
- 272 pagine
- Italian
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Agosto moglie mia non ti conosco
Informazioni su questo libro
Un luogo di villeggiatura sul golfo di Napoli, un gruppo di villeggianti ansioso di divertimenti, una pensioncina dove il cibo non è certo buono. Amori e amorazzi sullo sfondo. un naufragio. un'intricata vicenda di donne bellissime, dongiovanni impenitenti, cinture di castità , palombari… Una ridda delle più incresciose avventure fino al casuale scioglimento conclusivo. Un modo ironico di rappresentare l'essenza stessa della vita della nostra società , un vero e proprio "antiromanzo" raccontato da Campanile con una sapienza incomparabile.
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Informazioni
Print ISBN
9788817680400eBook ISBN
9788858649459XIII
Quando, in una drammatica scena di lagrime, Caterina ebbe confessato la storia dei colloqui notturni con Fior del Fango, Gedeone ruppe il fidanzamento e se ne andò, gridando ai Suares:
« Ho per mio figlio non uno, ma cento partiti migliori della vostra Caterina. Vi morderete le mani dalla rabbia ».
« Mento! », gli aveva gridato dietro Suares.
Quell’uomo così placido nell’aspetto era capace dei più gravi eccessi, se provocato.
Gedeone corse nella camera d’Andrea.
« Vestiti », gli disse, « usciamo ».
« Che è avvenuto? », chiese il giovinotto, nascondendo precipitosamente Come si mantengono le donne.
« È avvenuto che il tuo matrimonio con quella ragazza è andato a monte. Ma ho di meglio per te ».
Mentre scendevano, ringhiava tra i denti:
« Aveva il topolino d’albergo, aveva! ».
Sulla porta della pensione incontrarono Whititterly, che osservava il paesaggio sbadigliando. Il pover uomo s’annoiava mortalmente, nell’ozio forzato a cui lo costringeva la perdita della sua nave.
« Capitano », gli disse Gedeone, « lei se la sentirebbe di far da testimonio al fidanzamento di mio figlio? ».
« Col massimo piacere », rispose Whititterly, lieto che gli si presentasse l’occasione di far qualcosa. « Chi è la fortunata... ».
« Glielo saprò dire ben presto; intanto si tenga pronto a un mio avviso, perché la cosa potrebbe avvenire da un momento all’altro ».
« Io non mi muovo. Se non son qui, mi trova al porto. Per la notte, una bussatina alla mia porta e son da lei. Anzi, guardi, stanotte mi corico vestito ».
In verità , quell’uomo ammirevole, che non sapeva stare con le mani in mano, faceva la spoletta fra la pensione e il porto. Come diceva egli stesso, stava sulla piazza, per il caso che qualche armatore volesse affidargli il comando d’un’altra nave.
Epperò lo si poteva vedere spesso nei paraggi del porto, a confabulare misteriosamente con sensali e vecchi praticoni.
Intanto, scriveva lettere a destra e a sinistra, accludendo certificati, pro-memoria, stati di servizio e francobollo per la risposta. Di quando in quando s’affacciava nella pensione:
« M’ha telefonato qualcuno? ».
« No », diceva invariabilmente Arocle.
E Whititterly:
« Come mai? ».
« Non saprei proprio dirle ».
Dopo cena, il capitano non si occupava più di affari. Ogni cosa — diceva — a tempo e a luogo: prima il lavoro, poi il divertimento. E se ne andava in giro per le vie del centro, fermandosi davanti a tutti i negozi, a quell’ora chiusi.
« Mi diverto un mondo », spiegava a chi gli chiedeva la ragione di tale stranezza, « a guardare le saracinesche abbassate ».
Prima di coricarsi, poi, il capitano scendeva in istrada a portare per mezz’ora a passeggio il suo bastone, secondo un’annosa abitudine.
* * *
Gedeone e Andrea andarono a comperare un pacco di cioccolatini.
Poi Gedeone fece gran gesti di richiamo a una carrozza che stazionava in fondo alla strada. Il vecchio cocchiere scese di serpe a fatica e venne premurosamente, a piedi, verso i nostri amici, dicendo:
« In che posso servirli? ».
« Ma no », gridò Gedeone impazientito, « io voglio la carrozza! ».
« Oh », fece il cocchiere, deluso, « credevo che volesse me ».
Tornò indietro, rimontò in serpe e chiese a Gedeone, che aveva preso posto in vettura con Andrea:
« Dove andiamo? ».
Il cavallo tese le orecchie con spiegabile trepidazione.
« Non glielo posso dire », esclamò Gedeone, che voleva mantenere il segreto sulla spedizione.
Il cocchiere, che non era curioso, non insisté. Tutti rimasero per qualche minuto a guardare il panorama, senza muoversi. Alla fine Gedeone si lasciò sfuggire un: « Al castello di Fiorenzina! », che fece trasalire il cavallo e indusse il cocchiere a dire:
« A quest’ora? S’arriva di notte ».
« È vero », mormorò Gedeone, « ci andremo domattina. Vieni a prenderci alle sette in punto ».
« Con la carrozza? », chiese il cocchiere.
Gedeone rifletté qualche istante. Alla fine disse:
« Sì, sarà meglio ».
Mentre si dirigeva alla pensione, si volse di nuovo al cocchiere e gli gridò:
« Ohè, mi raccomando; anche col cavallo! ».
« Ah, sì? », fece l’altro, sorpreso. « Come vuole, del resto ».
* * *
Rimasti senza testimoni, Suares disse:
« Vergogna! ».
« Ma io », gemé Caterina, « non sapevo che fosse un topo... ».
I singhiozzi le impedirono di continuare.
« Intanto », proseguì il vecchio, che, pur nell’angoscia dell’inaspettata rivelazione, era, in un certo modo, lieto e orgoglioso che in famiglia ci fosse un grosso guaio non provocato da lui, « intanto, da oggi vita nuova ».
Misurò la stanza a grandi passi e aggiunse:
« Non pretendo un marito ricco! ».
Caterina singhiozzò più forte.
« Ma a un marito onesto », proseguì il vecchio. « non posso rinunciare ».
Rivolto alla moglie, che sospirava seduta sul letto, aggiunse:
« Tu sorveglierai perché costei non legga lettere di quel mascalzone! ».
La signora alzò le spalle.
« Non è una cosa facile », disse, scotendo il capo, « sorvegliare una ragazza perché non legga lettere d’amore ».
« Perché? », chiese il marito.
« Andiamo, non lo sai, dove si leggono le lettere d’amore? ».
« Dove? ».
« Fai anche l’ingenuo? Povero piccolo! Dove le leggevi tu, di nascosto dai tuoi? ».
« Non ricordo ».
« Ah, non ricordi? E dove credi che leggessi io le tue lettere? ».
« Dove? ».
« Ma smettila, ché lo sai meglio di me dove si leggono queste lettere di nascosto, da che mondo è mondo! ».
« Ti assicuro che non lo so ».
« Non lo sai? E allora, mi dispiace per te, si vede che non hai mai amato ».
Suares rimase per qualche tempo a pensare dove mai si leggano le lettere d’amore e, dopo essersi sforzato invano, perché non riuscì a trovare nessun luogo che gli sembrasse particolarmente destinato a quest’ufficio, riprese l’interrotta filippica contro sua figlia.
« Non ti sei domandata », gridò, « non ti sei domandata... ».
« Ma anche tu », saltò a dire la signora Suares, « la lasci sola la notte! ».
Il vecchio, come un arco che, troppo a lungo teso, alla fine si spezza, s’accasciò su una poltrona.
« Miracolo », disse, « che non finiva per essere colpa mia anche questa ».
« Ma certo », cominciò a strepitare la moglie, « se la notte, invece di dormire... ».
« E che vuoi che faccia la notte, mia cara? La notte si dorme! ».
« E intanto succedono queste belle cose ».
Caterina piangeva cheta cheta. Talché suo padre non poté a meno di carezzarle la testolina. E le disse, con dolcezza:
« Ma ragiona, bimba mia! Come puoi pensare di sposare il figlio di Fantomas! ».
Caterina continuava a singhiozzare in silenzio, nell’ombra, che aveva invaso gli angoli. Entrò Arocle, che veniva a rassettar la camera. Vedendo gente, fece per ritirarsi, ma, quando sentì che Caterina piangeva, si mise a piangere anche lui.
« Perché piangete? », gli disse Suares. « Che c’entrate voi? ».
Arocle alzò le spalle.
« Io », disse, « piango per conto mio. Siccome ho avuto molte disgrazie e non posso mettermi a piangere in pubblico senza un’apparente ragione, profitto di tutte le scene tristi per farlo ».
« Ma io non vi permetto », fece Suares, « di sfruttare il dolore... ».
Arocle smise di piangere e si asciugò gli occhi. Talché Suares si pentì subito del proprio scatto. Abbassò il capo e, da quell’uomo di cuore che era, aggiunse:
« Piangete pure, ve lo permetto ».
« Grazie », fece il bravo cameriere, « ma ora debbo andare. Sarà per un’altra volta ».
Uscì.
A un certo punto la signora Suares ruppe il silenzio.
« Eppure », disse, quasi parlando tra sé, « quel Fantomas deve aver messo da parte parecchi quattrini ».
Suares alzò le spalle.
« Credo », mormorò, « che si sia mangiato tutto ».
Per quella sera, non si dissero altro.
* * *
Mystérieux era corso a casa col cuore in subbuglio, per la prima volta maledicendo il suo destino e la vita scellerata che menava.
A casa trovò una grande novità : poche ore prima, d’un colpo d’accidente, era morto Juve, il famoso poliziotto. La notizia, giunta subito all’orecchio di Fantomas, aveva gettato il famigerato bandito in un cordoglio che non è facile descrivere.
« Juve », ripeteva egli fra le lagrime, « aveva consacrato tutta la vita a me. Ci davamo la caccia da tempo immemorabile; o lui inseguiva me, o io inseguivo lui. Ora egli non è più e sono rimasto solo! ».
Quell’uomo inafferrabile sentiva che, col suo mortale nemico, una parte di se stesso scendeva nella tomba.
L’indomani, ai funerali del famoso poliziotto — che, per comodità , avea preso in affitto, negli ultimi anni della sua vita, una casetta accanto a quella dell’irreducibile nemico — la più bella corona, la più grande, recava questa semplice scritta: Fantomas.
Il vecchio bandito seguì dalla finestra, con gli occhi pieni di lagrime, il trasporto. E quando vide quel modesto carro quasi disadorno — l’onesto poliziotto moriva povero come aveva vissuto — muoversi traballando, seguito dagl’intimi, Fantomas bisbigliò, agitando tristemente il capo:
« Addio Juve! Ecco la prima volta che non posso seguirti dove vai. Ci siamo tormentati, ci siamo accaniti l’uno contro l’altro, tutta la vita, ma io ho voluto bene soltanto a te. Alla fine tu mi hai giocato: questa volta riesci a sfuggirmi davvero. E per sempre ».
Prodigio d’amore? Effetto del triste spettacolo di suo padre? Chi sa Mystérieux provava sentimenti nuovi.
Pensò lungamente. A mezzanotte indossò la maglia nera, prese i ferri del mestiere, nonché un grosso pacco, e uscì guardingo. Grosse nuvole nere s’accavallavano, coprendo e scoprendo la luna.
Nelle stradicciole deserte, l’ombra del ladro si confondeva con le tenebre.
Mystérieux andava a compiere l’ultima delle sue operazioni in grande stile.
* * *
Gedeone e suo figlio entrarono in camera, chiusero la porta e cominciarono a spogliarsi.
« Sentiremo troppo caldo », chiese Andrea, « a chiudere la porta a chiave? ».
« Andrea, Andrea! », mormorò Gedeone. « Almeno parla a bassa voce! ».
« Perché? », fece il giovinotto. « Hai paura di svegliarti? ».
« Figlio mio, non farti sentire, quando dici queste cose! », piagnucolò il padre. Andrea tacque.
Suo padre si ficcò sotto le lenzuola, deciso ad addormentarsi, dovendo l’indomani levarsi per tempo, quando gli venne un pensiero improvviso: il manoscritto d’Isabella.
S’era completamente dimenticato della nove...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Copyright
- ACHILLE CAMPANILE, O L’INUTILITÀ DEL RISO
- AGOSTO, MOGLIE MIA NON TI CONOSCO
- I
- II
- III
- IV
- V
- VI
- VII
- VIII
- IX
- X
- XI
- XII
- XIII
- XIV
- XV
- XVI
- XVII
- XVIII
- JAZZ-EPILOGO