
- 327 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
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eBook - ePub
Quattro amiche e un paio di jeans - 3. Il tempo delle scelte
Informazioni su questo libro
La vita come l'abbiamo conosciuta finora sta finendo. Domani sera inaugureremo il terzo viaggio estivo dei pantaloni. Domani comincia il tempo della vita, quello in cui avremo più bisogno dei pantaloni."
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Informazioni
Print ISBN
9788817041058eBook ISBN
9788858618189Questo “telefono” ha troppe
carenze per essere
considerato un serio mezzo
di comunicazione.
Il meccanismo
per sua stessa natura
non ha alcun valore per noi.
— Comunicazione interna della Western Union, 1867
«Mamma.» Carmen attraversò a grandi passi la camera di sua madre, diretta verso la porta chiusa del bagno. «Ehi, tutto bene lì dentro?»
Era nervosa innanzitutto perché sua madre non era andata a lavorare, spiegando che era indisposta. In più Christina aveva solo mangiucchiato le uova strapazzate che Carmen le aveva preparato per colazione.
Ed era lì dentro da un sacco di tempo. Carmen sentì un gemito, poi più niente.
«Mamma.» Bussò alla porta del bagno. «Va tutto bene?» Sentì il cuore che martellava. Quando sua madre aprì la porta un momento dopo, era pallida.
«Mamma! Cosa succede?»
Perfino le labbra di Christina erano bianche. «Credo… non sono certa…» appoggiò la mano allo stipite della porta per mantenersi in equilibrio. «Credo che si siano rotte le acque.»
«Tu… tu… davvero?» Carmen si sentì dentro uno di quei vecchi film in cui la moglie ha le doglie, solo che in questa versione il marito pasticcione era lei.
«Credo di sì.»
«Questo vuol dire…?»
Christina avvicinò le mani alla sua pancia sferica.
«Non lo so. Non sento contrazioni.»
«È così presto!» gridò Carmen alla pancia di sua madre, come se il bimbo dovesse saperlo. «Dovrebbe nascere fra quattro settimane!»
«Nena, tesoro, lo so.»
«Devo telefonare all’ospedale?»
«Chiamo la mia ostetrica» disse Christina. Andò piano verso il telefono.
«Ti senti… bene?» chiese Carmen, osservando sua madre comporre il numero.
«Mi sento come se stessi… gocciolando.» Christina premette un tasto e attese. Aspettò ancora mentre dal centralino chiamavano l’ostetrica.
Carmen camminò avanti e indietro mentre Christina parlava e ascoltava, in alternanza. Quando appese aveva l’aria spaventata, il che spinse il cuore di Carmen al galoppo.
«Cosa ha detto?»
Gli occhi di Christina erano umidi. «Devo andare all’ospedale per farmi vedere. Se le acque si sono rotte davvero, ho dodici ore per cominciare il travaglio naturalmente, poi m’indurranno il parto. La paura che io prenda un’infezione è maggiore della preoccupazione per il bambino prematuro.»
«Quindi il bambino arriva…»
«Sì. Presto» disse Christina con un filo di voce.
«Dov’è David?» chiese Carmen. Doveva essere quello a cui Christina stava pensando.
«È, ehm… è…» Christina si coprì il viso con le mani. Si sforzava di non piangere, il che aumentò la pena di Carmen. «Sto cercando di pensare… È stato via così tanto tempo. Credo che sia a Trenton, nel New Jersey. Forse è a Philadelphia ora. Non so bene.»
«Lo troveremo!» strillò Carmen, creando ancora più agitazione. «Lo chiameremo!»
«Prima andiamo all’ospedale, d’accordo? L’ostetrica ha detto di andare subito lì.»
Carmen aveva le mani sudate e correva in giro senza scopo. «Hai preso la borsa? Guido io.» In macchina, prese a osservare sua madre con insistenza.
«Nena, tesoro, tieni gli occhi sulla strada. Io sto bene.»
«Hai…» – Carmen non era sicura di quale fosse la giusta terminologia, visto che l’aveva allontanata di proposito per quasi tutta l’estate – «… le doglie?»
Christina teneva le mani sulla pancia, lo sguardo incerto, come se stesse tastando per sentire un messaggio Morse battuto dall’interno. «No. Non credo.»
«Ti fa male da qualche parte?» chiese Carmen.
«Non proprio. Ho la schiena bloccata, ma è solo un fastidio. Non è proprio doloroso.»
Quando furono all’ospedale e Carmen ebbe affidato sua madre a un medico interno per farla visitare nella sala di controllo al piano della maternità, chiamò il cellulare di David. Fu subito collegata alla segreteria vocale, senza nemmeno uno squillo. Non prometteva nulla di buono. Lasciò un messaggio. Voleva informarlo in tono calmo e maturo, ma non appena terminò si rese conto che era parsa più una pazza isterica.
Si zittì alla vista del viso di sua madre, sulla soglia della sala d’attesa.
«Allora?» chiese Carmen con dolcezza, gridando a se stessa, dentro, di stare calma.
«Le acque si sono rotte» disse Christina. Aveva l’aria sconvolta, la voce debole ed era chiaramente spaventata.
«Okay.»
«Però non ho le doglie.»
«È un bene, giusto?»
«Sì.»
«Quindi? Andiamo a casa?»
«Devo stare qui» disse Christina. «Vogliono tenermi d’occhio fino alle otto di stasera. Poi indurranno il parto.»
«Indurre vuol dire…»
«Ti danno delle medicine per farti cominciare il travaglio.»
Carmen annuì con gravità.
«Ma ho detto che non posso farlo finché… non posso avere il bambino finché…» Carmen guardò in pena le lacrime che spuntavano negli occhi di Christina. «Non posso finché David non arriva.» Le lacrime traboccarono e Carmen strinse sua madre in un abbraccio. Christina si lasciò andare e pianse per davvero; Carmen si chiese se le fosse già successo in vita sua.
Christina prendeva sempre il suo ruolo di madre tanto sul serio che non si lasciava quasi mai andare alle lacrime né si mostrava intimorita davanti a lei. Carmen aveva paura, ma al tempo stesso si sentì adulta. Si sentì orgogliosa perché sua madre lasciava che si prendesse cura di lei.
Tenendola stretta, Carmen desiderò, lo desiderò davvero, di essere coraggiosa questa volta.
«Andrò a prendere David» promise Carmen. «Lo troverò e lo porterò a casa in modo che possiate avere il bambino insieme, va bene?»
Carmen si sedette nell’ingresso dell’ospedale e cercò di riflettere. Il momento era inopportuno su quasi tutti i fronti. La nonna di Carmen, la madre di Christina, era ancora a Puerto Rico con la zia. Tutti, compreso David, avevano deciso di impegnarsi a fondo per poter essere liberi quando il bimbo arrivava. Ma il bambino non pareva tenere in grande considerazione i programmi altrui. Carmen stava cominciando a chiedersi se questo bambino dopotutto non avesse alcune cose in comune con la sorella maggiore.
Non voleva lasciare sua madre da sola mentre andava a prendere David. Avrebbe potuto metterci un po’. Sua madre non aveva ancora le doglie, vero, ma chi aveva voglia di rimanere all’ospedale senza nessuno vicino?
La cosa da fare era chiamare una delle persone di cui Carmen si fidava di più. Di queste, Bee era fuori città, e Carmen nutriva qualche perplessità su Tibby e gli ospedali. Chiamò Lena. Lena non rispose al telefono di casa né al cellulare. Non c’era da stupirsi, visto che spesso non portava il cellulare con sé. Non voleva lasciare un altro messaggio da matta. Chiamò Tibby. Per una qualche volontà della sorte, Tibby rispose al primo squillo.
«Puoi venire all’ospedale?» la pregò Carmen con voce lacrimosa. «A mia madre si sono rotte le acque, David è fuori città e devo trovarlo prima che il dottore di mia madre le dia le medicine per mettere in moto il travaglio. Puoi farle compagnia finché non torno?»
«Sì» disse Tibby all’istante. «Arrivo subito.»
«Porta il cellulare, va bene? Ti chiamerò.»
«D’accordo.»
Riattaccarono entrambe.
La telefonata di Carmen giunse poco tempo dopo il risveglio di Tibby. Era stata una lunga notte. È faticoso, dopotutto, stare alzata fino all’alba a fissare un albero, scendere da quell’albero, rimanere chiusa fuori di casa per diverse ore e non andare a letto fin dopo le sette del mattino. Lo è. Provate a chiedere un po’ in giro.
Ed era surreale sedere su una sedia accanto alla madre di Carmen in un letto di ospedale e ascoltare il monitor che emetteva un suono metallico. Lo era ancora di più dopo tre ore e mezza di sonno.
Tibby guardò la montagna che era la pancia di Christina. Ricordava piuttosto bene i parti di sua madre per Nicky e poi Katherine. Aveva tredici anni al primo e quasi quindici al secondo. Non aveva trovato la faccenda affatto divertente, al tempo.
Ma non temere, ricordò a se stessa e, in silenzio, a Christina. Noi alla Tibby Corporation abbiamo una buona politica verso i fratelli minori e i neonati in genere. Ci piacciono e vogliamo che stiano bene. Ammettiamo perfino di amarli, anche se non più del necessario.
«Come ti senti?» chiese Tibby. In qualche modo sentiva di non essere la persona migliore in quel ruolo, per quanto tenesse a Christina.
«Abbastanza bene» disse Christina, con la bocca tesa. Aveva lo sguardo confuso.
«Sei sicura?» All’improvviso Christina era piegata in due.
«Credo di sì» disse Christina con coraggio, stringendo le mascelle.
Tibby balzò in piedi e si spostò, nervosa.
«Devo… chiamare l’ostetrica, dici?»
«No-non lo so…»
Christina non riusciva a parlare, perciò Tibby capì che doveva chiamare l’ostetrica.
L’ostetrica, il suo nome era Lauren, stava compilando alcuni documenti nel posto assegnato alle infermiere. «Ehm, Lauren? Christina forse ha qualche problema.»
Lauren alzò lo sguardo. «Che tipo di problema?»
Tibby levò le palme verso il cielo. Non era un dottore. Non era un’infermiera. Non era una madre né un marito. Non poteva nemmeno ancora votare. «Non lo so» disse.
Lauren la seguì nella stanza di Christina. «Sente le contrazioni?» chiese a Christina.
Christina si mise a sedere tenendosi la pancia. «Non sono sicura.»
Lauren guardò la carta che si svolgeva fuori dal monitor. «Lei, mia cara, ha le contrazioni.»
«Ma non sono in travaglio» disse Christina, a metà tra un’affermazione e una domanda.
«Direi che ha cominciato il travaglio.»
«È troppo presto» disse Christina. I suoi occhi non mettevano bene a fuoco. «Credevo che stasera…»
«Stasera le avremmo indotto il parto se non avesse cominciato il travaglio da sola. Il travaglio sta cominciando in modo naturale, a quanto vedo.»
«Ma David e…» Christina chiuse gli occhi e posò il mento sul petto.
«Un’altra, vero?» disse Lauren. «Sta prendendo il ritmo: ogni sette minuti circa. Mi faccia controllare il collo dell’utero, d’accordo? Si stenda e apra le gambe.»
A Tibby non piaceva il suono di quelle parole. Si avviò con leggerezza verso la porta.
Laure...
Indice dei contenuti
- Cover
- BUR
- Frontespizio
- Dedica
- Ringraziamenti
- Prologo: In estate la canzone si canta da sé.
- Capitolo: Dopo, per il tuo piacere, l’universo esploderà.
- Capitolo: Qualcuno mi ha già spezzato il cuore.
- Capitolo: Dove c’è grande amore, ci sono sempre desideri.
- Capitolo: Un giorno qualcuno ti farà una domanda a cui dovrai rispondere sì.
- Capitolo: Non c’è bisogno che io stia attento, ho la pistola!
- Capitolo: Le possibilità che tu venga colpito da un fulmine crescono se stai sotto un albero, scuoti il pugno verso il cielo e dici: “I temporali fanno schifo!”
- Capitolo: Ècome chiedere: quanto potrebbe essere più nero? E la risposta è: non potrebbe. Non potrebbe essere più nero.
- Capitolo: Ci sono tante cose che butteremmo via se non avessimo paura che altri le raccolgano.
- Capitolo: Dal punto di vista aerodinamico il calabrone non dovrebbe essere in grado di volare, mail calabrone non lo sa, perciò continua a volare comunque.
- Capitolo: Tocca il punto una volta. Poi torna e toccalo ancora. Poi toccalo una terza volta: un colpo tremendo.
- Capitolo: Patrick: Sono matto. SpongeBob: Che succede, Patrick? Patrick: Non riesco a vedermi la fronte.
- Capitolo: Dio è sottile, ma non malizioso.
- Capitolo: Posso offrirti un drink o devo solo darti i soldi?
- Capitolo: Mostrami una ragazza con i piedi ben piantati a terra e ti mostrerò una ragazza che non riesce a infilarsi i pantaloni.
- Capitolo: Le melodie ascoltate sono dolci, ma quelle inascoltate sono più dolci: perciò suonate, voi morbide canne.
- Capitolo: Avremmo dovuto restare a casa e pensare a qui?
- Capitolo: È la solita vecchia storia. Ragazzo trova ragazza, ragazzo perde ragazza, ragazza trova ragazzo, ragazzo dimentica ragazza, ragazzo ricorda ragazza, ragazza muore in un tragico incidente in dirigibile sopra lo stadio dell’Orange Bowl a Capodanno.
- Capitolo: Non farmi domande in questo momento. Sono irritata e probabilmente ti prenderei in giro.
- Capitolo: Per l’uomo che ha solo un martello nella cassetta degli attrezzi, ogni problema somiglia a un chiodo.
- Capitolo: Scuotilo un po’ finché non si apre.
- Capitolo: C’era quella legge della vita, così crudele e così giusta, per la quale si doveva crescere o altrimenti pagare un prezzo più alto per rimanere uguali.
- Capitolo: Questo “telefono” ha troppe carenze per essere considerato un serio mezzo di comunicazione. Il meccanismo per sua stessa natura non ha alcun valore per noi.
- Capitolo: Naturalmente lo trovò nell’ultimo posto in cui cercò. Se non l’avesse trovato, lo starebbe ancora cercando.
- Capitolo: Siamo nati credendo. Un uomo porta credenze, come un albero porta le mele.
- Capitolo: Amare un’altra persona è vedere il volto di Dio.
- Capitolo: Non ho più la scarpa Ho il piede gelato Ho un uccellino L’ho accarezzato.
- Capitolo: Ho solo bisogno della tua stella per un giorno.
- Capitolo: Ho dentro di me desideri immortali.
- Capitolo: A modo mio ho cercato di essere libero.
- Capitolo: Seguendo la luce del sole, abbiamo abbandonato il vecchio Mondo.
- Epilogo: Sto tornando all’ inizio.