La sposa irlandese
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La sposa irlandese

  1. 116 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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La sposa irlandese

Informazioni su questo libro

Sette racconti, una sola protagonista: l'Irlanda, evocata senza sosta da Maeve Brennan e dalle sue anti-eroine fragili e tiranniche, soffocate dal loro ruolo nel mondo o raggelate dalla nostalgia di una casa abbandonata troppo in fretta. Donne come Margaret, emigrata in America con fantasie di rivalsa ma presto avviluppata da un esilio che spegne la sua capacità di desiderare. Come Mary Lambert, bottegaia zoppa che affronta la vita come una trincea mentre si strugge per un impossibile paradiso: il roseto della Holy Passion. Come Rose, che sotto la maschera inacidita di moglie piccolo borghese nasconde le ferite di una bambina non abbastanza amata. Amore, bellezza, generosità sono luci distanti che gettano un chiarore evanescente sul mondo della Brennan. Suggeriscono una promessa di armonia che, se non è per tutti, offre a chi non smette di sperare almeno il sogno della felicità. In questi racconti, pervasi di nostalgia e desiderio, tornano le atmosfere della 'Visitatrice' e del 'Principio dell'amore', che hanno reso Maeve Brennan una scrittrice amata da moltissimi lettori. Postfazione di Elisabetta Rasy.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
Print ISBN
9788817053655
eBook ISBN
9788858642214

La sposa irlandese

La sposa irlandese

La sera prima del suo matrimonio, alle sette, Margaret Casey finì di preparare i bagagli, chiuse a chiave la valigia e sedette sul bordo del letto a riprendere fiato. La sua stanza era all’ultimo piano dell’abitazione di Scarsdale dove per dieci anni aveva lavorato come cameriera. Era sola in casa. Il telefono era staccato, il frigo spento, le finestre chiuse e bloccate e da tutti i letti, eccetto il suo, era stata levata la biancheria in previsione dell’estate. All’alba la famiglia era partita in macchina per il cottage nelle colline del Berkshire, dove sarebbe rimasta fino a ottobre. Margaret aveva atteso sgomenta il giorno della loro partenza: temeva di mettersi a piangere, visto che aveva la lacrima facile, ma alla fine aveva sfoggiato un sorriso smagliante e li aveva salutati con la mano. Mentre guardava l’auto scomparire lungo la strada era rimasta calma, anche se per un istante aveva provato l’impulso di gridare loro di tornare indietro, indietro, anche soltanto per un’ora, di non lasciarla sola in un momento simile.
Naturalmente era stata proprio una sua idea, quella di sposarsi il giorno successivo alla loro partenza per le vacanze estive. La notte di febbraio in cui si era arresa alle insistenze di Carl e aveva accettato la sua proposta di matrimonio, l’estate le era sembrata un tempo lontano e rassicurante. Carl le piaceva, ma non era molto propensa a sposarlo. Quella notte era rimasta tutto il tempo stesa sul letto in preda al panico, pensando a come rompere con lui. Dirgli senza mezzi termini che non sapeva che farsene di lui sarebbe stato crudele. Astutamente, Margaret decise di procedere per gradi. Prima avrebbe dato il preavviso alla signora Smith, e poi se la sarebbe semplicemente svignata in un’altra città e si sarebbe trovata un altro lavoro senza dire niente a Carl. Ma quando era entrata mentre loro stavano facendo colazione e aveva dato il preavviso, non era riuscita a sostenere la vista dell’espressione affranta della signora Smith, e per alleviare il proprio senso di colpa si era lasciata sfuggire che stava per sposare Carl e che si sarebbe sistemata, avrebbe smesso di lavorare e avrebbe avuto una casa sua. Il signore e la signora Smith erano sbalorditi e felici per la sua fortuna, e il loro compiacimento la rese così generosa che ricamò un po’ sulla storia, descrivendo la casa (che ancora non era stata costruita) che Carl sperava di comprare, e raccontando il suo progetto di mettersi in affari con il fratello, ma non subito, prima o poi. La signora Smith disse che sperava che Margaret le avrebbe permesso di dare un piccolo rinfresco di nozze lì, in casa, dopo la cerimonia, ma Margaret si affrettò a dire che no, il suo progetto era di sposarsi il giorno dopo la loro partenza per le vacanze estive. Dopo qualche discussione la signora Smith si arrese, scoppiò a ridere e disse che dopotutto era Margaret la sposa ed era giustissimo che facesse le cose a modo suo. Tornata in cucina Margaret si era se duta, frastornata come se l’avessero sbattuta fuori di casa. Volevo solo dare il preavviso, pensò, e adesso mi sono impegnata.
Ma luglio sembrava lontanissimo. Avrebbe di sicuro trovato il modo di liberarsi. Avrebbe potuto montare un bel litigio con Carl, oppure confidarsi con la signora Smith e chiederle consiglio. Tuttavia prendere l’iniziativa diventava sempre più difficile man mano che il tempo passava. E comunque scoprì che cominciava ad affezionarsi a Carl. Era la prima volta in vita sua che aveva qualcuno tutto per sé, e lui era molto premuroso con lei. Fra pochi minuti sarebbe arrivato per portarla fuori a cena.
Paragonò mentalmente questa sera con una sera di dodici anni prima, in Irlanda, alla vigilia del matrimonio di sua sorella Madge. Quella sera Madge non la smetteva più di pavoneggiarsi di qua e di là con l’abito da sposa di seta azzurra, sfilando davanti alle vicine mentre sua madre, seduta al centro della stanza, piangeva perché stava per perdere la sua ragazza più grande e la famiglia presto si sarebbe sparpagliata per il mondo. «Poi sarà la piccola Margaret a lasciarmi» singhiozzava sua madre, e Margaret le aveva lanciato uno sguardo e aveva protestato che no, no, non se ne sarebbe mai andata, e le vicine avevano annuito con aria di approvazione dicendo che era proprio una brava figlia, quella. Comunque, brava figlia o no, era Madge la preferita, e quando dopo un anno Madge decise di fare economia e di tornare nella sua vecchia casa, Margaret si sentì molto fuori posto in mezzo a tutto quel trambusto intorno al bambino di Madge, il marito di Madge, i mali e i dolori di Madge. Margaret lavorava già fuori casa all’epoca, e quando lo zio di New York le scrisse offrendosi di pagare il viaggio in nave, lei accettò immediatamente, convinta fino all’ultimo istante prima della partenza che sua madre l’avrebbe costretta a rinsavire e le avrebbe proibito di andare. Ma la madre sembrò entusiasta di vedere Margaret «cogliere la propria occasione», e si sparsero meno lacrime alla sua partenza per una terra straniera che sulla decisione di Madge di sposare un ragazzo che conosceva da quando era nata.
Era stata una grande soddisfazione per Margaret spedire a casa i vaglia ogni settimana, ben sapendo quale potere quel denaro dava a sua madre all’interno del nucleo familiare. Una volta ripagato il debito con lo zio mandò a casa sempre più denaro, adattandosi a una vita frugale per inviarne più che poteva. Aveva sempre avuto intenzione di iniziare a risparmiare per il viaggio di ritorno, ma era sinceramente convinta che quando sarebbe arrivato il momento di rivedere sua madre i soldi sarebbero saltati fuori in qualche modo. Voleva tornare a casa e surclassare Madge, una volta per tutte. Sognava di risparmiare abbastanza per tornare e avviare una piccola attività, sufficiente a mantenere se stessa e la madre, o di tornare con un bel gruzzolo e trovare un brav’uomo da sposare. Nessuna delle sue speranze si era realizzata. Tutte si erano trasformate in rimpianti; solo il senso di ingiustizia subita e fatica che aveva nel cuore era rimasto lo stesso. Era andato tutto per il verso sbagliato. La madre era morta da cinque mesi, e non sembrava ci fosse più modo di tornare nella casa di Madge, che trionfante aveva preso possesso degli oggetti e dei mobili e di tutto ciò che restava della vecchia dimora. Non che Madge si fosse offerta di inviarle qualcosa – nemmeno qualche vecchia foto – e sarebbe stato troppo doloroso rivelare la gelosia e la nostalgia che provava, avanzando richieste. Certo che Madge l’aveva pensata giusta.
Se solo Dio avesse dato a Margaret la forza di aspettare ancora un poco, forse qualcosa sarebbe saltato fuori. Avrebbe potuto vincere alla lotteria, o sarebbe spuntata fuori qualche vecchia signora in cerca di compagnia per un viaggio in Irlanda, o qualcuno – suo zio, magari – sarebbe morto e le avrebbe lasciato un’eredità. Non c’era limite a ciò che sarebbe potuto succedere, se solo avesse avuto un po’ di pazienza. Ma la sera che aveva ricevuto la notizia della morte di sua madre, Carl le era stato così vicino e si era dimostrato tanto comprensivo che lei si era impegnata oltre le sue stesse intenzioni. Era stato il modo in cui lui l’aveva abbracciata a farla sciogliere, la vicinanza del suo corpo le aveva trasmesso un calore che aveva dimenticato dai tempi in cui sua madre la teneva in braccio. Come ha scelto bene il momento per approfittarsi di me, pensò con rabbia. L’ostinazione dell’uomo l’aveva urtata fin dalla prima volta che si erano visti. Era la sua parte tedesca che lo rendeva capace di insistere finché non otteneva ciò che voleva. Non si sarebbe mai ambientato, in Irlanda. Avrebbero riso tutti alle sue spalle dicendo che era tonto. Gli occhi crudeli di Madge avrebbero attraversato i bei vestiti alla moda americana fino a scovare il ragazzo tenero, buono e vulnerabile che celavano. Madge sarebbe scoppiata a ridere sentendo la signora Smith definire Carl un ragazzo bravo e affidabile, uno che sarebbe stato sempre un vanto della comunità. Il signore e la signora Smith erano stati molto gentili su tutto. Il signor Smith aveva dato a Margaret tre mesi di stipendio come regalo di nozze, e la signora Smith le aveva donato il suo abito da sposa. Il vestito, un tailleur di shantung blu scuro, adesso era appeso nell’armadio, insieme alle scarpe nuove, dentro una scatola posata sul fondo, e al cappello nuovo, in una scatola sullo scaffale superiore. A parte il suo rosario, Margaret non aveva con sé nulla di vecchio e familiare dall’Irlanda, da poter portare nella nuova casa. Madge aveva rubato tutto, e senza neppure alzare un dito.
Una volta, quando Margaret era piccola, prima che suo padre morisse, i suoi genitori erano andati a fare una gita in campagna con l’autobus scoperto. Al loro ritorno parlarono dell’albergo dove si erano fermati a prendere il tè e dei boschi e dei fiumi che avevano visto. Promisero a Margaret che l’avrebbero portata a fare una gita con l’autobus, una domenica, e lei ci aveva creduto e ogni domenica aveva iniziato ad andare a guardare gli autobus che si riempivano di passeggeri. C’erano anche tanti giovani, che ridevano, si spingevano e sgomitavano per conquistare il posto migliore. Margaret aveva già scelto il proprio posto – quello davanti, accanto all’autista – ma non ebbe mai l’occasione di occuparlo. C’era sempre qualche pretesto che le impediva di andare. Certe volte uno degli autobus partiva per un tour misterioso: l’autista conosceva l’itinerario, ma i passeggeri dovevano indovinarlo e non potevano essere certi della destinazione finché non arrivavano. Quelli che partivano per il tour misterioso sembravano anche più allegri dei soliti passeggeri. Margaret desiderava da morire unirsi a loro, anche se quasi temeva che gli autobus del mistero non tornassero più indietro. Visto quello che aveva combinato nella vita, avrebbe potuto benissimo salire su uno di quegli autobus e non fare più ritorno.
Dal piano di sotto arrivò un richiamo gioioso e Margaret corse fuori sul pianerottolo. Era Carl. Era entrato dalla porta sul retro. Dal momento che lavorava come idraulico, era abituato agli ingressi sul retro. Quando raggiunse il pianerottolo del primo piano guardò in su e la vide.
«Come sta la mia ragazza?» urlò, quasi fossero lontani un chilometro. La sua voce risuonò troppo forte nella casa vuota. Aveva bevuto, Margaret lo capiva dalla voce, ma questa volta non gli avrebbe detto niente. Lui gettò indietro la testa e allargò le braccia, facendo il pagliaccio in quella felicità insolita per lui, ma l’emozione dell’uomo non la toccò. Lo fissò dall’alto, sorpresa e impaurita.
«Che succede?» gridò lui, appoggiandosi con le braccia sulla ringhiera. «Avevi paura che non venissi? Avevi paura che ti abbandonassi all’altare? Puoi toglierti quest’idea dalla testa. Non ti libererai tanto facilmente di me.»
Margaret voleva urlargli che lui non era alla sua altezza, che lo disprezzava, che non era ancora legata a lui e non lo sarebbe stata mai; invece parlò con educazione, dicendo che sarebbe stata pronta in un minuto, e avvertendolo di non salire in camera perché c’era appeso l’abito da sposa e non voleva che lo vedesse prima del tempo: avrebbe portato sfortuna alla loro unione.

I bohémien

Il signor Briscoe di mestiere faceva l’attore. La signora Briscoe, che si tingeva i capelli di un rosso scuro il più possibile vicino a quello di un tempo, per vivere insegnava musica. Lei aveva quarant’anni, lui quarantasette. Erano una bella coppia di individui piuttosto malconci, segnati a vita dalle loro esagerate speranze. Avevano entrambi lo sguardo scintillante e indagatore di chi non ha mai imparato a tenere sotto controllo i propri sogni.
Si erano incontrati un sabato sera, a una specie di festa per artisti. Il signor Briscoe, di Londra, era arrivato il giorno prima dall’Inghilterra perché una compagnia inglese che recitava per la stagione al Gaiety gli aveva promesso una parte. La parte era sfumata e adesso lui era arenato a Dublino, in bolletta ma sereno. Si era presentato alla festa con un conoscente in cui si era imbattuto in un pub. Anche la signora Briscoe, al tempo signorina Jane Rooney, era in compagnia di una conoscente, una certa signorina Finch, musicista in un trio che suonava al Dublin Art Theatre.
Jane indossava un abito di tweed viola scuro dal taglio preraffaellita e la sua chioma folta e selvaggia di capelli rossi era raccolta in uno chignon basso. Portava gioielli d’argento artigianali di foggia irlandese, incastonati di ametiste. Era una donna alta e magrissima, con il naso lungo e sottile e la bocca minuscola. Le labbra fini e asciutte, sovrastate dal lungo naso, sembravano negare tutte le avide richieste che gli occhi esprimevano. Era una donna molto ardita. Se restava da sola a una festa – cosa che accadeva spesso, perché aveva un’indole eccessivamente artistica e spesso, dopo un bicchiere, innescava discussioni appassionate quanto assurde – gettava indietro i folti capelli a rivelare il sorriso piccolo e sprezzante e dardeggiava sguardi infuocati in ogni direzione, in cerca di un pubblico più ricettivo. Gli uomini non erano attratti da lei, e in genere si vedeva costretta a tornare a casa da sola. Non per questo si sentiva in obbligo di scivolare via in silenzio a metà della serata, come avrebbero fatto animi meno esaltati del suo. Al contrario, si fermava sempre fino alla fine, e si allontanava dalle coppie e dai gruppetti senza il minimo segno di imbarazzo. E fino ad allora, senza eccezione, le cose erano sempre andate così.
Dal suo solitario punto d’osservazione accanto al tavolo dei bicchieri, il signor Briscoe la vide là in piedi, senza nessuno intorno. Si avviò verso di lei con aria depressa e un bicchiere pieno in mano.
«Perché sei così fiera?» fu la sua autoritaria domanda.
Lei distolse lo sguardo da un punto lontano della stanza e si innamorò di lui, come spesso le era accaduto prima di allora.
Sommamente lusingato dall’impressione prodotta, lui la scortò verso un divano. «Sono un attore di Londra, disoccupato e senza un soldo. Mi chiamo George Briscoe. Sono stato spinto a parlare con te perché sei l’unica bella donna presente in questa stanza. Non sono sposato» le disse, continuando a bere e a fissarla.
Era un uomo imponente, con le mani e il viso di un biancore abbagliante, la fronte bassa dalla quale partivano i capelli pettinati all’indietro per nascondere il più possibile la calvizie. Portava un panciotto a scacchi gialli.
«Sono un attore straordinario, ma non trovo lavoro. Non vogliono più i veri attori sul palcoscenico. Vogliono dei robot, automi senza espressione e con la testa vuota. E soprattutto vogliono uomini giovani e magri. Un uomo maturo può ottenere una parte solo se vince un premio o se si è fatto un nome nel cinema. A meno che non voglia fondare una sua compagnia.» Le lanciò un sorriso blando, scevro di risentimento. «Puoi dirmi tutto quello che vuoi» aggiunse.
«Mi chiamo Jane Rooney, insegno musica» disse Jane con un’aspra risata tra l’imbarazzato e il compiaciuto. «Mi diletto in tutte le arti. Sono devota al teatro in ogni sua forma.»
«Mia cara ragazza» esordì lui sporgendosi in avanti, «il teatro ha una forma sola.» Jane si dispose ad ascoltare.
«Vorrei accompagnarti a casa» disse George molto più tardi. «Se non abiti troppo lontano.»
Arrivati all’appartamento, lui suggerì che Jane avrebbe potuto farlo entrare. «In caso contrario» disse in tono pratico «passerò la notte per strada.»
Dal momento che in casa c’era un letto solo, lui si sistemò su una poltrona del salottino, ma dopo un’ora si alzò sospirando e andò a stendersi sul letto accanto a lei. Jane restò rigida, fissando il soffitto con gli occhi fuori dalle orbite. Prima di allora non era mai stata coricata accanto a un uomo.
«Spero proprio che tu non ti agiti troppo nel sonno, mia cara» disse lui sistemandosi comodamente, e si addormentò.
Jane non chiuse occhio tutta la notte, e quando il primo alito del giorno entrò nell’appartamento scivolò fuori dal letto e si rifugiò in cucina, dove recitò le preghiere in ginocchio e scoppiò in un pianto nervoso. «Dio mi perdoni» disse, «ma non potevo certo mandarlo fuori al freddo.»
Scoccate le otto, Jane si alzò in piedi e gli preparò la colazione su un vassoio. Alle nove e mezzo aveva una lezione di pianoforte.
«Brava ragazza» disse lui quando aprì gli occhi e vide il vassoio. «Oh, non posso alzarmi a sedere» disse con aria maliziosa tirandosi le coperte sotto il mento, «se non mi dai qualcosa per coprire le mie nudità. Un asciugamano grande andrà benissimo» aggiunse per dissipare l’imbarazzo di lei.
Jane gli portò un ampio scialle e si girò mentre lui se lo drappeggiava addosso.
«Sei vestita di tutto punto e pronta per uscire» osservò lui ammirato. «Che ragazza efficiente!»
Dopo la prima lezione Jane ne aveva una seconda, ma non appena si liberò corse a casa. Lui era seduto in salotto, la grata mandava un bel bagliore rosso, e tra le mani aveva una delle raccolte di opere teatrali della sua ospite. George chiuse il libro e le tese la mano. «Spero di non aver disturbato il tuo sonno, Jane» disse.
Lei cadde in ginocchio davanti a lui e premette il viso scialbo contro la sua mano. «Avevo così paura di non rivederti più!» esclamò.
Lui le scompigliò la chioma folta e ricciuta. «Che meraviglioso colore di capelli» disse. «È davvero il tuo?»
«Oh, sì. Non mi sognerei mai di tingerli» rispose in fretta Jane.
George trovò il piccolo appartamento molto confortevole. Non era un tipo pigro. Mentre Jane era fuori faceva qualche lavoretto domestico e la aiutava perfino in cucina. Tutte le sere uscivano a fare una passeggiata, e una volta andarono al cinema, passando con estrema nonchalance davanti alla porta della padrona di casa di Jane.
Al termine di una settimana, la padrona di casa salì le scale come una furia chiedendo di parlare con Jane da sola; le domandò cosa pensava di fare. «Mi meraviglio di te» disse curiosamente. «Non avrei mai creduto che fossi quel genere di donna.»
«Sono una donna come tutte le altre» replicò Jane. «E ad ogni modo» aggiunse «non è come sembra. Si è comportato da autentico gentiluomo, se capisce cosa intendo.»
La signora Dolan indietreggiò con un sorriso implorante. «Ma fammi il piacere, ragazza» disse. «Sono una donna sposata: non ti aspetterai che creda a una cosa del genere!»
«Creda pure ciò che vuole, signora Dolan. Cosa dovrei fare? Sbatterlo in strada?»
«Be’, non può importi la sua presenza in questo modo» rispose la signora Dolan. Ripensò all’occhiata che gli aveva dato di sfuggita, entrando. «Sembra un povero diavolo innocuo, dal modo in cui si è sistemato accanto al fuoco. Parrebbe una cosa spietata dirgli di prendere e andar via.»
«Lo so» disse Jane. Portava la gonna verde di tweed e un golf beige, con una collana di grossi grani d’ambra, il suo abbigliamento normale durante il giorno.
«Perché non lo sposi?» domandò la signora Dolan con fare suadente.
«Non me l’ha chiesto» rispose Jane sorpresa, e prese a tamponarsi gli occhi.
La signora Dolan lanciò un’occhiata indecisa alla porta della cucina. La aprì e guardò dentro: George era seduto e stava leggendo il suo libro.
«Vuol venire qui un istante, signore?» gli urlò.
«Ma certo, signora Dolan» rispose ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Copyright
  3. La sposa irlandese
  4. Postfazione
  5. Indice