Le donne di Cesare
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Le donne di Cesare

I signori di Roma

  1. 500 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Le donne di Cesare

I signori di Roma

Informazioni su questo libro

Giulio Cesare, rientrato a Roma dalla Spagna, supera con slancio tutte le tappe del folgorante cursus honorum. E si muove con disinvoltura anche in campo amoroso, facendo strage di cuori tra le patrizie romane. La vendicativa Servilia, la capricciosa Pompea, la giovane Calpurnia, la madre Aurelia, la figlia Giulia sono solo alcune delle figure femminili che si contendono, con ogni mezzo, l'amore di Cesare. Un affresco straordinariamente realistico di Roma antica, dei suoi vizi e delle sue virtù.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
Print ISBN
9788817061094
Parte IV
1° Gennaio – 5 Dicembre 63 a.C.
Cicerone ebbe la sfortuna di iniziare il proprio consolato mentre era in corso una grave crisi economica e, poiché l’economia non era la sua specialità, affrontò l’anno in condizioni di spirito molto depresse. Non era il tipo di consolato che aveva ambito. Voleva che, alla fine del suo anno da console, la gente dicesse di lui che aveva dato a Roma lo stesso tipo di prosperità serena comunemente attribuita al consolato congiunto di Pompeo e Crasso sette anni prima. Con Ibrida come console giovane, era inevitabile che tutto il credito andasse a Cicerone, che pertanto non avrebbe avuto bisogno di concludere l’incarico in disaccordo con il collega, come era accaduto tra Pompeo e Crasso.
I problemi economici di Roma derivavano dall’Oriente, che da oltre vent’anni era chiuso agli uomini d’affari romani. Dapprima era stato conquistato dal re Mitridate, poi da Silla che aveva introdotto eccellenti norme finanziarie e in tal modo impedito alla comunità dell’Ordine equestre romano di tornare all’antica pratica di spremere a secco l’Oriente. C’era pure il grosso problema della pirateria sui mari esterni, che non incoraggiava iniziative commerciali a est della Macedonia e della Grecia. Pertanto, gli esattori dei tributi, i prestatori di denaro e tutti coloro che commerciavano in articoli come frumento, vino e lana, tenevano i capitali in patria. Tale fenomeno era aumentato con la guerra contro Quinto Sertorio in Spagna, e ancor più quando diversi periodi consecutivi di siccità avevano compromesso i raccolti. Le due parti estreme del Mare Nostrum erano diventate pericolose o impraticabili per i commerci.
Tutte queste circostanze avevano avuto il risultato, negli ultimi vent’anni, di concentrare i capitali e gli investimenti a Roma e in Italia. I cavalieri-commercianti della capitale non vedevano prospettive attraenti oltremare, pertanto non avevano bisogno di grande liquidità. Di conseguenza, il tasso d’interesse era basso, gli affitti pure, l’inflazione saliva e i creditori non avevano fretta di ricuperare le somme prestate.
La sfortuna di Cicerone era da attribuire interamente a Pompeo. Dapprima il Grande Uomo aveva liquidato i pirati, poi aveva scacciato i re Mitridate e Tigrane dalle aree che tradizionalmente facevano parte della sfera commerciale romana. Inoltre aveva abolito le normative di Silla, mentre Lucullo si era ostinato a conservarle: questo era l’unico motivo per cui i cavalieri avevano manovrato per deporre Lucullo e trasferire il suo comando a Pompeo. Perciò, proprio nel momento in cui Cicerone e Ibrida entravano in carica, in Oriente si stava aprendo un’autentica dovizia di prospettive commerciali. Dove un tempo c’erano state la provincia d’Asia e la Cilicia, ora c’erano quattro province. Pompeo aveva aggiunto all’impero le nuove province di Bitinia-Ponto e di Siria. Le aveva organizzate nello stesso modo delle altre due, affidando a grandi gruppi di publicani con sede a Roma il diritto di riscuotere le tasse, le decime e i tributi. I contratti privati concessi dai censori risparmiavano allo stato l’incombenza di riscuotere le tasse, e impedivano la proliferazione degli impiegati statali. Meglio lasciare quei grattacapi ai publicani! Tutto ciò che l’Erario voleva, era la quota dei profitti di sua spettanza.
I capitali uscirono da Roma e dall’Italia per assecondare la nuova tendenza di assicurarsi il controllo delle iniziative commerciali in Oriente. Pertanto, il tasso d’interesse aumentò drasticamente, gli usurai vollero ricuperare subito le somme date in prestito e divenne difficile ottenere credito. In città gli affitti salirono alle stelle, mentre nelle campagne i contadini erano impastoiati dal rimborso delle ipoteche. Era inevitabile che aumentasse il prezzo del grano, anche di quello distribuito dallo stato. Enormi quantità di denaro uscivano da Roma, e nessuno al governo sapeva come controllare la situazione.
Informato da amici, come il cavaliere plutocrate Tito Pomponio Attico (peraltro non disposto a mettere Cicerone a parte di troppi segreti commerciali), che l’emorragia di denaro era da imputare agli Ebrei stranieri residenti a Roma, i quali mandavano in patria i proventi delle loro attività, Cicerone fece immediatamente approvare una legge che vietava agli Ebrei di spedire denaro al loro paese. Naturalmente, il provvedimento ebbe scarso effetto, ma che altro poteva fare il console? Non sarebbe stato Attico a illuminarlo in proposito.
Non era nella natura di Cicerone trasformare il proprio anno consolare in una missione che già prevedeva inutile e impopolare. Pertanto rivolse le proprie cure ad affari che rientravano nella sfera in cui eccelleva; la situazione economica si sarebbe risolta con il tempo, ma le leggi avevano bisogno di un tocco personale. Avere Cicerone alla massima carica significava che, una volta tanto, Roma aveva un console legislatore. Quindi Cicerone avrebbe legiferato.
Se la prese immediatamente con la legge fatta approvare quattro anni prima dal console Caio Pisone contro la corruzione elettorale nell’elezione dei consoli. Essendo personalmente colpevole di quel reato, Pisone si era visto costretto a emanare una legge per penalizzarlo. Pertanto c’era una logica nel fatto che la sua legge facesse acqua da tutte le parti, ma quando Cicerone ebbe tappato i buchi più vistosi divenne quasi presentabile.
Fatto questo, di che cosa occuparsi? C’era il caso dei pretori che tornavano dalle province loro affidate dopo essersi macchiati di estorsione, e ora volevano salvarsi dalle conseguenze penali facendosi eleggere consoli in absentia! I pretori mandati a governare le province potevano rubare più e meglio dei consoli. Ce n’erano otto, contro due governatori-consoli. Pertanto era noto a tutti che l’unica probabilità di farsi una fortuna nelle province era quella di andare a governarle come pretore. Ma come poteva un pretore tornato in patria, dopo avere prosciugato le finanze della sua provincia, sfuggire al processo per estorsione? Se era un attendibile candidato al consolato, il modo migliore era chiedere al Senato l’autorizzazione a candidarsi in absentia. Nessun detentore di un imperium poteva essere processato. Se un governatore-pretore non varcava il sacro confine della città di Roma, conservava l’imperium – l’autorità che Roma gli aveva conferito. Pertanto poteva sedere nel Campo Marzio appena fuori città con il proprio potere intatto, sottoporre una petizione al Senato per candidarsi come console in absentia e condurre la propria campagna restando nel Campo Marzio. Se aveva la fortuna di essere eletto console, fruiva immediatamente di un nuovo imperium. Con questa manovra il magistrato eludeva le conseguenze legali della propria disonestà per altri due anni, ma a quel tempo i provinciali inferociti che avrebbero voluto perseguirlo si erano arresi e non ci pensavano più. Ebbene, tuonò Cicerone al Senato e nei Comizi, quello stato di cose doveva finire. Pertanto lui e il suo collega Ibrida proposero di vietare a tutti i governatori-pretori rientrati dalle province di candidarsi al consolato in absentia. Dovevano tornare a Roma e affrontare le conseguenze legali delle proprie azioni. Il Senato e il popolo giudicarono ottima questa proposta, e la nuova legge fu approvata.
Che altro poteva fare Cicerone? Considerò varie possibilità e tutte le piccole leggi utili che avrebbero dato lustro alla sua reputazione. Però non gli avrebbero fatto la reputazione che voleva, come console e non come leguleio. A Cicerone serviva una crisi, ma non una crisi economica.
Il secondo semestre del suo consolato gli fornì la crisi tanto desiderata, ma Cicerone non lo capì neppure quando il sorteggio gli affidò l’incarico di presiedere le elezioni programmate per il mese di Quintile. E tanto meno afferrò al volo le conseguenze che sarebbero seguite all’interferenza di sua moglie nella sua vita privata poco prima delle elezioni anzidette.
Terenzia era entrata, come sempre, nello studio senza cerimonie, e soprattutto senza alcun riguardo per la santità dei processi mentali del marito.
«Cicerone, smetti ciò che stai facendo, qualunque cosa sia!» gli ingiunse con la consueta asprezza.
Lui posò immediatamente il calamo e alzò gli occhi, ma fu abbastanza abile da non tradire la propria sofferenza creativa. «Sì, mia cara. Di che si tratta?» domandò gentilmente.
Lei si lasciò cadere sulla sedia con aria tetra. Poiché quella era la sua espressione normale, Cicerone non poteva capirne la causa. Sperava con tutto il cuore che non si trattasse di qualche cosa che lui aveva fatto.
«Stamattina ho avuto una visita», lo informò Terenzia.
Cicerone si morse la lingua per non domandarle se l’arrivo di un visitatore le aveva solleticato la fantasia, ma riuscì a controllarsi. Nessuno, tranne sua moglie, aveva il potere di farlo stare zitto. Quindi Cicerone assunse un’aria interessata e attese il seguito.
«Una visita», ripeté lei sbuffando. «Non da una persona della mia cerchia, te lo assicuro, marito mio! Era Fulvia.»
«La moglie di Publio Clodio?» domandò lui stupito.
«No! No! Fulvia Nobiliore.»
Questo chiarimento non diminuì la meraviglia di lui, perché la Fulvia che sua moglie menzionava era decisamente una persona equivoca. Veniva da un’ottima famiglia, ma aveva fatto un cattivo divorzio, non aveva rendite e attualmente era legata a quel Quinto Curio che era stato espulso dal Senato nel corso della famosa purga dei censori sette anni prima. Una visitatrice che Terenzia, famosa per la rettitudine oltre che per il pessimo carattere, avrebbe fatto meglio a non ricevere.
«Santi numi! Che accidente voleva?»
«Per la verità mi è piaciuta abbastanza», disse Terenzia in tono riflessivo. «Non è nulla di più né nulla di meno di una sventurata vittima dei maschi.»
Che risposta dare a quell’affermazione? Cicerone scelse il compromesso ed emise un suono inarticolato.
«È venuta a trovarmi perché è la procedura giusta per una donna, quando desidera parlare a un uomo sposato della tua importanza.»
Soprattutto se è sposato con te, aggiunse mentalmente Cicerone.
«Naturalmente vorrai vederla personalmente, ma io voglio riferirti le informazioni che ha dato a me», aggiunse la gentildonna capace di impietrire Cicerone con uno sguardo. «Risulterebbe che il suo… ehm… protettore Curio si sia comportato in modo strano negli ultimi tempi. Dopo l’espulsione dal Senato, le sue condizioni finanziarie sono state così compromesse che non può nemmeno candidarsi al tribunato della plebe per ritornare alla vita pubblica. Poi all’improvviso si è messa a parlare a vanvera di ritrovare la ricchezza e una posizione elevata. Questo», continuò Terenzia con voce sepolcrale, «sembra derivare dalla sua convinzione che Catilina e Lucio Cassio saranno consoli l’anno prossimo.»
«Dunque, è così che soffia il vento di Catilina? Console insieme a un personaggio grasso e ottuso come Lucio Cassio», disse Cicerone.
«Entrambi presenteranno la propria candidatura domani, quando aprirai il tribunale elettorale.»
«Molto interessante, mia cara, ma non riesco a capire come un consolato congiunto di Catilina e Lucio Cassio possa repentinamente rendere Curio ricco e importante.»
«Curio parla di una cancellazione generale dei debiti.»
Cicerone restò a bocca aperta. «Non saranno così stupidi!»
«Perché no?» commentò Terenzia, esaminando il caso con la massima freddezza. «Rifletti, Cicerone! Catilina sa che, se non viene eletto quest’anno, le sue probabilità sono finite. Sarà una strenua battaglia se tutti gli uomini che pensano di candidarsi lo faranno davvero! Silano sta molto meglio di salute e si candiderà di sicuro, a quanto dice la cara Servilia. Murena è appoggiato da molte persone influenti e, a quanto mi dice la cara Fabia, sta usando al massimo i buoni rapporti con le Vestali tramite Licinia.»
Cicerone corrugò la fronte, dimenticò il terrore che gli ispirava la moglie e le parlò come avrebbe parlato con un collega nel Foro. «Pertanto il programma politico di Catilina è l’annullamento generale dei debiti. È questo che mi hai detto?»
«No, caro. È ciò che Fulvia ha detto a me.»
«Devo vederla subito», esclamò Cicerone balzando in piedi.
«Me ne occupo io. La faccio chiamare», rispose Terenzia.
Ovviamente questo significava che Cicerone non sarebbe stato autorizzato a parlare privatamente con Fulvia Nobiliore. Terenzia intendeva controllare ogni parola e ogni sguardo.
Il guaio fu che Fulvia Nobiliore gli disse poco più di ciò che Terenzia aveva già riferito, limitandosi a esporre la situazione in modo emotivo e confuso. Curio era nei debiti fino al collo, giocava spesso d’azzardo, beveva ancora di più ed era sempre appiccicato a Catilina, a Lucio Cassio e ai loro compari. Una volta, dopo una riunione con quei personaggi, aveva assicurato alla sua amante una grande prosperità futura.
«Perché me lo racconti, Fulvia?» domandò Cicerone, perplesso quanto lei, perché non riusciva a capire per quale motivo fosse così terrorizzata. La cancellazione generale dei debiti era una brutta notizia, però…
«Tu sei il console anziano!» piagnucolò lei battendosi il petto. «Dovevo dirlo a qualcuno
«Il guaio, Fulvia, è che non mi hai dato nemmeno una prova del fatto che Catilina progetti la cancellazione generale dei debiti. Ho bisogno di qualcosa di scritto o di un testimone attendibile. Da te ho solo un racconto, ma io devo presentare al Senato qualcosa di più tangibile della storia riferita da una donna.»
«Però è una brutta cosa, non è vero?» domandò lei asciugandosi gli occhi.
«Sì, è pessima. Tu hai agito molto correttamente venendo a denunciarla. Però ho bisogno di prove», ribadì Cicerone.
«Il massimo che posso darti è un elenco di nomi.»
«Allora dimmeli.»
«Due erano stati centurioni di Silla: Caio Manlio e Publio Furio. Possiedono terre in Etruria. Vanno dicendo alla gente che, se Catilina e Cassio saranno consoli, i debiti cesseranno di esistere.»
«Ma che nesso c’è tra i due centurioni e Catilina?»
«Non lo so!»
Cicerone si alzò sospirando. «Fulvia, ti ringrazio sinceramente di essere venuta da me», disse. «Cerca di capire esattamente che cosa sta accadendo, e torna qui appena scopri delle prove concrete.» Le rivolse il sorriso più platonico possibile. «Continua a informarmi tramite mia moglie.»
Quando Terenzia accompagnò all’uscita la visitatrice, Cicerone tornò a sedersi per meditare. Quel lusso non gli fu concesso a lungo: Terenzia rientrò agitata pochi attimi dopo.
«Che cosa ne pensi?»
«Vorrei saperlo, mia cara.»
«Ti dirò che cosa penso io!» esclamò lei sporgendosi verso il marito. Nulla le piaceva quanto dargli consigli politici. «Credo che Catilina stia progettando una rivoluzione!»
Di nuovo Cicerone restò a bocca spalancata. «Una rivoluzione?» gemette.
«Proprio così.»
«Terenzia, la rivoluzione è cosa molto distante da una campagna elettorale basata sull’annullamento dei debiti!»
«Non è vero, Cicerone. Come possono dei consoli legalmente eletti attuare una misura rivoluzionaria come la cancellazione generale dei debiti? Tu sai benissimo che quello è il punto di partenza per gli uomini che vogliono rovesciare lo stato. Gente come Saturnino e Sertorio. Vuol...

Indice dei contenuti

  1. Le donne di Cesare
  2. Copyright Page
  3. Parte I: Giugno 68 A.C. – Marzo 66 A.C.
  4. Parte II: Marzo 73 A.C. – Quintile (Luglio) 65 A.C.
  5. Parte III: Gennaio 65 A.C. – Quintile (Luglio) 63 A.C.
  6. Parte IV: 1° Gennaio – 5 Dicembre 63 A.C.
  7. Parte V: 5 Dicembre 63 A.C. – Marzo 61 A.C.
  8. Parte VI: Maggio 60 A.C. – Marzo 58 A.C.
  9. Sommario