Il destino si chiama Clotilde
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Il destino si chiama Clotilde

Le opere di Giovannino Guareschi #9

  1. 288 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il destino si chiama Clotilde

Le opere di Giovannino Guareschi #9

Informazioni su questo libro

Non è facile, per un gentiluomo, essere amato da una giovane e bella arcimilionaria. Normalmente sembrerebbe vero il contrario… Ma quando la fanciulla in questione si chiama Clotilde, la sua storia d'amore con l'aristocratico e squattrinato Filimario Dublè diventa un girotondo frenetico di ereditieri che si rifiutano di ereditare, di crociere di lusso, di naufragi, di gambe di legno, di pirati, di commissari di polizia, di furti e di molto, molto amore, che alla fine trionferà, e non senza un certo tornaconto economico. Un libro scritto in uno stile gustosamente parodistico, movimentato e intricato, che ci fa sorridere e divertire oggi come quando fu pubblicato per la prima volta, oltre sessant'anni fa.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2018
Print ISBN
9788817050258
eBook ISBN
9788858631737

I

Sul Delfino - Storia di Filimario Dublè, di un bicchiere d’olio e di una lettera che non era d’amore.

Alle 9 antimeridiane del 14 maggio 1885, il Delfino levava le ancore dal porto di Nevaslippe e prendeva il mare.
Mezz’ora dopo il signor Filimario Dublè udiva bussare discretamente alla porta della sua cabina e questo pur modesto avvenimento provocava nel celebre gentiluomo giustificato compiacimento. Effettivamente già da parecchio il signor Filimario Dublè attendeva che qualcuno bussasse alla porta della sua cabina: per essere più precisi, già da sessanta minuti il signor Filimario Dublè aspettava l’apparizione della signorina Clotilde Troll.
Ed era la cosa più logica che egli potesse aspettare, dopo la singolare lettera ricevuta la sera precedente:

Egregio signore,
Domattina il mio panfilo leverà l’ancora per una breve crociera: alle ore 8,30 vi attendo a bordo. Vorrei mettervi a parte di una curiosa idea sbocciata nel mio cuore già da qualche tempo.
Vi ringrazio. Nel frattempo non rifiutate un piccolo bacio da
CLOTILDE TROLL
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Chi avrebbe avuto il coraggio di rifiutare un bacio di Clotilde Troll, la ragazza più bella, più famosa e più ricca di Nevaslippe?
Soltanto il signor Filimario Dublè — qualora si fosse trovato in condizioni normali — sarebbe stato in grado di rifiutarlo. Anzi, in una determinata occasione, egli l’aveva pure rifiutato. Ma ora, sventuratamente, a causa di quel dannato bicchiere d’olio di ricino, Filimario Dublè si trovava in situazione anormalissima.
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Filimario Dublè, appartenente a ricchissima famiglia di Nevaslippe, era prima di tutto un uomo di carattere e qui aveva preso in parti uguali sia dagli avi paterni che dalla madre Gelsomina. In più aveva ereditato dal padre, signor Tom, tutta quella insofferenza per le cose convenzionali che aveva indotto lo stesso signor Tom a lasciare orfano a pochi mesi Filimario pur di potersi sottrarre — dicevano — alla estrema banalità del respirare.
Considerata la estrema convenzionalità della vita, Filimario si divertì ben poche volte.
Quando aveva diciannove anni ed era ancora ospite dello zio Flip, Filimario, pur avendo a disposizione tutto il danaro dello zio Flip, si annoiava. Ma un giorno trovò una occupazione che sembrò interessarlo molto: lo studio della medicina. Filimario allora studiò con estremo impegno due anni interi, alla fine dei quali si mise a letto gemendo.
Furono convocati i tre più famosi clinici della città e ad essi Filimario descrisse così minuziosamente i suoi disturbi, li localizzò con tutta precisione, e spiegò con tale esattezza le irregolarità che il malessere provocava nelle sue funzioni interne che, alla fine, i tre grandi clinici si guardarono trionfanti e asserirono in coro:
«Questa è la più palese, la più identificata appendicite che mai possa esistere al mondo!».
Poi chiesero di condurre in sala operatoria gli studenti allo scopo di mostrar loro la più classica appendicite della storia medica.
Venuto il giorno dell’operazione, il più celebre dei tre luminari impugnò il bisturi, aperse il ventre a Filimario e sbiancò in volto per la sorpresa. Davanti ai suoi occhi stava il più perfetto e il più robusto intestino del mondo. Di appendicite neppure l’ombra.
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Quella volta Filimario si divertì, ma quanto aveva dovuto faticare per procurarsi un diversivo che uscisse dalla banalità! Era stato costretto a studiare lungo tempo, se volle essere in grado di accusare un malessere inesistente con tanta precisione da trarre in inganno tre luminari della scienza, e lasciarsi aprire il ventre, se aveva voluto ricrearsi ammirando le tre facce più sgomente dell’universo.
Il signor Filimario Dublè si divertì ben poche volte, nella vita. Oseremmo dire che furono soltanto due: la prima quando giocò lo scherzo ai tre luminari, la seconda quando giocò lo scherzo ai cittadini di Temerlotte.
Allora Filimario aveva venticinque anni e un giorno si trasferì sotto mentite spoglie a Temerlotte e affittò un grande negozio del centro. Tappezzò le strade di cartelli, inserì grandi annunci sui giornali e la gente accorse. Ma rimase sbalordita.
Il negozio di Filimario era completamente vuoto. Neppure un chiodino alle pareti; nelle vetrine neppure uno spillo. Sull’insegna, a caratteri di scatola, una sola parola: NIENTE.
La gente rise, pensando a uno scherzo, poi pensò a una trovata pubblicitaria, poi cominciò ad arrabbiarsi. Filimario, ogni mattina, con estrema serietà, faceva alzare le saracinesche, rimaneva imperturbabilmente seduto su uno sgabello — unica mobilia — al centro dell’immenso negozio. Non una parola, non un gesto. La gente era indignata: «Niente!», leggeva ad alta voce, rabbiosamente e sbuffava. Poi, ogni tanto, qualcuno si affacciava.
«Insomma, si può sapere che cosa si vende qui?» urlava a Filimario.
«Niente», rispondeva Filimario con grande dignità.
La faccenda continuò così per tre mesi e la gente si indignava ogni giorno di più.
Finalmente una mattina, un signore corpulento e sanguigno entrò nel negozio e si piantò minaccioso davanti a Filimario.
«Niente?», chiese torvo.
«Sì, niente», rispose inchinandosi Filimario.
«Quanto?», chiese ancora torvo il signore sanguigno.
«Da cinquanta franchi in su», spiegò gentilmente Filimario.
«Datemene per centocinquanta franchi», ordinò l’uomo, digrignando i denti e porgendo del danaro.
Filimario intascò il danaro, poi si soffiò sulla palma aperta.
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«Ecco», disse. «Va bene?».
«Bene», rispose il signore sanguigno sospirando come si fosse liberato di un enorme peso.
Pure quella volta Filimario si divertì: ma anche allora fu una faccenda complicata, faticosa e soprattutto clamorosa. E l’autore non avrebbe certamente ritardato lo svolgimento della vicenda con due episodi facilissimamente reperibili in qualsiasi raccolta di storie nevaslippesi, se essi episodi non fossero tali da illuminare il lettore su quanto riguarda la figura morale del signor Filimario Dublè.
Dagli episodi, infatti, non risalta tanto la eccentricità del nostro celebre gentiluomo quanto la sua singolare fermezza di carattere: ed è appunto quello che più importa perché la causa dell’anormale situazione in cui si trovava il signor Filimario Dublè al tempo da cui si inizia questa narrazione e gli infiniti guai che seguiranno, è appunto da ricercare soltanto nella sua fermezza di carattere.
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Filimario Dublè visse tranquillamente nella fastosa casa di Nevaslippe, assieme alla madre vedova Dublè, fino all’età di sei anni e quindici giorni.
La mattina che Filimario si apprestava ad entrare nel sedicesimo giorno di vita dopo i sei anni, la signora Gelsomina entrò nella sua stanzetta con un bicchiere pieno d’olio di ricino.
«Filimario», disse la signora Gelsomina, «bevi subito, ti farà bene».
«No, mamma», rispose Filimario, «piuttosto che bere questo schifoso intruglio, rimarrò senza mangiare un anno».
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«Sta bene», sentenziò la signora Gelsomina. «Allora mangerai soltanto quando avrai bevuto questo bicchiere d’olio di ricino».
La signora Gelsomina era una donna di carattere e mantenne la promessa: quando Filimario chiedeva cibo, gli mostrava il bicchiere dell’olio di ricino. Filimario resistette tre giorni, poi, riempita coi suoi giocattoli una valigetta, scappò in via Sesseppe, presso lo zio Flip Dublè, che detestava la cognata Gelsomina e adorava il nipotino.
Filimario rimase presso lo zio Flip dai sei ai ventisette anni. Poi disse:
«Zio, bisogna che ritorni a casa, ho fatto un po’ tardi».
Filimario ritornò a casa e bussò alla porta. Venne ad aprire la signora Gelsomina: in ventun anni era invecchiata.
Nella mano destra aveva il bicchiere pieno d’olio di ricino.
«No, mamma», disse Filimario scuotendo il capo.
La signora Gelsomina chiuse la porta e gli comunicò dalla finestra:
«Rientrerai in questa casa quando avrai bevuto l’olio di ricino».
Filimario tentò ancora, con uguale risultato, un paio di volte, rimase seduto davanti alla porta per tre giorni, poi tornò dallo zio Flip.
Visse ancora tre anni con lo zio Flip: poi lo zio Flip morì sorridendo:
«Filimario», gli disse spirando, «io ti benedico. Tu hai rallegrato la mia vecchiaia e mi hai tolto persino il fastidio di fare testamento. Grazie al tuo aiuto io chiudo in perfetto bilancio. Calcolando le spese del medico e del funerale, mi restano due franchi. Sono tuoi: fanne quel che vuoi».
Filimario, condotto lo zio all’ultima dimora, distribuì i due franchi in beneficenza e si trovò sul lastrico. Ma ci rimase pochi giorni: la settimana dopo ricevette un biglietto dal notaio di famiglia: Durante il viaggio a Strepefiet, la vostra signora mamma è morta d’apoplessia. Urge vostra presenza per testamento.
Filimario si presentò al notaio e fu aperto il testamento. Era brevissimo: Lascio ogni cosa a mio figlio Filimario Dublè a condizione che egli beva, in presenza del regio notaio Dik e dei due testimoni da me indicati, il suo bicchiere d’olio di ricino.
Il notaio, letto il documento, chiamò i testimoni e, tratto dalla cassaforte il bicchiere d’olio di ricino, lo porse a Filimario.
Filimario scosse il capo:
«No», disse con voce sommessa ma estremamente decisa. E si avviò verso la porta.
Filimario Dublè era un uomo di carattere, innanzitutto e poi bisogna considerare che, in ventiquattro anni, l’olio di ricino era diventato verde, nel bicchiere, e spesso come olio lubrificante.
«Ad ogni modo», disse il notaio, «quando lo volete è qui». E ripose l’olio nella cassaforte.
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Questo avveniva alle ore 16 del 13 maggio 1885. Alle ore 16,30 il signor Filimario Dublè, compiuto un rapido inventario dei suoi beni, concludeva di poter contare, per il suo avvenire, su cinquanta franchi e su alcuni bauli di abiti elegantissimi. C’era appena di che pagare il conto dell’albergo. Ecco perché, ricevuta alle ore 19 la lettera di Clotilde Troll, Filimario aveva comunicato al cameriere:
«Fate preparare il conto e per domattina alle otto fatemi trovare una vettura che possa condurmi al porto».
La situazione di Filimario non era normale, ecco tutto: in condizioni normali si sarebbe guardato bene dal prendere in considerazione gli inviti sul panfilo e i piccoli baci della signorina Clotilde Troll.
Clotilde, la ricca, eccentrica, tumultuosa Clo che giovani e vecchi di Nevaslippe guardavano con occhi pieni di languore. dal nostro eccellente giovane era sempre stata considerata come una ingombrante ragazza piuttosto antipatica. Ma, in quella particolare situazione, una crociera sul panfilo della signorina Clotilde poteva rappresentare un punto d’appoggio per l’immediato avvenire. Inoltre, da cosa nasce cosa.
Filimario Dublè detestava il matrimonio e un pochino Clotilde Troll: ma fra una ingombrante milionaria e un dannato bicchiere di olio di ricino di ventiquattro anni, Filimario pensava che, forse, era preferibile il matrimonio.
Questo spiega perché, udendo bussare discretamente alla porta della sua cabina, Filimario Dublè fosse singolarmente compiaciuto.
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«Avanti!», disse Filimario Dublè alzandosi e buttando la sigaretta dall’oblò.
Entrò un uomo di grandi proporzioni, con rispettabili baffi neri e con bottoniera dorata sulla giacca turchina. Pur tenendo presente la non comune inclinazione alla eccentricità di Clotilde Troll, non si poteva assolutamente pensare che si trattasse di Clotilde Troll.
Si trattava piuttosto del capitano del panfilo.
«Vi sarei grato se mi seguiste fino alla saletta di poppa», informò l’uomo di mare e Filimario accondiscese con un leggero inclinar del capo in avanti.
Era giu...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il destino si chiama Clotilde
  4. Appendici - Giovannino Guareschi note biografiche