I trinariciuti dell'"obbedienza cieca, pronta, assoluta" e del "contrordine compagni"; i racconti del "Mondo piccolo" con don Camillo e Peppone; i non dimenticati "Visto da sinistra, visto da destra", "Lettere al Postero" e "Giro d'Italia". Idee e realizzazioni di disegni, vignette, pagine scritte, fi rmati "Giovannino Guareschi", che costituirono gli elementi portanti della sua attività di direttore e animatore di "Candido". Già, "Candido". Ve lo ricordate? Diciamo per i più in là con gli anni. Lo volete vedere, cioè, ne volete un "campione"? Diciamo per le giovani generazioni. Un "distillato" di quelle pagine famose è rappresentato da questo libro, che s'intitola, appunto, Mondo Candido 1946 1948. Carlotta e Alberto Guareschi hanno operato un'oculata scelta di scritti e disegni delle prime tre annate del famoso settimanale nato sulle ceneri di "Bertoldo", per dare un'immagine, per raccontare una pagina di storia d'Italia dell'ultimo dopoguerra, tormentato, avvelenato dallo spirito di fazione, dagli odi di parte, con intolleranza, minacce, paure, morte. Professare valori come libertà, riconciliazione, democrazia non era facile. Però, Guareschi, che nei lunghi mesi passati nei lager nazisti la libertà l'aveva gelosamente conservata nel suo spirito, non ebbe paura. E condusse la battaglia contro il Fronte popolare fino alla vittoria del 18 aprile 1948. Quei tre anni di polemiche di "Candido" costituirono una sorta di "viaggio verso la libertà" che lo scrittore fece compiere ai suoi lettori, dando in prima persona l'esempio di come si debba mantenere alto un ideale e di come lo si possa testimoniare. - Giovanni Lugaresi -
Domande frequenti
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Lo sappiamo: Candido vi delude. Vi pare fiacco, smorto, quasi distaccato dalla vita. Invano avete cercato nelle sue pagine attacchi, polemiche, insulti, accuse, sarcasmo. Gli uomini di Candido sono forse dei sorpassati? Non sanno fare della satira politica? Ecco: noi cerchiamo di fare semplicemente dell’umorismo. Potremmo fare della satira e, crediamo, ci riusciremmo discretamente bene: ma, francamente, non ci va di stare in agguato per buttarci addosso a tutti coloro che in questo travagliato momento tentano di fare qualcosa. Di considerarli a priori nemici per il semplice fatto che hanno un posto di comando. Noi siamo del parere che chi fa sbaglia e che, adesso, l’importante è fare qualcosa. Cercarsi delle grane, non evitarle. Per noi l’unico vero nemico del nostro popolo è la retorica. La retorica ubriaca le masse, di qualunque colore esse siano, e le spinge a ricadere in errori fatali. Retorica, divismo e mancanza di senso umoristico: ecco i nostri più grandi guai. Candido vuole semplicemente aiutarvi a trovare la via dell’umorismo per mettervi in grado di combattere la retorica. Quindi trascura gli uomini e le loro piccole miserie personali e si rivolge solo verso il costume. Si potrà dire che noi non riusciamo a mettere in pratica le nostre idee. Si potrà dire che la nostra voce suona gracile in mezzo a questo vociare. Ad ogni modo l’intenzione è buona. L’inferno è lastricato di buone intenzioni, metteteci pure anche le nostre. Se non altro staranno al caldo.
(C. 1, 5-1-1946)
La Befana
Fino al 1926 l’usanza dei doni ai fanciulli non era conosciuta in Italia, dove c’era stato qualche sporadico tentativo del genere da parte del cosiddetto Babbo Natale che si autoproclamava amico dei fanciulli: era un irriducibile nemico del popolo, e i bimbi d’Italia sempre lo combatterono come il balilla Santi Romeo, di anni sette, figlio del milite confinario Santi Cesare e della massaia rurale Bellarmivi Cesira che nel dicembre 1925 gli resistette da solo per ben tre ore, dando così il tempo di sopraggiungere ad alcuni sansepolcristi.
Istituita dal Duce col discorso di Pesaro, la Befana fascista — al secolo Cicognini Teodolinda, una robusta vecchia della generosa terra di Romagna, conterranea del Duce — instancabilmente si prodigò a favore dei fanciulli del popolo ricoprendoli di tanti doni di quanti il cosiddetto Babbo Natale — inviato al confino — aveva colpevolmente gratificato i figli dei ricchi. Nel 1932, il Duce, magnanimo, restituì la libertà al cosiddetto Babbo Natale che, pentito dei suoi errori, nel 1933 si iscrisse al Partito, e nel 1935 partì volontario per l’Etiopia. Federale di Mantova nel 1938, morì alla vigilia della seconda guerra mondiale invitando gli italiani a combattere contro l’Inghilterra.
Caesar (G. Mosca)
La Befana
La Befana è una conquista del CLN. Nemico dichiarato delle più care tradizioni proletarie, lo sbudellatore di Predappio, dopo avere marciasuromizzato il capodanno, romanizzato il Natale e sansepolcrizzata la primavera, aveva fascistizzato la Befana, facendone uno strumento di demagogia. Irreggimentata nelle baldracchesche schiere dei cosiddetti fasci femminili e costretta a indossare la camicia nera, la Befana, questa originale creazione del genio di Carlo Marx, fu presentata come una provvidenza del regime! E mentre i figli del popolo dovevano accontentarsi delle cianfrusaglie che la pseudo Befana fascista loro distribuiva a suon di tamburo, nella calza appesa ai loro preziosi camini cesellati, i figli del ghepardo di Cremona trovavano le Alfa Romeo a 16 cilindri e le nipotine della petaccesca Dubarry nazifascirepubblichina i pianoforti Berkstein a due code! E il popolo doveva credere, obbedire e... pagare!
Ma, grazie all’energica azione dei CLN, la Befana, strappata alle unghie uterine delle famigerate “visitatrici”, ha riacquistato la libertà e la funzione di un tempo. E oggi, non più fascista, ma Befana democratica, marcia inquadrata nelle granitiche compagini dell’UDI per la strada della vittoria proletaria.
Spartacus (G.G.)
(C. 1, 5-1-1946)
FEDE
Anno IV - N. 1 - 4 Gennaio 1948
Il sistema metrico
Asservito all’egoismo pluto-giudaico, il sistema metrico dell’Italietta giolittiana favoriva enormemente le classi abbienti che in treno o in automobile potevano percorrere senza fatica i chilometri e i miriametri mentre il popolo, costretto a percorrerli a piedi, era sottoposto al più crudele e barbaro dispendio di energie. Si cercava di stancare il proletariato per togliergli la forza di reclamare i suoi diritti.
Avvertendo l’enormità dell’ingiustizia, il Duce abolì il miriametro «ignobile misura indegna di un popolo civile» e introdusse il chilometro popolare: ridotto a una decima parte della distanza normale, permetteva anche ai vecchi e ai malati di coprire senza fatica lunghissime distanze. In occasione del Decennale annullò per le famiglie numerose e per i sansepolcristi la distanza Milano-Roma, dando così agio agli abitanti della città del Fascio primogenito di visitare senza muover passo la Mostra della Rivoluzione.
Generoso e paterno, allungò, su proposta del Federale di Trapani, il passo delle mogli e delle madri dei volontari di Spagna, portandolo da m. 0,75 a m. 1,50, e le passò in rivista sulla via Emilia, compiacendosi del prodigioso allungo delle vecchie popolane che sotto i governi democratici si muovevano a stento, costrette a passi brevissimi.
Caesar (G. Mosca)
Il sistema metrico
Il sistema metrico è una conquista dei CLN. Impastoiato dalla camorra fascista, il sistema metrico era diventato uno strumento della impudica parzialità dello smilzatore di Predappio. E mentre anche i più sviluppati figli del popolo (che in regime di libertà democratica avrebbero passato il metro e ottanta) risultavano col sistema metrico littorio inferiori ai settanta centimetri, il cosiddetto imperatore che ante marcia misurava m. 1,30 fu promosso ai tre metri e ventotto, sicché venne poi chiamato il primo granatiere dell’impero.
Il duce stesso, piccolo e tozzo, nelle parate e durante le adunate oceaniche figurava di sette metri e novanta, mentre la Claretta, detta anche per la sua statura «tappo littorio», raggiunse nei periodi di maggiore splendore i nove metri.
Ma oggi, grazie all’opera del CLN aziendale dell’Istituto De Agostini, il quale provvedeva a rimisurare con prestazioni volontarie il meridiano terrestre e a dividerlo poi per 40 milioni, il metro si avvia a ritornare la misura proletaria. E se oggi il metro arriva soltanto agli 85 centimetri, non è lontano il giorno che arriverà ai cento e li supererà e comincerà l’era nuova e avremo così il metro democratico col quale misureremo il cammino percorso nella strada delle conquiste ideali!
Spartacus (G.G.)
(C. 2, 12-1-1946)
Molti lettori continuano a chiederci perché noi non abbiamo dato all’attuale Candido il nome del nostro vecchio foglio spentosi l’8 settembre. Strana domanda, signori: non vi accorgete come ogni cosa sia radicalmente cambiata in Italia? Per rimanere nel campo della stampa, trovate voi forse tra i giornalisti d’oggi qualcuno dei giornalisti che lavoravano sui fogli del ventennio? Nessuno. Tutti nomi nuovi, gente nuova. Trovate voi forse qualche giornale che assomigli sia pur lontanamente ai giornali usciti durante il ventennio? Nessuno: le stesse linotypes, le stesse rotative, gli stessi caratteri tipografici sono stati cambiati; perfino i giornalai, perfino gli strilloni non sono più quelli. Niente ricorda più i fogli passati: la rivoluzione ha spazzato via ogni cosa, giustiziera inesorabile.
E allora, come si poteva pretendere di essere proprio noi la pietra dello scandalo? Si era pensato dapprincipio di chiamare il nostro giornale «Bertoldo d’informazione» oppure «Il nuovo Bertoldo» oppure «Il Bertoldo degli Italiani»: ma abbiamo pensato che la novità del nome avrebbe potuto disorientare il lettore e allora abbiamo scelto Candido, un nome insignificante che ha il solo difetto di ricordare un po’ il nostro vecchio giornale in quanto finisce in «do» come Bertoldo. Questo è tutto: per la peregrina malinconia di riesumare un vecchio nome non si deve rischiare di compromettere tutta una ciclopica opera di rinnovamento. Al bando i sentimentalismi, e si arrivi fino in fondo. E questa vecchia Italia la si chiami «Italia d’informazione» o «Italia del pomeriggio».
(C. 3, 19-1-1946)
Decadenza di Milano
Postero mio diletto,
io giro per le strade di Milano cercando invano quella città che io un tempo scopersi* e che chiamai «straordinaria».
Ecco il duomo, ecco la Galleria, ecco la stazione con le cinque arcate, il Castello, i grattacieli, i Motta che ti tendono il loro dolce agguato a ogni cantone. Ecco la Rinascente già rinata, ecco la nebbia e la Domenica del Corriere.
La Domenica ha ancora la sua copertina azzurra, le tav...