
- 283 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
3 salici
Informazioni su questo libro
Avevano messo in discussione la loro amicizia. Erano andate per mari e monti alla ricerca di un segno. E per tutto il tempo gli alberi erano stati con loro. Non si potevano indossare. Non si potevano prestare. Non erano un oggetto alla moda. Però avevano radici. Vivevano.
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Informazioni
Print ISBN
9788817050029eBook ISBN
97888586203803 SALICI
A Nancy Easton,
con affetto e gratitudine
per la nostra amicizia
attraverso molti bambini,
molti libri, e molte miglia.
Grazie per aver ascoltato
i miei pensieri sugli alberi.
E ai miei 3 amori,
Sam, Nate e Susannah.
Ringraziamenti
Ringrazio ancora una volta la mia salda sorellanza editoriale: Jennifer Rudolph Walsh, Beverly Horowitz e Wendy Loggia.
Ringrazio i miei eccellenti colleghi e amici di Random House Children’s Books: Chip Gibson, Joan De-Mayo, Marci Senders, Isabel Warren-Lynch, Noreen Marchisi, Judith Haut, John Adamo, Rachel Feld e Tim Terhune.
Come sempre, ringrazio con amore mio marito, Jacob Collins, i miei figli, Sam, Nate e Susannah, e i miei genitori, Jane e Bill Brashares.
Il più piccolo germoglio mostra
che niente muore mai davvero.
Walt Whitman
“Il canto di me stesso”
Sono straordinarie
la forza e la tenacia
con cui le radici del salice
sono attaccate alla vita.
Capitolo uno
L’ultimo giorno di scuola era a orario ridotto. L’indomani tutte le terze si sarebbero radunate in palestra per la cerimonia del diploma, che durava soltanto un’ora, e prevedeva la presenza delle famiglie. Il ritorno a scuola di Ama sarebbe stato alle superiori.
Sta cambiando tutto, pensò Ama.
Di solito tornava a casa in autobus, quel giorno però le andava di camminare, non sapeva bene perché. Non era una sentimentale. Era determinata e lungimirante, come sua sorella maggiore. Ma non aveva nulla in programma e non si stava portando dietro i soliti dieci chili di libri, raccoglitori e quaderni. Quel giorno voleva ripercorrere la strada che aveva fatto molte volte quando era più piccola, quando non aveva mai fretta.
Mentre camminava, continuava a pensare a Polly e a Jo, così quando se le ritrovò davanti, ferme al semaforo pedonale dell’East-West Highway, le sembrò che si fossero materializzate dai suoi ricordi.
Ama era sorpresa di vedere Polly e Jo insieme. Da quella distanza, la colpì la naturalezza con cui stavano vicine e, allo stesso tempo, la tensione. Di certo non erano partite insieme da scuola. Negli ultimi tempi Jo usciva con un gruppo di amici chiassosi e festaioli e andava con loro al Tastee Diner o al chiosco di bagel dietro l’angolo. Polly se ne restava per conto suo; per raccogliere la sua roba perdeva un’infinità di tempo e spesso prima di tornare a casa passava dalla biblioteca. A volte lei e Ama si incontravano e per abitudine si sedevano vicine. Ma, a differenza di Ama, Polly non andava in biblioteca per fare i compiti. Polly leggeva tutti i libri che c’erano, tranne quelli che le venivano assegnati.
Mentre si avvicinava, Ama si rese conto che Jo era molto cambiata rispetto alle scuole elementari. Non aveva più l’apparecchio, non portava gli occhiali e seguiva con devozione qualsiasi tendenza della moda – al momento pantaloncini a scacchi color pastello e capelli raccolti in due trecce. Invece Polly, osservò Ama, con i suoi pantaloncini logori e il berretto scuro da ragazzino che vende i giornali, era la stessa di sempre.
«Ama! Ehi!» Polly la vide per prima. Sventolava la mano in modo eccitato. Il semaforo diede via libera ai pedoni e Ama si affrettò a raggiungerle per poter attraversare la strada con loro.
«Non posso credere che sei qui» disse Polly, guardando prima Ama poi Jo. « È un evento storico.»
«È di strada per lei» puntualizzò Jo, che non sembrava volesse riconoscere l’importanza di ritrovarsi tutte e tre insieme proprio quel giorno.
Ama capiva come si sentiva Jo. La storia della loro amicizia era come uno stagno stracolmo e volubile, ricoperto da un sottile strato di ghiaccio, e lei non voleva rischiare di scalfirlo.
Mentre camminavano parlarono degli esami finali e dei loro piani futuri. Nessuno aprì bocca quando passarono accanto al 7-Eleven e neppure quando si avvicinarono alla vecchia curva.
E se svoltassimo? si chiese Ama all’improvviso. E se corressero giù per la vecchia collina, superassero il parco giochi ed entrassero nel bosco per vedere gli alberelli che avevano piantato tanto tempo prima? E se si prendessero per mano e corressero velocissime?
Invece tutte e tre sorpassarono la vecchia curva, teste e occhi puntati diritto davanti a sé. Soltanto Polly sembrò guardare indietro per un attimo.
Comunque, anche se avessero preso quella curva, Ama sapeva che non sarebbe stato lo stesso. La giostra cigolante di metallo era di sicuro arrugginita. Le altalene abbandonate a loro stesse. E gli alberi di sicuro non c’erano più. Era passato così tanto tempo da quando li avevano piantati.
Ama ripensò a se stessa da piccola mentre correva giù per la collina insieme alle sue due migliori amiche, euforiche e incontrollabili.
Adesso era diverso. La gente cambiava e i posti cambiavano. Stavano per andare alle superiori. Non era più tempo di guardarsi indietro. Ama non riusciva neppure a ricordarsi com’erano fatti gli alberi. Non riusciva più a ricordare il nome della collina.
Polly
Quando penso al primo giorno della nostra amicizia, rivedo noi tre che corriamo per la East-West Highway con lo zaino sulle spalle e i vasi in mano. Penso a Jo che fa cadere la pianta in mezzo alla strada e a tutte e tre che ci fermiamo di colpo e vediamo il piccolo stelo poggiato di lato, le radici in bella vista e la terra sparsa sull’asfalto. Ricordo noi tre che ci abbassiamo per rimettere la pianta nel vaso, ricacciando in fretta e furia le radici sotto la terra mentre il semaforo pedonale passa da “avanti” ad “alt”. Mi ricordo Ama che grida di sbrigarci e io che vedo da sopra la mia spalla le macchine riversarsi dalla collina verso di noi. Mi ricordo la sensazione dell’asfalto ruvido che sfrega sotto le dita mentre spazzo le ultime briciole di terra e le nocche che mi bruciano mentre cerco di raccoglierle nel pugno. Credo che sia stata Jo ad afferrarmi per il braccio e a spingermi verso il marciapiede. E ricordo il suono netto e allungato dei clacson diventare sempre più forte.
Ama
Ci siamo conosciute il primo giorno della terza perché, tra tutti i 132 bambini del nostro anno, eravamo le uniche tre che nessuno era venuto a prendere. Io ero terrorizzata perché non era mai successo che mia madre non venisse a prendermi a scuola. Non era neppure mai arrivata in ritardo.
All’inizio non parlavamo. Ero imbarazzata e impaurita ma non volevo farlo vedere. Ci misero nella stanza di recupero di matematica con le pareti trasparenti. Guardavamo fuori come se fossimo allo zoo, aspettando che arrivassero i nostri genitori.
Era il giorno in cui a lezione di scienze avevano distribuito i vasi di plastica con i piccoli salici. Dovevamo prenderci cura di loro e studiarli per tutto l’anno. Mi ricordo che ognuna di noi era seduta a uno dei banchi con la pianta davanti a sé. Polly continuava a infilarci le dita per controllare che la terra non fosse troppo secca. Canticchiava a bocca chiusa.
Jo piazzò i piedi sul banco e si abbandonò indietro. Disse che probabilmente la sua pianta non sarebbe durata una settimana. Non potevo credere che a quelle due il fatto di essere state lasciate a scuola non facesse né caldo né freddo. Io stavo andando fuori di testa, ma più tardi scoprii che mia madre quel giorno aveva avuto un ottimo motivo per non presentarsi.
Jo
Immagino sia stata un’idea mia quella di scappare insieme da scuola. Stavamo aspettando i nostri genitori più o meno da un’ora e mezza ed eravamo annoiate e affamate. Soprattutto io. Ci avevano fatto sedere fuori dall’ufficio del preside e quindi ci sentivamo come se aspettassimo una punizione. Ms. Lorenz, la vicepreside, cercava di rintracciare i nostri genitori, mentre tutti gli altri insegnanti erano tornati a casa.
Ama doveva andare in bagno, così io e Polly l’abbiamo accompagnata. Avevamo iniziato a curiosare dentro le classi vuote e a sederci sopra i tavoli della mensa. Era piuttosto divertente girare per la scuola vuota, con le luci spente. Mentre passavamo accanto alla porta sul retro sfidai Ama e Polly a uscire e loro, con mio enorme stupore, lo fecero. Così ci trovammo fuori dalla scuola. Non avevamo intenzione di andarcene ma, una volta fatto, io non me la sentivo di tornare indietro. La libertà è una strada a senso unico e noi l’avevamo imboccata.
«Andiamo» dissi. Mi sentivo come d’estate e conoscevo la strada per tornare a casa.
Ama era l’unica che esitava.
«Ti porteremo a casa» le promise Polly.
Passammo attraverso i vicoli per arrivare da 7-Eleven. Nello zaino avevo una banconota da venti dollari che serviva per le emergenze, così ci rimpinzammo di Slurpee blu, patatine Cheetos e cioccolata Butterfingers. Poi iniziò a piovere, a diluviare. Così ci sedemmo in vetrina a guardare il vapore sollevarsi nel parcheggio e il cielo scurirsi quasi come se fosse notte. Volevamo giocare a Dragon Slayer, il gioco ambientato nell’antica Arcadia che avevano lì, ma era chiuso con lo scotch giallo.
L’aria era fresca e scintillante quando andammo via. Per tornare a casa attraversammo l’East-West Highway. Mi ricordo che correvamo con le piante in mano. La pianta è una di quelle cose che non puoi ficcare nello zaino. Mi ricordo che mentre correvo il piccolo germoglio si piegava e tremava. Per poco non ci investivano quando lo feci cadere in mezzo alla strada.
La prima che portammo a casa fu Ama. La accompagnammo fin dentro, dove suo padre stava chiamando disperatamente la scuola. Lì siamo venute a sapere di suo fratello Bob, che era nato quel pomeriggio.
Mentre accompagnavo Polly, lei camminava con piccoli saltelli, come fa sempre quando è felice. Davanti alla porta disse che sua madre non era in casa ma che non era un problema. Disse che quando sua madre era nel suo studio spesso perdeva la cognizione del tempo. Per la prima volta, sulla veranda, vidi le sculture di Dia: enormi alberi invernali spogli fatti con orologi da polso rotti e vecchi cellulari. Girammo sul retro e vidi Polly aprire la finestra con una spinta e arrampicarsi su come se fosse il modo normale di entrare.
«Non ho mai avuto un’amica che mi accompagnasse a casa» mi disse dalla finestra aperta.
Polly
Ci sono momenti nella tua vita in cui grossi pezzi scivolano e si allontanano. A volte i grandi cambiamenti non accadono poco per volta ma tutti insieme. Così successe a noi. Il giorno in cui scoprimmo che gli amici possono fare per te delle cose che i tuoi genitori non possono fare.
Mentre si allontanava in autobus da casa di Grace, due giorni dopo la fine della scuola, Ama tremava dall’eccitazione. Suo padre l’aveva chiamata al cellulare dicendole che finalmente la lettera era arrivata. Si era offerto di darle uno strappo, ma lei sapeva che sarebbe venuto col taxi così aveva preferito prendere l’autobus. Non si vergognava del fatto che suo padre guidasse un taxi. Non era quello. Non le piaceva che al loro passaggio la gente facesse segno di fermarsi. Voleva andare in giro come una famiglia qualsiasi, non come se fossero a disposizione di tutti. E poi suo padre era davvero una persona gentile; se un anziano o un invalido gli facevano segno, lui di solito si fermava, anche fuori dall’orario di lavoro, e a volte addirittura non si faceva pagare.
Con immenso piacere dei suoi genitori, Ama aveva vinto una borsa di studio estiva della Student Leader Foundation, il che significava avere tutta l’estate spesata, incluso il viaggio. Era un grande onore. Soltanto duecento studenti in tutto il paese ottenevano quella borsa di studio, e della sua scuola non l’aveva vinta nessuno a parte sua sorella, Esi. Per quattro anni di fila.
Adesso si trattava di sapere in quale programma sarebbe entrata Ama. La sua prima scelta era stata la scuola estiva di Andover, dove sarebbe andata la sua amica Grace. Tutti volevano andare lì, lo sapeva, quindi era probabile che non la prendessero. La sua seconda scelta era stata lavorare in un ufficio dell’Habitat for Humanity in Virginia, per ottenere crediti scolastici. A quanto le aveva detto Esi, sarebbe stato ottimo per il suo curriculum. La sua terza scelta era stata un campo di studio della Johns Hopkins University a Baltimora.
Quando entrò in casa, suo fratello di cinque anni, Bob, era davanti alla porta e scuoteva la busta voluminosa. I suoi genitori li raggiunsero nell’ingresso.
«Secondo me è la Hopkins» sentenziò sua madre.
Ama a volte si sentiva a disagio per quanto i suoi genitori – e anche suo fratello – erano diventati partecipi della sua vita scolastica. Jo di solito scherzava sul fatto che sua madre non conoscesse neppure il nome di un insegnante e suo padre non sapesse in che classe andava.
«È perché i Napoli sono ricchi» disse una volta la madre di Ama. «Non hanno bisogno di preoccuparsi quanto noi.»
«Secondo me è Habitat» disse suo padre.
«La posso aprire?» gridò Bob.
«Te l’ho detto, falla aprire ad Ama» lo rimproverò sua madre.
«Puoi aprirla» disse Ama a Bob. Bob amava alla follia aprire la posta, e si può dire che non ne avesse mai ricevuta. «Però non strapparla.»
Bob annuì serio. Aprì la busta con estrema cura, passandole le pagine una alla volta. Il cuore di Ama batteva a mille e i suoi occhi cercavano la parte che le interessava. Esaminò la prima pagina, poi la seconda e poi la terza.
«Qual è?» chiese sua madre.
«Non lo vedo. Penso…» Ama capovolse una delle pagine, «che sia… Non capisco. Dice Wild Adventures.» Cercò invano parole come Andover o Johns Hopkins.
Sua madre sembrava dubbiosa. «Fammi ve...
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- Collana
- 3 salici