The fighter
eBook - ePub

The fighter

Nato per combattere

  1. 410 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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The fighter

Nato per combattere

Informazioni su questo libro

La discesa agli inferi di un ex eroe del pugilato che, dimenticando talento e carriera, si abbandona alla droga e al crimine. La lotta di un giovane operaio, cresciuto nella venerazione del fratellastro maggiore, e il suo tentativo di farsi strada nel mondo della boxe. Quelle di Dickie e Micky sono strade divergenti che a un certo punto tornano a incrociarsi. Separati dalle alterne vicende di una vita tutt'altro che generosa, i due fratelli non si arrendono e uniscono le forze per conquistare il titolo che per entrambi è rimasto troppo a lungo un sogno proibito. Il combattimento non sarà solo sul ring, ma soprattutto fuori, contro pregiudizi, pronostici sfavorevoli, sfortuna. Lavorando nelle condizioni più difficili, lotteranno per rimettere insieme una famiglia distrutta, riscattare un passato di errori e restituire a una comunità sbandata ciò che da troppo tempo le manca: l'orgoglio e la fiducia nei propri ragazzi. La storia vera di Micky Ward e Dickie Eklund, una parabola di sofferenza e redenzione che ha ispirato il film The Fighter, con Mark Wahlberg, Christian Bale, Melissa Leo e Amy Adams

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
Print ISBN
9788817050364
eBook ISBN
9788858618097

1

Una decina di pance strusciano contro il bancone del bar. Whisky e birra per un gruppetto di uomini. Sono le nove di mattina, l’ora giusta per farsi una bevuta. All’Highland Tap è così da quasi trent’anni, e se le cose continuassero allo stesso modo per altri trenta a quegli uomini andrebbe benissimo.
Il Tap era il posto dove cercare conforto. Era buio e tranquillo, le facce familiari come le conversazioni. Niente fronzoli, al Tap, solo una manciata di tavolini e sgabelli di legno sufficienti a circondare un piccolo bancone ovale. Al muro erano appese foto di pugili, campioni locali le cui immagini riempivano gli avventori di orgoglio campanilistico. Se crescevi a Lowell, eri un duro: era Lowell a renderti così. In certi periodi, Lowell era stato un buon posto per mettere su famiglia. Ma per il resto del tempo era un buon posto per attaccare briga. La maggior parte dei frequentatori dell’Highland Tap aveva fatto entrambe le cose.
«Una volta questa era una città tosta» dice un uomo a nessuno in particolare. A parlare è Manny Freitas, e la sua foto è appesa al muro a pochi centimetri da lui. L’immagine risale a una trentina d’anni prima, quando Freitas riusciva ancora a mettere insieme qualche dollaro combattendo in incontri minori nel New England, da Providence a Portland.
Freitas ha avuto il privilegio di essere messo al tappeto al primo round dal grande Marvin Hagler a Portland, Maine, nel 1973, quando Hagler era all’inizio della carriera e Freitas al tramonto. Manny ricorda con modestia: «L’avevo visto nei dilettanti, perciò sapevo che era bravo, ma mi lasciò di stucco con la velocità del braccio. Non li vedevo nemmeno arrivare, i pugni». Quella sera Hagler avrebbe dovuto incontrare una schiappa di nome Curtis Phillips, ma Freitas lo rimpiazzò all’ultimo minuto; non è il tipo da vantarsi delle sue doti come pugile, anzi, non si è mai considerato un vero pugile. Non si allenava mai. Era solo un tizio che aveva combattuto un sacco di volte. In uno di questi incontri affrontò un uomo con il machete, e fu spedito in galera al Massachusetts Correctional Institute di Concorde, con qualche anno aggiuntivo in un programma di reinserimento a Lancaster. Sperava di aprire una palestra di boxe insieme a suo fratello, e invece lavora dietro al banco di un negozio di alcolici sulla strada. È un lavoro come un altro, e stamattina Manny non ha nessuna fretta di andarci.
Freitas ha terminato la sua carriera nel pugilato con un record di venti vittorie, ventisette sconfitte e due pareggi. Oltre a perdere con Hagler, il suo successo più grande nella boxe forse è stato quando ha rotto la mascella a Tommy Dragon, a Providence. Probabilmente il pugno migliore che ha mai sferrato rimanendo entro i limiti della legge.
Freitas ispira rispetto, perché qui un uomo il rispetto se lo guadagna semplicemente salendo sul ring.
«È ancora una città tosta» sente dire Freitas dall’altra parte del bar. Pensa a qualcuno dei ragazzi di Lowell che, come lui, si erano presi regolarmente una scarica di botte per tirar su qualche soldo.
C’era Roy «Baby Face» Andrews, che si giocò il titolo mondiale dei pesi piuma contro Willie Pep, a Boston, nel 1950. Andrews fu sconfitto da uno che quella sera era salito sul ring con un record di centoquarantacinque a due.
C’era Blonde Tiger, che negli anni Trenta e Quaranta perse più di cento dei suoi centocinquantacinque incontri da professionista.
C’era Jim Mulligan «l’Irlandese», il peso massimo leggero che non si ritirò finché non ebbe perso quindici dei suoi ultimi diciotto combattimenti.
E ce n’erano tanti altri, compresi alcuni che avevano raggiunto vari gradi di successo, come Larry Carney e Beau Jaynes «l’Irlandese». Carney era un ex campione dei pesi medi e dei pesi massimi leggeri del New England. Resistette più a lungo di un sacco di ragazzi tosti di Lowell, ma, come molti di loro, fu sconfitto dall’alcol. Carney morì a cinquantotto anni, il giorno di Capodanno del 1992, cadendo da una rampa di scale e spaccandosi la testa.
Jaynes è stato l’unico uomo nella storia a detenere cinque titoli del New England contemporaneamente. È stato campione dei pesi piuma, dei leggeri junior, dei leggeri, dei superleggeri e dei welter, perdendo e riguadagnando peso a ogni incontro per il titolo. Era cresciuto nell’Acre, la parte più dura di Lowell. Aveva otto anni il giorno che, tornato da scuola, sentì suo padre dire: «È ora che impari a combattere. Domani sali sul ring».
Era il 1955, e sul ring Jaynes ci rimase per i venticinque anni successivi. Iniziò a combattere nella CYO dell’Immacolata Concezione e nel Silver Mittens, passò al Golden Gloves e tenne alta la guardia finché non lo misero al tappeto. Per arrivarci gli ci erano voluti centosessanta incontri da dilettante e novantacinque da professionista, comprese quarantatré sconfitte da professionista, e poi si era fermato lì, a Lowell. Aveva sposato Donna Eklund, una ragazza carina che veniva da una famiglia numerosa di Lowell, e aveva iniziato a lavorare per il dipartimento dei lavori pubblici di Lowell una trentina d’anni prima. Caso strano, anche Carney sposò una della famiglia Eklund: accalappiò Gail, quella che chiamavano «Red Dog», la rossa con i capelli lunghi. Senza quei matrimoni i cognati di Carney e di Jaynes, Micky Ward e Dickie Eklund, forse non avrebbero mai iniziato a combattere sul ring, e molte vite sarebbero state diverse.
«Non è più così tosta come una volta» dice Freitas a se stesso e a chiunque abbia voglia di ascoltarlo. «I ragazzini qui intorno sapevano com’era mollare un pugno e cosa significava prenderne uno sulla mascella. Sceglievano la boxe al posto della droga. Adesso le palestre sono vuote e in qualsiasi direzione tu sputi colpisci qualcuno pronto a venderti quello schifo.»
Cleo Surprenant, proprietario e barista dell’Highland Tap, ascolta le parole di Freitas e annuisce. Cleo, capelli bianchi, magro, camicia rossa abbottonata fino al collo, ha la caratteristica faccia di molti abitanti del New England, amichevole e sciupata. Sa che negli ultimi anni l’orgoglio di Lowell ha subito qualche batosta, perché la città non ha prodotto nessun pugile di qualche rilievo. Anzi, la West End Gym in Middlesex Street, che aveva aperto nel 1970 ed esponeva cartelli del tipo: PIÙ SUDI, MENO SANGUINI, si stava guadagnando la reputazione di palestra per opponent. Significava che i pugili provenienti da altri parti dello stato, come Brockton o Southie, andavano lì a cercare ragazzi che non avevano molte possibilità di vittoria. Gli opponent erano solo dei pugili dilettanti. Gli altri ragazzi erano i contender, i pugili veri. I ragazzi di Lowell salivano i gradini di legno per la palestra polverosa con due ring di Art Ramalho, al secondo piano di una fabbrica tessile abbandonata, e si allenavano in solitudine.
Ma ogni tanto a Lowell nasceva una speranza. La gente aveva pensato per un attimo che Jackie Morrell potesse diventare un pugile vero. All’inizio degli anni Ottanta era una delle migliori promesse della West End Gym, ma dopo aver perso gli ultimi otto incontri aveva cominciato a temere di finire come Ding Dong, il vecchio pugile suonato dai pugni e scioccato dalle bombe nelle varie guerre americane. I ragazzini di Lowell deridevano il vecchio dal finestrino dello scuolabus, gridandogli: «Ding Dong!» tutte le volte che lo vedevano. Ding Dong correva dietro al bus e lo colpiva con i pugni fino a farsi sanguinare le nocche. Altri ragazzini gli tiravano i petardi. Lui si girava e li inseguiva. La storia era andata avanti per anni. Non era quello il futuro che Morrell sognava: aveva appeso i guantoni al chiodo e aveva passato il suo punching-ball al ragazzo che dopo di lui credeva di essere abbastanza tosto da scavalcare le corde e risalire la classifica. Ma erano anni che quel ragazzo non si faceva vedere.
L’epoca in cui erano usciti trentacinque pugili professionisti dalla West End Gym era passata da tempo. Morrell aveva abbandonato subito dopo essere stato messo knock-out da Kevin Rooney e da Marlon Starling. Un altro ragazzo di Lowell, un peso massimo di nome Don Halpin, aveva combattuto contro uomini grandi e grossi dal nome famoso, come Mike Tyson, Jimmy Young, Tex Cobb e Tony Tubbs, ma le aveva prese da tutti. Per la precisione, aveva perso ventitré dei trentadue incontri da professionista, finendo al tappeto per quattordici volte. Faceva la guardia carceraria al riformatorio di Concord, e per lui gli incontri erano un’attività secondaria, per guadagnarsi cinquecento dollari senza troppi problemi.
Morrell faceva altrettanto. Il suo vero lavoro era posare binari per la compagnia ferroviaria Boston and Maine, ma non scorderà mai il giorno in cui ricevette la telefonata del proprietario e istruttore della West End, Art Ramalho. Ramalho, che aveva allenato suo figlio David per il titolo di campione dei pesi piuma del New England, era conosciuto come «Lowell Connection» perché per trent’anni aveva fornito pugili di Lowell. Se per un evento servivano quattro pugili, lui ne consegnava quattro. In genere perdevano, ma i promoter sapevano di poter contare su di lui per avere pugili combattivi e coraggiosi.
Così, quando Marlon Starling, il giovane peso welter emergente di Hartford, Connecticut, fu ingaggiato per la sua prima apparizione al Madison Square Garden e il suo avversario rinunciò a ventiquattr’ore dall’incontro, Ramalho telefonò per chiedere a Morrell. Morrell, senza essersi allenato, accettò l’ingaggio per quattrocento dollari, e fu sconfitto in due round. Quando riprese conoscenza, diede a Ramalho la sua parte (un terzo) e col resto si comprò una Corvette del 1982.
Ma Morrell e Halpin avevano smesso di combattere negli anni Ottanta, insieme ad altri promettenti ragazzi della West End: Roberto Colon, Ricky Camaro e Tom Ignacio. Alla fine dovettero cedere tutti per colpa degli infortuni, dei limiti tecnici o delle difficoltà della vita.
«Qui non abbiamo pugili veri» spiegava Morrell. «Quelli che sono convinti di esserlo vanno alla palestra di Marvin Hagler, a Brockton.»
In effetti quando i fratelli Petronelli, Goodie e Pat, avevano aperto la loro palestra, le file della West End erano state decimate. L’ultimo pugile di Lowell con qualche possibilità concreta è stato Micky Ward, il cognato di Beau Jaynes e di Larry Carney, ma si è ritirato nel 1991. Tre anni fa.
«Hai sentito che Micky vuole tornare?» chiede Cleo.
«Micky Ward?»
«Sì, Micky vuole tornare.»
«Non se n’è mai andato. L’ho sempre visto qui, che asfaltava le strade.»
«Non volevo dire che torna a Lowell. Vuol ritornare... a combattere!»
Freitas non ne era sorpreso. Lui aveva tentato la sua sfortunata rentrée nove anni dopo essersi ritirato, solo per finire di nuovo al tappeto al primo round.
«Sì, ho sentito che quel poliziotto, Mickey O’Keefe, ce l’ha nella sua palestra e che stanno cercando di trovargli un ingaggio da qualche parte» dice Cleo mentre spilla un’altra birra.
Freitas conosce O’Keefe. Erano amici, tanto amici che quando Freitas si allenava per un incontro si serviva di O’Keefe come sparring partner. E quando O’Keefe gli aveva aperto in due l’occhio durante una seduta di allenamento, Freitas non gli aveva serbato rancore. La loro amicizia aveva resistito anche quando Freitas era stato ospite nel carcere di Billerica, dove O’Keefe faceva il secondino.
Freitas ricorda ancora il giorno in cui O’Keefe stava chiudendo la stanza dei pesi, da solo. In quel momento c’erano quattro uomini: O’Keefe e tre detenuti: Freitas, Joey Andel e Eddie Fielding. Freitas era rimasto a guardare mentre Eddie e Joey si avvicinavano a O’Keefe per cercare di convincerlo a ogni costo a lasciare aperto ancora per un po’.
Fu Joey a cominciare. «Vaffanculo, testa di cazzo! Noi non ce ne andiamo!»
O’Keefe, sapendo che il suo lavoro, e di conseguenza la sua vita, dipendeva da come si destreggiava in situazioni del genere, non cedette. Fu Eddie a ...

Indice dei contenuti

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  3. frontespizio
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  5. 2
  6. 3
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  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
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  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
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