
eBook - ePub
Piccolo mondo borghese - Il decimo clandestino - Noi del Boscaccio
Le opere di Giovannino Guareschi #17
- 432 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Piccolo mondo borghese - Il decimo clandestino - Noi del Boscaccio
Le opere di Giovannino Guareschi #17
Informazioni su questo libro
Giovannino Guareschi nel 1963 pensava a una raccolta di racconti del "Candido" non legati al Mondo piccolo di Don Camillo e Peppone. Ci pensava tanto che aveva già trovato il titolo e aveva compilato un indice dei racconti stessi. Ma non fece in tempo a realizzarlo. Ci pensarono, negli anni Ottanta, i figli Alberto e Carlotta, che avevano a cuore anche gli interessi dei Ventitré lettori di Giovannino: raggrupparono i racconti, ne aggiunsero altri del Mondo piccolo, sfornarono due titoli (Il decimo clandestino e Noi del Boscaccio) che infine presero la forma definitiva di Piccolo mondo borghese. Eccolo.
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Informazioni
Print ISBN
9788817202343eBook ISBN
9788858631836
Le storie del fiume
Il fiume scorre placido e indifferente nella pianura e, tra il fiume e i paesi, c’è l’argine: perciò le case non si specchiano nell’acqua, ma le storie d’ogni paese scavalcano l’argine e il fiume tutte le convoglia: storie buffe e storie malinconiche, e se le porta via verso il gran mare della storia del mondo. E, durante il viaggio, le racconta a chi si siede in riva all’acqua ad ascoltare le chiacchiere del fiume: robaccia che par cascata giù dalla pagina di cronaca dei giornali, o robetta che pare scivolata via dalle pagine dei vecchi libri di lettura.
Il fiume scorre placido e indifferente e racconta anche queste strampalate storie di Natale.
IL COMPAGNO GESÙ
Cabassa è in su, verso monte insomma: un porco paese dove si semina granturco e nascono comunisti. Durante la guerra, siccome a due chilometri da Cabassa c’è un ponte, vennero quegli stramaledetti che buttano giù bombe sui ponti e così, mentre il ponte neanche fu toccato, andarono in briciole sette case e la chiesa. Allora, per prima cosa, tutti snocciolarono quattrini e rimisero in piedi la chiesa: «Se no», dissero i rossi, «che gusto ci troveremo, quando faremo la rivoluzione proletaria, se non avremo neanche uno straccio di chiesa da distruggere?».
Poi la rivoluzione non veniva mai, ma i rossi quasi ne avevano piacere: «Così», dicevano, «il Padreterno si affeziona sempre di più alla chiesa e, quando gliela buttiamo giù, gli facciamo maggior dispetto».
Inoltre potevano battagliare col parroco e questa era una cosa molto importante.
— Più che distruggere le chiese — diceva sempre il capo dei rossi — quello che importa è fare in modo che la gente si allontani dalla chiesa: riuscire insomma a convincere la gente delle falsità che la Chiesa tiene da secoli in circolazione per addormentare il popolo.
Il capo dei rossi di Cabassa era uno in gambissima: un intellettuale, uno che aveva studiato a scuola e poi aveva studiato in prigione, poi aveva studiato all’estero e poi era ritornato a studiare a casa. Capace di fare dei discorsi di due ore senza neanche tirare il fiato: quelli di Cabassa ci sguazzavano dentro e, quando il capo veniva mandato dalla federazione a tenere dei discorsi nei comuni vicini, c’era sempre un sacco di gente che montava in bicicletta e lo andava a raggiungere, per sentirlo parlare e gridargli «Bravo, Gisto!», anche se dovevano macinare trenta o quaranta chilometri. Come succede con le squadre di football.
Il capo aveva dichiarato guerra ad oltranza al Padreterno: però non era di quelli che, per combattere il Padreterno, buttano le bombe sulle processioni o sparano schioppettate sulla schiena dei preti.
— Abbiamo davanti un nemico intelligente e fortissimo — diceva sempre Gisto — quindi bisogna battersi con astuzia: non si può dire ad un cristiano: "Tu non devi più credere e non devi più andare in chiesa", invece bisogna dirgli: "Bravo, sono anch’io un cristiano come te e in chiesa ci andremo insieme". Poi lo si piglia a braccetto e, parlando di Santi e di Madonne, lo si porta per un’altra strada. Per la nostra strada.
Si avvicinava il Natale e Gisto fece una riunione straordinaria.
— Il Natale — disse Gisto — è la pacchia dei preti per via che tutti ci cascano nella storiella di Betlemme e anche i più indifferenti va a finire che, per la Messa di mezzanotte, finiscono in chiesa. Quest’anno bisogna che noi ci mettiamo al forte per impedire che questa porcheria si ripeta.
Ognuno fece la sua proposta: incendiare la chiesa, legnare parroco e fedeli e roba del genere. Gisto scosse il capo e si mise a ridere.
— Queste sono proprio le cose che cercano i preti! L’idea di stangare i preti, di incendiare le chiese e di rompere la testa a chi va in chiesa è ottima, ma è da applicare in un secondo tempo. Adesso si tratta di minare le basi della Chiesa, poi, quando i muri saranno traballanti, si comincerà a stangare e tutto verrà giù. Per impedire alla gente di andare a messa la Vigilia, bisogna prenderla a braccetto e portarla da un’altra parte. Insomma esalteremo anche noi la Natività ma in modo tale da attirare l’interesse e la curiosità della gente, e in modo tale da svuotare la Natività di ogni significato tradizionale. Intanto, per prima cosa si fonda un «Comitato di Fratellanza Cristiana» che organizza per la sera della Vigilia una «Sacra Rappresentazione» all’aperto.
— Una parodia, insomma, — osservò qualcuno.
— Parodia un accidente! — gridò Gisto — stiamo freschi se tiriamo fuori le parodie! Una cosa seria, spaventosamente seria. Il segreto è appunto nella sua serietà : la gente deve rimanere ingannata, trovarsi nel roccolo senza saperlo.
Il capo trasse da una busta un fascicoletto manoscritto.
— Il concetto è chiaro: noi facciamo una rievocazione della Natività tale e quale la fanno i preti. Con gli stessi, identici, precisi elementi. Però, mentre i preti dimostrano la tesi del figlio di Dio che si fa uomo, noi dimostreremo la tesi del figlio dell’uomo che si fa Dio. Roba che lì per lì sfugge, ma che è d’importanza basilare.
— Occorre poca roba: in piazza, davanti alla casa bombardata del Giobini, si pianta un gran palco a un metro e mezzo da terra. Le macerie fanno da scena, basta aggiungere dei pezzi di macchina che troviamo facile, perché deve rappresentare una fabbrica in rovina. Si pianta un pennone in cima, un gran palo pitturato di nero per confonderlo con la notte. Si tira un filo di ferro tra la cima del palo e il tetto della casa del Brelli che è uno dei nostri. Tutte spente le luci. Riflettori e impianto sonoro che abbiamo. La banda per il finale. Insomma tutta roba che c’è o che possiamo fare in due giorni.
Gisto aperse il fascicolo e cominciò a leggere.
PARTE PRIMA
(All’ora fissata la banda esegue un inno sacro, non politico, all’inizio della strada principale. La gente si distende ai lati della strada. Ed ecco che, finita la musica, appare la sacra famiglia: San Giuseppe e la Madonna sono due contadini vestiti come San Giuseppe e la Madonna. La Madonna è su un asinello e San Giuseppe si tira dietro l’asinello. Grazie a un accordo col sindaco, si spengono tutte le luci della strada e un riflettore illumina Giuseppe e Maria. Il riflettore è installato sul camioncino del sonoro che cammina lentamente precedendo la Sacra Famiglia. Il camioncino è collegato con due fili a due microfoni: uno è fissato sulla testa dell’asino e serve a Giuseppe, l’altro nelle pieghe del mantello della Madonna, vicino alla bocca, e serve alla Madonna. Comincia l’azione, Giuseppe ferma l’asino davanti ad una casa).
GIUSEPPE: (grida con voce stanca) — Ohei! Buona gente! Avete da dare un po’ di ristoro e un po’ d’alloggio a una povera madre sofferente?
Nessuno risponde e allora S. Giuseppe riprende il cammino e ritorna a fermarsi poco dopo davanti a un’altra casa. Ma nessuno gli dà retta. Allora la Madonna sospira:
MADONNA: (sospirando) — È inutile che ti affanni, compagno Giuseppe! Essi hanno orecchi e non sentono, hanno occhi e non vedono... È inutile bussare alle porte dei ricchi! Chiusi nelle loro tiepide case essi lietamente banchettano con cibi rari e vini prelibati e non si curano del popolo che soffre!...
GIUSEPPE: — Hai ragione, compagna Maria. Ma io non ho ancora perso la fede negli uomini e ancora credo che qualche porta si aprirà : se i ricchi son così malvagi, ci sarà pur qualche povero, in questo paese.
MADONNA: — Sì, compagno Giuseppe, poveri ce ne sono in tutto il mondo: poveri e schiavi: ma essi gemono nelle prigioni o dormono in orrende cantine sotterranee e non possono udire la nostra voce!
PARTE SECONDA
Giuseppe riprende il cammino e ogni tanto si ferma e bussa alle porte dei ricchi ma nessuno risponde. Intanto la gente, spostandosi, segue con interessamento la vicenda. Così arrivano tutti in piazza: la piazza è buia, si accende il riflettore che illumina le macerie della fabbrica in rovina. Giuseppe, Maria e l’asino salgono per il piano inclinato a fianco del palco e arrivano su tra le macerie della fabbrica. La Madonna smonta faticosamente.
GIUSEPPE: — Compagna Maria, non ti sembra cosa strana che noi, lavoratori della terra, abbiamo trovato il nostro unico ricovero proprio in una fabbrica? Non ti sembra strano che noi, che veniamo dal regno della natura, siamo finiti qui nel regno della macchina?
MADONNA: — No, compagno Giuseppe. Io vedo anzi un profondo significato in tutto questo: è come un ammonimento divino! Il contadino che si appoggia all’operaio per avere protezione ed entrambi uniti fraternamente marciano per la via radiosa della riscossa proletaria!
GIUSEPPE: — Quanto è mai vero quello che tu dici, compagna Maria! Solo così i lavoratori potranno riscattarsi dal servaggio! Ma ohimè, non vedo operai qui.
MADONNA: — Dormono nei tuguri o gemono nelle prigioni.
GIUSEPPE: — Ohimè, tutto qui cade in rovina: le macchine sono rotte e piene di polvere!
MADONNA: — È la nefasta politica del tiranno Erode che ha condotto alla rovina l’industria nazionale gettando sul lastrico gli operai!... Ma ohimè, compagno Giuseppe! Ecco che un brivido mi serpeggia per le ossa... (lungo gemito di dolore).
(Per un istante si spengono tutte le luci mentre la banda accenna in sordina a un inno religioso, non politico.) Ed ecco che, sul tetto della casa del Brelli, si accende una grande stella rossa con una lunga coda. È appesa con due piccole carrucole sul filo teso fra la casa e il pennone sopra la fabbrica. Lentamente procede verso la fabbrica. D’improvviso si riaccendono le luci e appare la puerpera che tiene tra le braccia il Bambino Gesù. Sulla nuca del Bambino Gesù è fissato il microfono, così la Madonna, contraffacendo abilmente la voce, può parlare come se fosse invece il Bambino Gesù. a parlare.
La stella rossa si ferma sulla fabbrica. Ecco salire per il piano inclinato i tre Re Magi: il primo è in automobile, è grasso e ha una tuba in testa e rappresenta il Capitalismo. Il secondo viaggia a piedi sotto un baldacchino portato da quattro disgraziati magri e stracciati: è grasso, vestito da gran sacerdote ed è il Clericalismo. Il terzo viaggia su una macchina camuffata da carro armato con la stella americana e la sigla U.S.A. È grasso e vestito da generale.
Si avanza il Capitalismo che si inginocchia davanti al Bambino e gli offre un sacchetto.
CAPITALISMO: — Io sono il Capitalismo e ti porto l’oro per rendere ricco te o mio Dio!
GESÙ: — No, non lo voglio! È oro che sanguina! È oro rubato al popolo lavoratore e io non posso essere il tuo Dio!
(Si avanza allora il Clericalismo che porge un incensiere.)
CLERICALISMO: — Io sono il Clericalismo e ti porto l’incenso per onorare te o mio Dio!
GESÙ: — No, non lo voglio: il tuo fumo serve soltanto per annebbiare gli occhi del popolo e io non posso essere il tuo Dio!
(Si avanza il militarismo che si inginocchia e porge un mitra a Gesù.)
MILITARISMO: — Io sono il militarismo e ti porto mitra! Mitra perché tu possa essere potente, o mio Dio!
GESÙ: — No, non li voglio! Quelle sono le armi che servono per straziare la carne del popolo e io non posso essere il tuo Dio! Via! Via! Allontanatevi dal mio cospetto!
(I tre cosiddetti Re Magi si allontanano vergognosi ed ecco avanzarsi una piccola schiera di povera gente: donne, uomini, bambini.)
OPERAIA: (porgendo a Gesù il suo piccino) — Io non ho che questo da offrirti, compagno Gesù. E te lo offro!
OPERAIO: (mostrando le mani callose) — Ecco la mia unica ricchezza, compagno Gesù: il mio lavoro e a te lo offro.
VEDOVA DI GUERRA: — Io non ho che il mio dolore, compagno, e a te lo offro.
GIOVANE TBC: — Io non ho che la speranza, compagno, e te la offro!
PERSEGUITATO POLITICO: — E io ti offro le mie sofferenze e i miei lunghi anni di carcere!...
INTELLETTUALE (porgendo a Gesù un grande libro di Carlo Marx e uno di Lenin): — E io il mio studio!...
(Altri vengono che fanno la loro offert...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Piccolo mondo borghese. Il decimo clandestino - Noi del Boscaccio
- ELENCO IN ORDINE CRONOLOGICO DELLE OPERE DI GIOVANNINO GUARESCHI
- OPERE POSTUME
- BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE