendo il pacco e uscendo.


Stràziami stava leggendo il giornale seduto davanti al fuoco e il ragazzino gli stava rannicchiato vicino.
Entrò Peppone e, deposto il pacco sulla tavola, spezzò la cordicella e sciolse l’involucro.
— Ecco qui, — disse al ragazzino. — Questo è per te. Lo manda direttamente il Padreterno.
Poi allungò qualcosa a Stràziami.
— E questa è per te, l’hai dimenticata sul mio incudine.
Stràziami prese la tessera e la ripose nel portafogli.
— Anche questa la manda direttamente il Padreterno? — domandò.
— Tutto ci viene dal Padreterno, — borbottò Peppone. — Tutto: il bene e il male. Tocca a chi tocca. È toccata a noi.
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Il ragazzino era balzato in piedi e rimirava felice tutto quel ben di Dio sciorinato sulla tavola.
— Stai tranquillo, stavolta non te la porta via nessuno, — lo rassicurò Peppone.


Lo Smilzo arrivò nel pomeriggio col furgoncino.
— Manda il capo a ritirare la merce, — disse a don Camillo. E don Camillo gli indicò i pacchi che erano ammonticchiati nell’andito.
All’ultimo viaggio, quando lo Smilzo carico di pacchi fu sulla soglia don Camillo gli spedì nelle retrovie un pedatone da due tonnellate che mandò a finire tutti i pacchi e mezzo lo Smilzo dentro la cassa del furgoncino.
— Metti nella nota anche questo, — spiegò don Camillo, — insieme ai nomi che hai scritto ieri.
— Con voi poi facciamo i conti il 19 aprile, — rispose lo Smilzo cavandosi fuor dal furgone. — Il vostro nome è in testa all’altra nota.
— Bene, serve altro?
— No, sono a posto: le ho già prese da tutt’e tre: da Peppone, da Stràziami e da voi. E tutto questo perché? Perché ho eseguito un ordine.
— Gli ordini sbagliati non si eseguono, — ammonì don Camillo.
— Giusto: il difficile è saperlo prima quando sono ordini sbagliati, — disse lo Smilzo. E sospirò.
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Gli irregolari

È arrivato il momento di parlare dello Smilzo, « capo-staffetta » del comune e capo della «volante-proletaria» della sezione, ed è venuto il momento di definirlo quale veramente egli era: un immorale.
O, meglio ancora: uno spudorato. Perché chi non si cura dello scandalo che può suscitare in un piccolo paese convivendo con l’amante è soltanto uno spudorato. E spudorata la disgraziata che divideva il suo letto.
La gente chiamava la Moretta « la mantenuta dello Smilzo », ma in verità si trattava di una ragazza che si manteneva benissimo da sola perché era un pezzo di donna che lavorava come un uomo e lavorava bene, tanto è vero che le affidavano la trattrice per l’aratura e guidava il Lancia RO di Censetti con la sicurezza di Peppone. E per quanto le donne del paese la definissero una sporcacciona non c’era barba di uomo che, avendo tentato qualche confidenza, non si fosse pigliato sul muso uno schiaffone di quelli che fanno perdere l’indirizzo di casa.
Con tutto questo era lo scandalo del paese assieme a quell’altro balordo dello Smilzo che la chiamava la mia compagna e se la portava in giro per il paese seduta in canna alla bicicletta, quando non era lui seduto in canna e la squilibrata in sella.
Allorché don Camillo sobillato da tutte le «beghine» del paese aveva parlato di «certe sporcaccione che girano in bicicletta da corsa per il paese mostrando il sedere come la faccia», la compagna Moretta aveva cominciato a marciare in tuta e la tuta blu col fazzoletto rosso al collo era diventata la sua divisa suscitando uno scandalo furibondo.
Don Camillo una volta che riuscì ad agguantare lo Smilzo, provò a parlargli di «regolarizzare la sua posizione», ma lo Smilzo gli sghignazzò in faccia.
— Non c’è da regolarizzare un accidente. Noi facciamo, né più né meno, quello che fanno i fessi che si sposano.
— I galantuomini, non i fessi! — ribatté don Camillo.
— I fessi che rovinano tutta la bellezza dell’unione di due anime gemelle mettendoci in mezzo un mammalucco di sindaco e un tabaccone di prevosto!
Don Camillo aveva incassato il «tabaccone» e aveva insistito. Ma lo Smilzo sghignazzò ancora.
— Il Padreterno se avesse stabilito che gli uomini e le donne si devono unire per mezzo del matrimonio, nel Paradiso terrestre ci avrebbe messo, oltre ad Adamo ed Eva, anche un prete. L’amore è nato libero e libero deve rimanere! Verrà il giorno in cui la gente capirà che il matrim...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Io sono così
  5. Mondo piccolo - Gente così
  6. Mondo piccolo - Lo spumarino pallido
  7. Appendici
  8. ELENCO IN ORDINE CRONOLOGICO DELLE OPERE DI GIOVANNINO GUARESCHI
  9. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE