Il mastino dei Baskerville
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Il mastino dei Baskerville

  1. 201 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il mastino dei Baskerville

Informazioni su questo libro

Per la brughiera del Devonshire si aggira un enorme e minaccioso mastino. I suoi spaventosi latrati, udibili persino di giorno, si levano dalla palude terrorizzando gli abitanti di Dartmoor. Tutti conoscono il vero bersaglio della bestia: la famiglia Baskerville, maledetta da Dio in seguito al comportamento blasfemo e delittuoso dell'avo Hugo. Per questo, quando l'anziano sir Charles Baskerville muore di spavento nella brughiera, in pochi hanno dubbi sulla matrice soprannaturale del delitto. Ma Sherlock Holmes e il fedele assistente Watson non credono alle maledizioni, per quanto spaventose: consultati dall'erede dei Baskerville, sir Henry, e dal medico di famiglia Mortimer, sono decisi a indagare sulla vera natura del mastino e sul suo proprietario, l'unico che possa essere ritenuto responsabile dell'omicidio di sir Charles.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
Print ISBN
9788817153508
IL MASTINO DEI BASKERVILLE
INDAGINE PRELIMINARE IN FORMA DI DIALOGO
A
Ecco. Abbiamo tra le mani Il mastino dei Baskerville. Proviamo ad applicare anche noi il metodo dell’osservazione meticolosa e della deduzione intelligente. Che cosa noti?
B
Beh, noto le illustrazioni di Sidney Paget, decisive per tutta l’iconografia e filmografia di Sherlock Holmes.
A
Io direi addirittura: non dissociabili dal testo. L’omogeneità è assoluta. Niente altro?
B
Prima di arrivare al testo, no, non mi pare.
A
E invece c’è un altro dettaglio ben visibile. Che cioè si tratta di un romanzo, sia pure breve; mentre quasi tutte le 60 avventure “canoniche” di S.H. non superano la misura del racconto, le quindici venti pagine al massimo.
B
Dunque, un testo anomalo.
A
No, anzi. A parte questa peculiarità, Il mastino dei Baskerville è molto rappresentativo. Proprio per la sua maggior lunghezza si presta a un’indagine generale su S.H. e sul suo autore, offre un comodo ventaglio di coincidenze, discrepanze, analogie, ipotesi e contraddizioni. Per esempio, un’altra singolarità è l’uso della tecnica del romanzo epistolare.
B
E un’altra, il fatto che l’azione si svolge prevalentemente in campagna. Mentre quando penso a S.H., io lo vedo “urbano”, contro uno sfondo londinese.
A
Sì, o davanti al caminetto, in Baker Street. Ma è una falsa impressione. Spessissimo, in realtà, Holmes lascia precipitosamente la capitale; tu pensa a quanti treni ci sono nelle sue inchieste, di quanto gli siano debitrici, per la loro fama, stazioni come Paddington, Victoria...
B
E i telegrammi, allora? Lui e Watson passano praticamente metà del tempo negli uffici postali.
A
Per forza, non c’era ancora il telefono. Ma una volta su due, il telegramma lo fa schizzare fino a Birmingham, a Winchester, a Liverpool, in qualche remoto villaggio o nobile dimora tra boschi e dirupi.
B
D’accordo, ma il paesaggio di Londra prevale, è quello che associamo automaticamente al nome di Sherlock Holmes. Nebbie, carrozze, lampioni a gas, lunghe cancellate, vicoli oscuri... Si può dire che la Londra di fine secolo esista, nella geografia letteraria, per merito di S.H.; che l’abbia occupata tutta lui, nel senso in cui diciamo, non so, che Casanova ha occupato la Venezia del Settecento.
A
E appunto perché è definitiva, questa appropriazione è anche immutabile. S.H. appare per la prima volta nel 1891; l’ultima raccolta di racconti è del 1927, quando a Londra c’era ormai abbondanza di telefoni, luce elettrica, tassì, gonne sopra il ginocchio, charleston, ecc.; e quando forse, ha suggerito qualcuno, l’aereo di Lindbergh stava sorvolando il cielo della città. Eppure l’autore non registra nessuno dei progressivi cambiamenti della metropoli, ci presenta sempre la stessa scenografia, congelata al 1891.
B
Ma perché è un’emanazione del personaggio. O se vuoi, un suo essenziale capo di abbigliamento, allo stesso titolo del berretto da cacciatore di daini e della mantellina a quadri. Del resto, neppure lui, S.H., si evolve, si modifica, ingrassa, invecchia. Per i suoi successori, Poirot, Miss Marple, Maigret e tanti altri, gli anni passano crudelmente, banalmente... Per lui no. Lui è un monumento.
A
La stessa cosa, se permetti, si può dire di Jeeves, e in generale dell’Inghilterra di Wodehouse, congelata all’età eduardiana.
B
Mondi perfettamente chiusi, autosufficienti, astorici. Una forma di arcadia, insomma.
A
Io penso piuttosto a una finzione di tipo teatrale, ben delimitata da quinte, tendaggi, fondali. E dai costumi. E dalle situazioni “obbligate”.
B
E dalla convenzione dei travestimenti. Una barba finta, una parrucca, e via. S.H. si traveste in continuazione, ma anche i suoi avversari non scherzano. Un teatro di maschere, è questo che vedi?
A
Più o meno. E difatti...
B
Allora però anche la scena che si ripete, con minime varianti, nel saloon dell’Arizona, o a bordo dell’astronave lanciata nello spazio...
A
Scusa, ma volevo aggiungere che S.H. ha avuto in Inghilterra e in America un numero incalcolabile di adattamenti e riduzioni per il teatro, appunto. Ed è a una di tali riduzioni (ma non si sa più a quale) che si deve forse la celebre battuta “Elementare, Watson!”, di cui nel testo di Conan Doyle non c’è traccia.
B
Come? S.H. non la ripete a ogni pagina?
A
No. Uno studioso inglese si è dato la pena di controllare, e ha accertato che, in quei termini esatti, S.H. non la pronuncia mai.
B
Molto curioso. La prova di una vera popolarità, comunque.
A
Forse di qualcosa di più. Quando un personaggio diventa un mito acquista una specie di vita indipendente, o meglio collettiva, cui il pubblico si sente autorizzato ad aggiungere il suo apocrifo sassolino.
B
Ecco di nuovo il monumento.
A
Non esageriamo, però. Restiamo tra i “caratteri”, tra le “maschere”, per ora.
B
Sherlock Holmes come Arlecchino?
A
Qualcosa del genere. Considera l’inizio del Mastino dei Baskerville.
B
Che cos’ha di speciale?
A
Niente, appunto. In apertura, S.H. esegue una piroetta di presentazione, dà immediatamente un saggio delle proprie capacità, a proposito di un bastone da passeggio. In tutte le sue inchieste, non manca mai questo mini enigma introduttivo, una specie di rassicurante marchio di garanzia. «Rieccovelo qui tale e quale» sembra dire l’autore «così come l’avete lasciato nell’ultimo numero dello “Strand Magazine”. È sempre lui, con la sua ‘facoltà logica’ intatta, pronto a nuove acrobazie, mentali e no.»
B
Sì, un segnale, un ammicco, che ha senza dubbio un valore e un intento commerciali, che annuncia il prodotto di serie. Ma se mi è lecita una raffinata citazione...
A
Vai tranquillo.
B
Mi sembra di poter dire che tutti i personaggi “mitici”, come li hai chiamati prima, vivono in parte di ripetitività, da Jeeves a Superman, da Ulisse a Dracula. Quando entrano in scena, è indispensabile che il lettore borbotti sorridendo: ah, ecco il nostro bel tipo, stiamo a vedere cosa combina questa volta, come se la cava.
A
Sì, certo. Sono le peripezie, che devono variare: da lui, dal protagonista, il pubblico popolare pretende che resti sempre uguale, integro, immortale.
B
Tel qu’en Lui-même enfin l’eternité...
A
Ah, era poi Mallarmé. Intuisco dove vuoi arrivare, mio buon amico, ma non mi sembra il momento. Osserverei piuttosto, in coda a quel che dicevi, che il consumatore mensile o settimanale, insomma abituale, di Sherlock Holmes (o di Popeye, o di Frankenstein) non solo non s’annoia a ritrovarlo sempre identico, ma ne gode.
B
E la delizia suprema è quando l’eroe sembra cambiato, ma poi si scopre che non era vero, che era solo “per finta”. È un rapporto affettuoso.
A
Non necessariamente. Quel che conta è il sentimento della famigliarità. Ma poi uno può benissimo trovarlo antipatico, scostante, il caro vecchio S.H.
B
Tra l’altro, pare che non fosse simpatico in primo luogo al suo autore. Sia perché gli toccò mantenerlo in vita quando se n’era ormai stancato, sia perché, più sottilmente, questo esteta tossicodipendente, questo scettico, questo ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Collana
  3. Frontespizio
  4. IL MASTINO DEI BASKERVILLE