Proprietà letteraria riservata
© 1997 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-17-10719-8
prima edizione Rizzoli 1997
prima edizione Superbur 2003
prima edizione BUR Narrativa giugno 2007
Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu
PER ESSERE EUROPEI BISOGNA ESSERE ITALIANI
La «guerra fredda» fra i due blocchi divisi dalla «Cortina di ferro», con tutto quello che essa comportò sul piano della libertà per chi si trovava nella zona di influenza sovietica; il lievitare delle correnti all’interno del maggior partito italiano, la Democrazia Cristiana, che avrebbe portato a situazioni deleterie di faziosità e di interessi di potere.
E poi, la situazione di Trieste, italianissima città ambita dall’ingordigia titina; e ancora, fatti di costume del tempo; manifestazioni di fede monarchica e deliziosi racconti della serie «Corrierino delle famiglie», sono gli elementi caratterizzanti questo Mondo Candido «numero 3». Un Mondo Candido relativo al periodo 1951-1953, che Alberto e Carlotta Guareschi hanno antologizzato, per così dire, per dare testimonianza del lavoro e dell’opera del padre, ma anche per fornire un altro contributo alla nostra storia attraverso, appunto, le pagine e i disegni e le vignette di uno dei più interessanti e fortunati periodici dell’epoca, fondato e diretto da Giovannino Guareschi.
I punti estremi del periodo sono costituiti, da un lato, dal rifiuto democristiano ad allearsi con le destre, preferendo ad essa alleanza la perdita del Comune di Bologna, conquistato dagli «aborriti» comunisti; dall’altro, dalla morte di Stalin e quindi dalle elezioni politiche del 1953.
Fra questi due punti scorrono i fatti della nostra storia: civili, politici, culturali e del costume, visti e rappresentati (dalla penna e dal segno) da uno dei protagonisti del nostro tempo.
Scorrono così sotto i nostri occhi l’alluvione del Polesine e la crisi governativa, le carenze e le inefficienze dello Stato, la separazione di Togliatti dalla prima moglie Rita Montagnana e l’unione con la più giovane Leonilde Jotti, i fermenti patriottici dei triestini e la politica opportunista inglese che non voleva spiacere a Tito, gli strascichi della guerra civile con processi e polemiche alle quali Guareschi non si sottrasse, anzi, portando un contributo di forte desiderio di pacificazione e di giustizia (si leggano le pagine su Roasio e Moranino, partigiani rossi che erano andati ben al di là di pure e semplici «azioni di guerra», come è d’altra parte risaputo), e gli strascichi sulle vicende dei prigionieri di guerra italiani in Russia. E quindi i temi dell’educazione della gioventù, della libertà di stampa, della spettacolarizzazione delle disgrazie, eccetera, eccetera: temi in gran parte ancora irrisolti ai giorni nostri. Il tutto, «inframmezzato» da spezzoni delle vicende legate al «Mondo piccolo».
Fu quello, infatti, il periodo che vide non soltanto il successo internazionale del primo volume di racconti con protagonisti il sindaco rosso e il grosso parroco della Bassa, ma anche il primo film cui arrise un altrettanto significativo successo, e la pubblicazione del secondo volume, che doveva contribuire ad allargare ancora di più la fama di Giovannino. È, insomma, una rivisitazione della storia personale di Guareschi, ma nello stesso tempo della nostra storia, alla quale la sua figura e la sua opera – come si diceva – sono strettamente legate.
Una rivisitazione, o (anche) visitazione per chi appartiene a generazioni successive a quelle del periodo considerato, che fa riflettere, come del resto tutta l’opera e tutta l’azione di Guareschi rappresentano oggi un motivo di riflessione su quel che fu la nostra storia.
A cosa sono imputabili certi ritardi: non soltanto sul piano della efficienza dello Stato, e della sua burocrazia, ma anche su quello di una cultura di governo e di una moralità pubblica che è andata sempre più degradandosi?
Non è che avesse ragione Guareschi, quando, per esempio, alla vigilia delle elezioni politiche del 1953, si augurava che la DC non... «stravincesse»?
E non è che avesse, ancora, ragione, quando sottolineava i nepotismi (roba peraltro all’acqua di rosa, se confrontata con quello che sarebbe accaduto più tardi) dei politici al potere?
Ecco, questo Mondo Candido «numero 3», non diversamente dagli altri che l’hanno preceduto, ci aiuta a pensare e a confrontare, a criticare o ad approvare, indipendentemente dal fatto che si possa essere o non essere d’accordo con Giovannino Guareschi.
Ma le considerazioni che questo volume ci suggerisce sono anche altre. Intanto, da un punto di vista giornalistico, la felicissima formula di scegliere un avvenimento cruciale della settimana e sottoporlo ai lettori con il famoso «Visto da sinistra» (Spartacus, cioè Giovannino Guareschi) e «Visto da destra» (Caesar, cioè Carletto Manzoni, dopo che Mosca se ne era andato da Candido).
Ancora, sempre dal punto di vista giornalistico, la godibilissima, nella sua essenzialità e stringatezza, rubrica «Giro d’Italia - Il Mondo in fretta»: fatti di particolare interesse riportati e rapidamente chiosati da Giovannino.
Per quanto attiene poi alle vicende del «Corrierino delle famiglie», va notato che il campionario che Alberto e Carlotta Guareschi ce ne offrono in questa occasione rappresenta una scelta ad hoc e viene da chiedersi come mai quei racconti non fossero mai stati raccolti in un volume prima, quando l’autore era ancora in vita.
Ancora due notazioni.
La prima riguarda la scomparsa di Stalin (il PiPa di non pochi riferimenti della rubrica «Giro d’Italia - Il Mondo in fretta»), l’altra l’«essere monarchico» di Giovannino Guareschi.
Quando giunse la notizia che il dittatore sovietico era morto, pressoché unanime fu il cordoglio della nostra stampa e di tantissimi esponenti di partito. Una rara eccezione fu Giovannino, e in queste pagine di quella eccezione c’è una eloquente, giusta testimonianza, sia scritta che disegnata. La cecità, la viltà, il conformismo (?) avevano portato a dimenticare o a mettere in secondo piano le lacrime e il sangue che la dittatura staliniana aveva fatto spargere dovunque le era stato possibile arrivare, e dunque dall’Unione Sovietica ai Paesi «satelliti».
Non dimenticava, invece, Guareschi, che scriveva parole condivisibili anche oggi, mentre tantissimi (non soltanto comunisti) si sarebbero rimangiati non molto tempo dopo quel che avevano detto o scritto, sorpresi (ma fino a quale punto?) dai contenuti del famoso «Rapporto Krusciov».
Sentite – a mo’ di anticipazione – come si esprimeva Giovannino all’indomani della morte del dittatore:
«... Naturalmente, anche noi ci inchiniamo davanti alla morte di Stalin come ci inchiniamo davanti alla morte di chiunque.
«Ma prima ci inchiniamo davanti alla morte dei milioni e milioni di infelici esseri umani che Stalin ha “eliminato” durante i suoi lunghi anni di tirannia.
«Ci inchiniamo davanti alla morte, e davanti alla morte la nostra animosità polemica si ferma. Ma non per cedere il posto a uno scriteriato rispetto per l’opera del defunto.
«In altre parole: noi non abbiamo nessun desiderio di appendere il cadavere di Stalin a un distributore di benzina, ma non vogliamo neppur collaborare a creare quel mito di Stalin che la stampa comunista mostra di voler creare...».
Ma al di là delle parole, in queste pagine il lettore troverà anche una eloquente raffigurazione disegnata della morte di Stalin. Su tutte, segnaliamo una vignetta intitolata «L’ultimo viaggio». Il carro con la Morte a cassetta trasporta il defunto passando su di una strada lastricata da teschi. È un percorso dunque «accidentato», al punto che fra una scossa e l’altra Stalin solleva il coperchio della cassa guardando meravigliato; e la Morte: «Non ti lamentare per le scosse: è la strada che ti sei fatta tu». Vignetta macabra? Soprattutto emblematica!...
E veniamo all’«esser monarchico» di Guareschi. Incominciando con il sottolineare la sua fede nell’istituzione: fede semplice, viva, convinta, ma non cieca nei confronti di taluni monarchici che gli fecero scrivere, addirittura, una volta: «Dio salvi la Monarchia dai monarchici»!
Per poi mettere in evidenza soprattutto un racconto, fra i più belli – a nostro modo di vedere – che l’autore della Bassa abbia mai scritto: «Colpo di Stato».
Nel quale figurano Umberto II di Savoia, una sua figlia ancora bambina, l’Italia, e la notizia che l’Esule avrebbe attraversato il confine dalla Svizzera, provocando tutto un po’ po’ di sommovimenti a livello burocratico-politico-militare romano, temendosi, negli ambienti della capitale, un «colpo di Stato», per l’appunto.
All’ironia e alla descrizione di situazioni a volte paradossali, che inducono a un divertito sorriso, fanno eco una finezza, un garbo, e diciamolo pure, un sentimento, che non sconfinano minimamente nella retorica, nei confronti della figura di Umberto II, peraltro mai chiamato per nome, ma indicato soltanto dall’autore come il «signore alto».
Finezza, garbo, sentimento, che non possono non suscitare ammirazione per la prosa nella quale sono espressi, e non possono non toccare l’animo anche di chi – come noi – monarchico non è, ma che di fronte a quel che si è rivelata questa Repubblica, alla Monarchia qualche volta rivolge un pensierino!... Non possiamo chiudere, peraltro, q...