PETRARCA FRA IL PALAZZO E LA CAMERETTA
Se è vero che un libro è un «luogo» in cui gli uomini si riconoscono — gruppi, ceti, epoche, umanità in senso totale — mai forse è stato più giusto affermarlo che per il Canzoniere di Petrarca. È un’opera che certamente dà il senso di una perfetta, adamantina unità , che dà l’immagine più pura appunto del luogo chiuso, dello spazio templare ritagliato nell’indistinto della realtà o nel nulla: ma essa è tuttavia gremita di indizi, di aperture, di indicazioni al movimento (le più varie anche se in qualche modo dissimulate) ed è comunque dominata da alcuni temi e tensioni degni di un’applicazione senza fine e tali da chiamare in causa « chiunque ».
Luogo particolarissimo è ancora il Canzoniere perché, nel momento in cui si pone entro l’ambito di un’alta tradizione per coronarla (quella che va dalla poesia cortese al dolce stil nuovo), ne fonda e ne autorizza un’altra, quel petrarchismo di cui appare difficile dire tutta l’importanza, anche nei suoi paradossi e nelle sue contraddizioni. Si tratta di un’energia e di uno spazio di tale vigore da costituire per secoli, con i suoi miti e le sue ambizioni, un riferimento per uomini di ogni paese europeo, anche al di fuori del mondo letterario, e ciò in relazione al radicale affermarsi di un primato o almeno di un’autonomia dell’eros (nella sua pericolosa e ineliminabile contiguità con la frustrazione) attraverso e contro i condizionamenti sociali, culturali, etnici. Celebrazione e rivendicazione, questa, che si identificava con la riscoperta dell’autonomia dell’atto poetico in cui essa si sostanziava, e capace di dare origine ai più incandescenti rilievi inventivi ricavandoli dall’interno di un canone stabile persino nel suo divenire oggetto di violazione.
È da notare poi che, se il petrarchismo è soprattutto la tradizione che si forma dal Canzoniere come immediata « lettura di poesia gli si riconnette, per opposizione e connivenza a un tempo (come si vedrà più avanti), anche quell’insieme di riferimenti culturali che dà origine alla linea « umanistica » e che trova le sue radici in altri atteggiamenti di Petrarca in quanto precettore più o meno dichiarato per la sua epoca e per il futuro.
Nel petrarchismo possono dunque ritrovarsi Ronsard e Michelangelo, Gongora e Shakespeare e ancora, di trasfigurazione in trasfigurazione, Leopardi e perfino Mallarmé e i suoi figli moderni (ma perché non Baffo, variante tanto necessaria quanto rimossa, test rivelatore dell’insistenza controculturale latente nel Canzoniere e nell’intera nebulosa che ne nasce?). Le sopracitate grandi figure sembrano del resto postulare imperiosamente — attraverso una miriade di altri astri più o meno ardenti di verità , da Gaspara Stampa al Foscolo dei sonetti — il polverio infinito dei canzonieri e dei componimenti amorosi scritti, secoli dopo secoli, nel gesso detritico del canone, una massa quasi soffocante di inezia e futilità (forse), ma che pur testimonia l’instaurazione di un qualche colloquio, una partecipazione, una continuità attraverso tempi e paesi tra eroi ed « esseri comuni », tra forme radioattive e loro necessarie scorie plumbee, in un tutto nel quale ognuno dà qualcosa, anche il meno dotato, in un tessuto che dunque è « civile ». E ciò, bisogna ribadire, in rapporto al sempre rinnovato definirsi di un territorio franco per l’eros-poesia contro altri dèi, prìncipi e chiese. Cosicché parlare di Petrarca — del Canzoniere — ha sempre finito per corrispondere al parlare semplicemente della poesia, del suo « proprio », della sua inerenza al « fuoco » da una parte « all’artificio » dall’altra: di un fuoco-eros, artefice sempre in sortita oltre la realtà eppure in pericolo di scadere nell’irrilevante e nel vacuo, ma necessitato a trarre vita anche da questo pericolo. Sul Canzoniere, su quanto esso ha potuto significare, si è scritto anche troppo, ma questo troppo d’altra parte è là per indicare una sua insufficienza. Così, ogni ribellione al petrarchismo, ogni coup de dés lanciato anche contro Petrarca, riconduce più che mai a lui, all’oltranzismo della sua operazione.
E viene in primo luogo da domandare che senso ha il Canzoniere entro il ritmo, il timbro inafferrabilmente complesso dell’esistenza di Petrarca. Egli ci appare, quale uomo vivo, come in una pellicola che presentasse un’eccessiva velocità pur senza diventare comica, e che insieme, sotterraneamente, fosse stremata dal rallentatore, gravitante su un’accidia, un’opposizione al moto. L’elegante e nitido racconto di Wilkins che è così vicino alla verità di Petrarca a un certo momento sembra sfarsi, andare a pezzi entro incoordinabili assi. Petrarca che cade, infante, nelle correnti di un fiume, o che nei suoi vagabondari cade da cavallo ferendosi in una notte di fuga, o che cade in coma a Ferrara mentre vecchio e malato si accinge a un viaggio a Roma. Petrarca giardiniere e botanico incantato e puntiglioso, quanto lo è come raccoglitore di codici: maestro nel coltivare appunto il suo piccolo giardino, creatore di recinti quasi per agorafobia, eppure capace di salire sul monte Ventoso, sfidando l’opinione comune. Intorno a lui il tremendo stillicidio della morte di giovani, dalla madre al padre a Laura a molti amici, mentre egli continua, pur nelle traversie, favorito dalla vita, dalle sue più sottili ed intense energie. Lui in una ridda di partenze ritorni andirivieni, ma con una collezione di case stabili dove fissarsi, « quieti porti » da avere a disposizione dovunque; lui che si vagheggia pubblico maestro ma che rifiuta ostinatamente di avere « cura di anime lui che fa il più possibile vita. solitaria e osa tesserne l’elogio allo stesso Carlo IV di Boemia, ma che è pur sempre appiccicato al potere, vicino ai Supremi Manichini, papato e impero, da cui l’umano dovrebbe trarre un suo volto; lui al limite dell’ipersensibilità che sfuma in debolezza d’animo, eppure capace delle più acerbe denunce come nelle lettere « Senza nome ». E così fino alla follia più tenace e producente, quella che si incentra sul falso e sul vero di un rapporto con la donna (con l’eros) in apparenza limitativo e invece forte delle più enigmatiche implosioni e vischiosità come delle più ardue spinte centrifughe: il camp...