Osservazioni di uno qualunque
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Osservazioni di uno qualunque

Le opere di Giovannino Guareschi #14

  1. 480 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Osservazioni di uno qualunque

Le opere di Giovannino Guareschi #14

Informazioni su questo libro

Ogni uomo che abbia avuto una fanciullezza porta con sé questo bambino, ma molti uomini non lo sanno perché, da troppo tempo, hanno dimenticato se stessi. Guareschi "Uno qualunque" è sempre lui, Giovannino, che guarda la sua vita nell'arco degli anni. Scanzonato e pieno di sogni, ci racconta la sua giovinezza nella Bassa e la bohème a Parma, poi, marito della ineffabile Margherita e padre di Albertino e della Pasionaria, ci introduce nella sua caotica, strampalata e felice famiglia; a Milano ci fa conoscere le vicende dei suoi giornali, il "Bertoldo" e il "Candido", e i momenti di vita sociale e di lavoro. Infine, ormai maturo, dopo difficili vicende, ritorna nella sua Bassa, dove, camminando fra "distese di biondo frumento spruzzate dal sangue dei papaveri", vive momenti che gli ridaranno il sapore della fanciullezza.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2018
Print ISBN
9788817202589
eBook ISBN
9788858631850
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OSSERVAZIONI di uno qualunque

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FINALMENTE SOLI

Oggi, approfittando della giornata festiva, revisione del motore. — Prima della guerra — ha detto la Signora — con una bustina di bicarbonato andavi una giornata. Ora ce ne vogliono sette e devi fare il pieno ogni tre quarti d’ora. Quarantacinque minuti d’autonomia sono pochi anche per un celibe: tu hai due figli Giovannino, e si impone una radiografia allo stomaco. Ti accompagno io.
E adesso parliamo della signorina Carlotta. Di Albertino ne ho parlato per tre anni, e può bastare. Inoltre non era con noi in quanto una gentile coinquilina aveva accettato di subirlo fino al nostro ritorno.
— Non tema signora, faremo presto. In caso di pericolo chiami pure la Volante.
La signorina Carlotta era invece con noi e così bisogna parlarne. Quando nacque pesava kg 1,500: presentemente ha 26 mesi e pesa molto di più, ma questo, se da una parte mi fa molto piacere, dall’altra mi rattrista. Dirò con maggiore precisione che, mentre nella parte superiore l’orgoglio paterno ne gode, nella parte inferiore le gambe paterne ne soffrono. Non che si tratti di gambe degeneri, ma il fatto è che la signorina Carlotta ha un particolare modo di andare a spasso con suo padre. Essa infatti, appena varcato il portone, sale sul mio piede destro, si aggrappa alla gamba e pretende che io cammini così. Per capire cosa significhi camminare così non occorre avere una figlia, basta possedere una gamba sola.
Dopo venti passi eravamo davanti alla drogheria e la Signora si affacciò dentro la bottega:
— Ecco, signorina, questo è il punto di verde di quel pullover famoso — disse alla droghiera indicandole la mia faccia. E la droghiera rispose che un verde così non le piaceva. Era troppo scuro.
Passando davanti alla macelleria sentii il macellaio dire sottovoce a sua moglie:
— Quello muore davanti al tabaccaio.
— Macché — rispose la donna. — Non vedi che spalle? Quello arriva almeno almeno fino all’edicola.
Davanti al ciclista la signorina Carlotta scese e appiccicò il naso alla vetrina. Ha un debole per le biciclette, davanti a una bicicletta dimentica tutto. Entrai nella bottega.
— Me la tiene in deposito? — domandai al ciclista.
— In deposito cosa?
— La bambina. Pagherò come se fosse una motocicletta. Quando verrò a ritirarla le pagherò anche il premio di liberazione.
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L’uomo rimase un po’ incerto, poi attaccò al collo della signorina Carlotta un numeretto di metallo e mi porse il piastrino corrispondente.
La Carlotta si tuffò in mezzo al mucchio delle biciclette e io uscii. La Signora riconobbe che era stata un’ottima idea e ci avviammo, ma dopo dieci metri arrivò di corsa il ciclista.
— Ecco — disse porgendomi la bambina —questo è l’importo della riparazione. Mi ha già messo a terra una bicicletta: mi ha bucato coi denti tutt’e due le gomme.
Pagai mentre la signorina Carlotta risaliva sul mio piede destro. Però non morii né davanti al tabaccaio né davanti all’edicola. Arrivai quasi completamente vivo fino al piazzale; e qui il buon Dio mi aiutò, perché c’erano i baracconi, e la giostra per i piccolini, quella con le automobiline, i biroccini e le motociclettine. La Carlotta volle salire su una vettura rossa e, alla fine del giro, quando cercai di cavarla fuori si aggrappò coi denti al volante. Così mi misi d’accordo con la padrona della giostra.
— Lei tenga nota dei giri: quando torniamo regolerò il conto.
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Ecco: improvvisamente noi ci trovammo a camminare in una grande strada piena di gente e io mi accorsi che c’era il sole. Da quanto tempo non ci trovavamo a spasso io e la Signora, soli, senza bambini? Cinque anni almeno.
— Mi sembra una cosa — disse la Signora. —Come se fossi scappata di casa.
— Come se fossimo scappati di casa — risposi io. — Proprio così.
Io sono nato nel 1908 ma ho cinquemila anni. Sono pieno di screpolature, di ammaccature, di buchi. Mangio con tre denti, digerisco con un quarto di stomaco, respiro con mezzo polmone, ho la pancia fasciata, sto su a forza di legacce. Ogni tanto mi si rompe qualcosa: un molare, un dito, un’orecchia, un occhio; e vado avanti sempre, come una vecchia Ford. Vado avanti a bicarbonato, a simpamina, ad aspirina e a calci del buon Dio, e così tra bene e male si mangia tutti. Ma in questo modo succede che uno, per sapere quanti anni ha, bisogna che guardi sulla tessera d’identità, e allora neanche si riconosce: "Ma come? Qui figuro celibe, senza baffi e pettinato, mentre adesso ho due figli, i baffi e sono spettinato".
Insomma io mi trovai a camminare in mezzo alla gente assieme alla Signora e mi pareva di essere un clandestino, e ci fermavamo a guardare le vetrine e non sapevo cosa dire, perché anche lei stava lì, muta come un’oca americana. In un caffè suonavano e allora entrammo. Il cameriere voleva portar via la bottiglia del cognac dopo averci riempito due bicchierini come ditali.
— Bicchieri da vermuth, e chi tocca questa bottiglia finisce fulminato — dissi io. E dopo tre o quattro buoni bicchieri il coraggio mi venne e anche lei si lasciò andare. Era una ragazza simpatica piena di spirito e anche di sentimento. Parlammo della nostra città, trovammo un sacco di conoscenze in comune. Disse che una volta, durante una festa di studenti, mi aveva visto ubriaco, che giravo in mutande con una gran barba finta e un cappello da Napoleone in testa. Disse pure che le ero riuscito subito molto interessante, e questo mi fece piacere.
Poi ballammo perché nel caffè si ballava, e quando chiamai il cameriere e quello trovò la bottiglia del cognac vuota, ci guardò con una faccia così stupida che ci fece ridere da pazzi.
Fuori sembrava proprio primavera e girammo alla cieca finché ci trovammo in una stradetta giù di mano. Allora io mi ricordai di una cosa e glielo dissi:
— Conosco un alberghetto tranquillo, qui a due passi. Sono appena le sei...
— Le sei? — gridò la ragazza spaventata. E si mise a correre e io dietro.
Arrivammo in un piazzale dove c’erano tre o quattro baracche con una giostra.
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La signorina Carlotta continuava a girare nella sua vetturetta rossa, ma dormiva placidamente.
— Quanto fa? — domandai alla padrona del trabiccolo.
— Cinquantadue giri, faccia lei.
Quando la signorina Carlotta si svegliò, ci guardò severamente e io e la Signora abbassammo il capo.
— Mamma oca — disse crucciata. A me non disse niente, e io la caricai sulla vecchia Ford delle mie spalle e cigolando mi avviai verso casa.
Improvvisamente lo stomaco mi sembrò pieno di piombo fuso.
— Il cognac! — esclamò atterrita la Signora ricordandosi d’un tratto. — La radiografia!
— Sono sempre le donne che rovinano gli uomini — dissi stringendo i denti. — Ma, campassi mille anni, questa è l’ultima volta che vado con una donna!

GIRO DI BOA

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Questa volta ho voluto fare le cose per bene: ricordavo i tumultuosi ritorni degli altri anni, quando Margherita, carica di figli, di valigie e di stanchezza, entrava in casa e trovava tutto all’aria, come un campo di battaglia, e il bagno zeppo di biancheria sudicia, e il secchiaio pieno di piatti, padellini, pentolini, bicchieri e posate coperti di unto e di polvere, e fondi di caffè e di tè in tutti gli angoli, e i cassetti saccheggiati e i letti ridotti a mucchi di stracci.
E la posta arrivata a Margherita durante la sua assenza in mezzo alla carta straccia, e le bollette della luce e del telefono scadute e arciscadute e ficcate in chi sa quali buchi.
Io, questa volta, ho voluto fare le cose per bene e così, una settimana prima che Margherita ritornasse, chiamai una brava donnetta che mi lavò la biancheria e rimise in sesto ogni altra cosa, mi stirò la biancheria e la ripose nei cassetti. Poi un ragazzotto robusto che, con un ferro lungo quattro metri, disincagliò il condotto della spazzatura che era rimasto bloccato da una valanga di carta, stracci e scatolette vuote. E fu, in complesso, un lavoro duro ma io lo facilitai evitando di guastare il lavoro fatto perché, per una settimana, andai ad alloggiare all’albergo.
Avevo predisposto le cose in modo da liberare preventivamente Margherita dai bagagli e dai figli: così Margherita ritornò dal mare assieme all’autunno e a una sola piccola valigia e, quando entrò in casa, mi trovò correttamente seduto alla tavola di cucina con un giornale davanti, un portacenere a portata di mano e un eccellente paio di ciabatte regolamentari ai piedi. E, per terra, non c’era un atomo di polvere perché mi ero studiato un ingegnoso tipo di portacenere da fissare con un piccolo gancio di fil di ferro a un bottone della giacca in modo da poter fumare anche passeggiando in su e in giù per la casa evitando però di buttare, come succede sempre, la cenere sul pavimento.
— Ciao, Margherita — le dissi sorridendo. —È stato un viaggio faticoso?
— No — rispose senza sorridere Margherita. — È stato un viaggio eccellente.
Si guardò attorno e tutto era pulito e scintillante. Passò col dito sui mobili e non riuscì a racimolare neppure un granello di polvere. Aperse tutti i cassetti e trovò tutto in ordine. Fece lentamente un giro d’ispezione in tutta la casa e, arrivata davanti al suo piccolo scrittoio, trovò sotto un fermacarte le bollette della luce, del gas, del telefono e la ricevuta dell’affitto regolarmente quietanzate e, bene ordinate, trovò le lettere e le cartoline arrivate durante la sua assenza.
Alla fine Margherita mi ha guardato sospirando e con voce piena di tristezza ha sussurrato: —Allora tutto è finito, Giovannino: se tu puoi fare senza di me, io me ne posso andare.
Poi si è avviata lentamente verso la porta ed è uscita. Ma io subito l’ho raggiunta: — Anche io, Margherita, posso fare senza di me.
Siamo usciti assieme. Avevo una gran malinconia nel cuore e, appeso al secondo bottone della giacca, il portacenere speciale che portai in giro per un bel pezzo di strada.
Passeggiammo in silenzio poi ci sedemmo in un piccolo caffè spopolato e continuammo a tacere seduti. Ma finalmente Margherita ritrovò la sua voce:
— Perché hai fatto questo, Giovannino?
— Ho sbagliato, Margherita: non lo farò più.
Ritornammo silenziosi e guardammo passare la gente e io sempre aspettavo che Margherita cominciasse un lungo discorso, ma il discorso non venne e allora io mi volsi verso Margherita:
— Margherita, perché non mi hai domandato cosa ho fatto mentre eri via, con chi sono stato, cos’è il segno che ho qui sulla guancia? Perché, Margherita, non mi hai detto che è inutile che io racconti bugie perché tu hai capito tutto? Perché non hai frugato nel cestino della carta straccia? Perché non hai ripassato accuratamente le tasche dei miei abiti nel guardaroba?
Margherita sollevò il capo e mi guardò preoccupata.
— Non so come sia successo, Giovannino. Mi sono dimenticata. È la prima volta che mi succede. Ricordi, Giovannino, che ti ho chiesto queste cose anche quando sei tornato dalla prigionia, e ho frugato anche nella tua sacca e ho voluto sapere cosa significava quel nome di donna che, con un chiodo, avevi inciso sulla gavetta?
— Ti ho già detto mille volte che non sono stato io: la gavetta l’ho raccattata così conciata in un mucchio di spazzatura, nel cortile della mia caserma, mentre stavano portandomi via. Perché ritornare su questo argomento, Margherita?
Margherita rimase a lungo pensierosa poi scosse il capo.
— Giovannino — sospirò — non è successo niente, ma qualcosa è mutato in noi. Noi non siamo più noi. E se non siamo più noi, chi siamo?
Era oramai sera, e il vento sollevava le tovagliette dei tavolini come se le volesse portar via assieme all’estate e a qualcosa di noi.
E allora ci prese come un’angoscia sottile e ci alzammo e ce ne andammo in fretta, e in fretta camminammo lungo i vi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Nota dei curatori
  4. Il che è bello e istruttivo
  5. Osservazioni di uno qualunque
  6. Corrierino delle Famiglie
  7. Il calore della famiglia
  8. Cronache del cielo e della terra