Un uomo così
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Un uomo così

Ricordando mio padre

  1. 216 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Un uomo così

Ricordando mio padre

Informazioni su questo libro

Raccolta di ricordi, episodi e gesti, Un uomo così è un ritratto intimo e commovente attraverso cui Agnese Moro svela il lato domestico e privato di suo padre. Accanto allo statista, simbolo dolente degli anni più difficili e tragici della storia italiana, trova così spazio l'uomo, il padre, il marito. Questa struggente collezione di 'istantanee', pubblicata per la prima volta nel 2003 e ora riproposta in un'edizione notevolmente ampliata, ha portato Agnese sulle tracce lasciate da Aldo Moro nella gente comune, per parlare di lui e sentirne parlare. Un viaggio tra luoghi e persone, incontro inaspettato con un'Italia che continua a ricordare e si adopera per raccogliere il messaggio più profondo di un personaggio che ha segnato la memoria del Paese. Un percorso collettivo, da cui emerge un mosaico di racconti, contributi, aneddoti, resoconto a più voci di un uomo e di un'epoca. Nella nuova edizione BUR, arricchita dalla narrazione del viaggio, Agnese Moro condivide questo ritratto corale e individua snodi fondamentali e senso di una vita che appartiene alla Storia.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
Print ISBN
9788817024365
eBook ISBN
9788858654408

Cinque anni dopo

(trent’anni dopo)

«The Copper Bosses killed you, Joe,
They shot you, Joe» says I.
«Takes more than guns to kill a man»
Says Joe, «I didn’t die»
Says Joe, «I didn’t die»
*
Da I dreamed I saw Joe Hill last night
di Alfred Hayes e Earl Robinson

Un affettuoso ricordo

Ricordi in regalo
Dovunque sono andata ho trovato tanta attenzione e affetto e un ricordo vivo di papà. Come aveva notato tempo fa mio fratello Giovanni, le persone che all’epoca c’erano ti raccontano dove stavano e cosa facevano «quel giorno».* Con questa espressione alcuni intendono il giorno del rapimento, altri quello del ritrovamento del corpo. O anche entrambi gli episodi, e l’intero periodo. In tanti mi hanno parlato della sua morte come della morte di una persona cara, di una persona di famiglia. In tanti mi hanno parlato della paura provata al momento del rapimento, come si fosse toccato ciò che teneva in piedi lo Stato. I figli hanno visto lo sgomento dei genitori, dei padri, soprattutto. E la sensazione di vivere con il fiato sospeso, in attesa delle notizie.
E poi le occasioni di incontro avute con lui, in questa o quella circostanza.
Un signore incontrato a Montecatini mi ha raccontato che, trovandosi nella chiesa di Santa Emerenziana a Roma, una mattina presto, per fare le prove con l’organo in preparazione di una celebrazione, aveva visto una persona in atteggiamento di profondo abbandono, quasi riverso sul banco. Ebbe l’impressione che si trattasse di un poveretto e gli posò accanto una moneta. In realtà era papà intento in preghiera. A Terracina mi hanno raccontato di una volta in cui, durante una gita alle isole Pontine, non aveva voluto niente da mangiare durante il viaggio; si è poi capito che, all’arrivo, lo attendeva la possibilità di fare la Comunione e per questo voleva restare digiuno.
Mi hanno molto colpito gli accenni di alcuni dirigenti della Unione Italiana Ciechi all’interesse che papà aveva avuto per le vicende della loro associazione. Non lo sapevo, come tante cose di lui. Episodi che sarebbe interessante approfondire. Come nel caso del terremoto che colpì il Friuli: papà era Presidente del Consiglio e, d’accordo con la Regione Friuli Venezia Giulia, scelse di delegare alla Regione stessa e, per suo tramite, agli enti locali la ricostruzione. Ricostruzione che, per come è stata pensata, ha consentito la creazione di importanti infrastrutture, a loro volta vettori di sviluppo. Michelangelo Agrusti, all’epoca giovane dirigente della Dc, mi ha raccontato che, in un momento di grandissima tensione, papà si recò nei diversi comuni colpiti dal sisma a dialogare con le popolazioni, ricreando una certa serenità.
Mi hanno raccontato in Puglia dei suoi comizi, sempre affollatissimi, anche in ore impensabili e dopo lunghe attese; le strade e le piazze gremite; gli affettuosi saluti (mi dicono che è capitato che gli occorresse anche più di un’ora per fare un centinaio di metri). Come a Orzinuovi, in provincia di Brescia, dove gli portavano i bambini perché li accarezzasse. Mi hanno raccontato che dava la mano a tutti, che salutava tutti. A Mantova, nel 1977, in occasione di un incontro con i dirigenti della Democrazia Cristiana – ma in realtà partecipò un sacco di gente – gli venne la tendinite a furia di salutare. Il calore di quella accoglienza lo colpì molto, tanto che aprì il suo discorso parlandone. Antonino Zaniboni, all’epoca anche lui giovane dirigente della Dc, che gli stava vicino, mi ha raccontato che mentre parlava aveva in mano un foglietto. Bianco. Mi hanno riferito della Prefettura di Bari, dove lui a volte incontrava le persone; e quelle di «peso» erano magari costrette ad attendere che finisse di parlare con un contadino con il quale si stava intrattenendo da un bel po’.
Mi hanno riportato con commozione l’episodio di una sua richiesta ai sindacati aziendali dell’Acquedotto Pugliese di avere dei nomi adatti per la designazione di un dirigente. Lo hanno ritenuto un gesto di profonda considerazione di ciò che i lavoratori sanno della propria azienda e del contributo che possono dare.
Un bellissimo episodio mi è stato regalato da Susanna Pastore, avvocato tranese, studiosa del pensiero giuridico e politico di papà e promotrice discreta di tante iniziative che lo riguardano. I nostri padri erano legati da reciproca stima. A lei devo tante sottolineature del pensiero di Aldo Moro e anche la consapevolezza del peso che le sue riflessioni giuridiche hanno avuto su tutte le dimensioni del suo impegno. È lei che in una delle sue relazioni ha riportato una frase detta da papà in occasione della consegna della toga d’oro da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trani il 13 febbraio del 1975:
Anche oggi indosso la toga del difensore […] impegnato come sono a difendere la causa del popolo italiano, un popolo che deve vincere la sua causa di giustizia e di libertà e trovare in sé la forza morale per questo grande impegno di civiltà.
Questa idea di difendere il popolo italiano, perché esso possa raggiungere i suoi obiettivi di grandezza, giustizia e libertà è un tema importante della vita di papà.
A quanto mi hanno raccontato diverse persone, contava sull’attivismo dei giovani e li invitava all’impegno. Mi è sembrato tanto significativo in questo senso un episodio raccontatomi da un «ex giovane». Il fatto è questo. Papà passeggia come di consueto sul lungomare a Terracina. L’allora ragazzo lo ferma e gli parla lungamente di tutte le cose che nel nostro Paese non vanno bene e devono essere corrette. Papà, dopo averlo ascoltato attentamente, gli dice: «E tu che fai?».
Questo suo richiamo al coinvolgimento personale non riguardava solo i ragazzi, ma tutti. Ricordava Giovanni Matteis in un incontro al liceo classico Vitruvio Pollione di Formia di una gita a Ventotene di papà. Era, credo, Presidente del Consiglio. Mentre la barca su cui stava entrava nel porticciolo, alcune persone, da altre barche, gli dicevano: «Presidente, pensi all’Italia». E lui, di rimando: «Pensateci anche voi».
Una presenza viva
Ho capito definitivamente che qualche cosa di Aldo Moro era rimasto vivo anche per coloro che non l’hanno mai conosciuto quando ho incontrato Juan Sànchez Torròn. Nel 2006 Luciano Forconi, allora sindaco di Torrita Tiberina, mi disse che era passato di lì un giovane spagnolo e aveva lasciato una cosa per la famiglia Moro. Si trattava di una mattonella di ceramica, decorata in maniera particolare e con un’iscrizione in lingua spagnola, che tradotta suona così:
In memoria di Aldo Moro morto a causa della cecità criminale delle Brigate rosse e abbandonato da coloro che considerarono che la salvezza della sua vita non meritasse il disonore di una sconfitta.
Si può, naturalmente, condividere o meno il contenuto della frase. Ma mi è sembrata una cosa davvero straordinaria che un giovane, trentenne, spagnolo, pensi a mio padre tanto da formulare un pensiero per lui, da far preparare per lui, con l’aiuto di un amico, una targa speciale. Juan vive a Madrid; la targa è stata ideata e disegnata dal Virginia Decoradores, un Centro Speciale di Lavoro per i disabili, a Talavera de la Reina, vicino a Toledo. E poi venire in Italia, a Torrita Tiberina, a portarla. Quando gli ho scritto per ringraziarlo, mi ha mandato un messaggio che tengo come una delle cose più care. Juan, tra l’altro, dice:
Io ho un grandissimo interesse per tutte le questioni che riguardano il confronto tra la ragione di Stato, l’esercizio del potere, la difesa della legalità e la pietà e il modo in cui lo Stato deve reagire di fronte a una tragedia come quella di suo padre. Soprattutto ho parlato e litigato con gli amici su questi punti, e principalmente sulla chiave di tutta la discussione: è legittimo fare trattative con i terroristi per difendere la vita di quelli che hanno rapito? Senza dubbio è una questione troppo difficile.
È per questo che il caso di suo padre mi ha colpito e mi ha interessato tantissimo. E così ho cercato il libro di Leonardo Sciascia, L’affaire Moro. Questo libro ha rappresentato per me un’esperienza necessaria e anche fondamentale: la terribile realtà del potere che decide di difendere la «ragione di Stato» al di sopra di ogni considerazione di pietà, la terribile realtà di un uomo rapito, minacciato dai terroristi e abbandonato dai suoi compagni, la terribile realtà di quelli che decidono di uccidere in nome di un’idea. Ma il libro ha significato anche la scoperta di un uomo pietoso e intelligente, un uomo lucido come pochi: suo padre. E su questo libro ho trovato non la risposta definitiva alla questione sulla legittimità delle trattative con i terroristi, ma ho trovato un nuovo punto di vista che merita di essere preso in considerazione. Suo padre, secondo Sciascia, riteneva che «tra il salvare una vita umana e il tener fede ad astratti principi, si deve forzare il concetto giuridico di “stato di necessità” fino a farlo diventare principio: il non astratto principio della salvezza dell’individuo contro gli astratti principi». E, come dice Sciascia, così non potevano non pensare gli uomini che dicevano di essere cristiani. Ma purtroppo la realtà è stata diversa. Io non sono cristiano ma ho una profondissima ammirazione e rispetto per i sentimenti cristiani di suo padre, perché solo un sentimento così forte può fare sì che un uomo disperato, condannato a morte, possa scrivere lettere così belle e intelligenti come ha scritto suo padre durante il suo martirio. E questo martirio è per me il più grande esempio di dignità e resistenza di fronte alla crudeltà e alla perversità di quelli che uccidono in nome di un’idea, ma anche di fronte a quelli per cui la difesa della legalità deve essere protetta al di sopra di ogni considerazione umanitaria. È per questo che ritengo che nessun omaggio, per grande che sia, può fare giustizia alla figura di suo padre, ed è per questo che suo padre è per me un punto di riferimento che porterò sempre con me.
Quasi una mobilitazione
Mi ha colpito e commosso la quantità di persone che si è messa in moto per ricordare papà. Elencarle non è solo un modo per ringraziarle per averlo fatto, ma anche per mettere in evidenza che esistono una miriade di realtà, le più diverse tra loro, che sono attivamente impegnate sul versante dell’arricchimento culturale e della sensibilizzazione. Meriterebbero maggiore considerazione e maggiore sostegno.
Penso alle Università della Terza Età: quella di Bari, presieduta dalla mia cara amica Lucia Berardino, e quella di Torino, presieduta da Giuseppa A. Campra e animata, tra gli altri, da Salvatore Perez; quella di Mola di Bari, presieduta dalla straordinaria Maria Fralonardo; all’Università delle Tre Età di Andria, presieduta con grande competenza da Maria Rosaria Inversi; all’Università Popolare Molfettese, presieduta da Giovanni de Gennaro, valentissimo animatore culturale della sua città. Penso alla FIDAPA di Salemi e a quella di Trani, che ricorderò sempre. I Lions Club di Altamura, Trani Host, Trani G. Rocca, dove ho trovato tanta competenza e amicizia. Penso anche a realtà come il Centro Studi Eskaton di Foggia, il Centro Studi Nuovo Mezzogiorno di Rende, l’Associazione Nazionale «Per la sinistra» di Sacile, l’International Police Association, Associazione Molise 2000 di Guardalfiera con il suo impareggiabile presidente Vincenzo Di Sabato, l’Unione industriali di Torino, il CIASU a Fasano, la «Fondazione Città del libro» onlus di Campi Salentina, l’associazione «Il raggio verde» di Lecce, il Collegamento Sociale Cristiano di Reggio Emilia, l’Unione giuristi cattolici italiani Sezione di Reggio Emilia e Sezione «Renato dell’Andro» di Trani, l’Associazione Aldo Moro di Loreto, la Fondazione «Stefano Bonfà» di Samo, intitolata dai figli al padre, un dirigente della Dc ucciso dalla ’ndrangheta. Ho un ricordo speciale dell’Associazione Anassilaos di Reggio Calabria che ha voluto commemorare papà, e ogni uomo della sua scorta, nel corso del premio Anassilaos 2003. Papà è stato anche insignito del premio Juppiter, rivolto a coloro che hanno contribuito al prestigio di Terracina. Anche realtà di partito possono essere luoghi di crescita culturale, come ho potuto constatare nel caso della Margherita di Lodi e di Terracina. In particolare due persone mi hanno colpito per la loro capacità di tenere insieme impegno politico e impegno sociale: Marco Zaninelli (ora assessore al comune di Lodi), luminosa persona con una luminosa famiglia, e Domenico Zappone (consigliere comunale a Terracina), sempre pieno di passione e voglia di fare.
Sono stata nelle parrocchie di Cadoneghe, Provaglio d’Iseo, parrocchia Matrice San Giovanni Battista di Fasano, parrocchia dell’Immacolata di Adelfia, parrocchia della Purificazione della Beata Vergine Maria di Casalserugo, parrocchia Sacra Famiglia di Padova con don Ciotti, parrocchia dell’Immacolata a Modugno, parrocchia di Mandriola a Albignasego, parrocchia S. Antonio di Padova dei Padri Guanelliani di Alberobello, la parrocchia di Santa Melania a Roma. Comunità vive, sacerdoti impegnati e attenti. E poi il Centro di spiritualità e cultura «Papa Luciani» a Santa Giustina, il Seminario Minore di Padova a Rubano, il settore adulti dell’Azione Cattolica, con Ernesto Preziosi e la carissima Francesca Zabotti, e l’Azione Cattolica di Vittorio Veneto, le scuole di formazione alla politica della Diocesi di Parma e della Diocesi di Latina-Terracina-Sezze-Priverno.
Abbiamo parlato del modo in cui papà viveva la fede, il rapporto tra questa e la politica, la sua spiritualità così intensa, ma anche così schiva.
Dibattiti sempre molto vivaci sono stati quelli ai quali ho partecipato nel corso di eventi letterari di vario genere: gli «Incontri con gli autori» organizzati dalla Biblioteca Comunale di Terrazzo, quelli della Biblioteca Gino Pallotta a Fregene, gli «Incontri di primavera» organizzati a Brezzo di Bedero dalla Libreria Cerutti&Pozzi; la rassegna «La Versiliana», con Romano Battaglia, organizzata ogni anno a Pietrasanta; o quella che si svolge a San Vito Lo Capo, «Libri, autori e buganville», a cura di Giacomo Pilati; o «Letteratura al femminile» voluta dall’Associazione nazionale per l’incremento turistico di Maiori che ha avuto poi una prosecuzione in una analoga iniziativa del comune animata da Alfonso Bottone; la rassegna di incontri «Cortina cultura e natura» di Iole e Enrico Cisnetto, o il «Caffè letterario» di Agrigento coordinato da Lorenzo Rosso; le «Penne graffianti» organizzato dal comune di Montecatini Terme, o la mostra mercato del libro organizzata a Campolongo dal comune in collaborazione con l’associazione culturale «Il ponte»; o la rassegna «Libri da gustare: stuzzicanti incontri con l’autore attorno ad una tavola imbandita» che il comune di Montegrotto organizza per i suoi ospiti sotto la direzione artistica di Giancarlo Marinelli; o la rassegna «Libri, emozioni e riflessioni», curatore Antonio Gelormini, che si svolge a Troia nell’ambito della iniziativa culturale Daunia Vetus per la rinascita del distretto culturale; gli incontri promossi dal comune di Labico, o la rassegna culturale «L’Italia negli anni della ricostruzione: dal primo dopoguerra agli anni ’60» organizzata dal comune di Veggiano, o da quelli che il comune di Castel Sant’Angelo organizza sotto l’impulso del suo straordinario sindaco Paolo Anibaldi nella rassegna «Acqua e arte»; o quelli organizzati nell’ambito della Festa dell’Unità a Ferrara, o «Le stanze dello scirocco», viaggio tra arte e cultura, volute dal comune di Castelvetrano-Selinunte. Rassegne in cui erano presenti tantissimi e vivacissimi giovani sono state quelle organizzate, nell’ambito delle attività del Centro Studi Koinè, da Raffaele Gaetano, docente delle scuole superiori e animatore culturale, «Il sabato del villaggio» a Lamezia Terme e la rassegna «Figli d’arte» promossa dal comune di Soverato. Ci sono poi librerie particolarmente attive nel promuovere incontri culturali come la libreria Bookart di Terracina, la libreria del Corso di Varese, la libreria La Maria del Porto di Trani.
Sono rimasta davvero sorpresa e commossa nel vedere quanti hanno avuto voglia di partecipare, anche nel corso delle loro vacanze o in momenti di relax, a iniziative che riguardavano papà. Così come mi ha commossa il comune di Brezzo di Bedero, con il suo sindaco, Daniele Boldrini, che ha voluto dedicare una piazza a papà; e quello di Milazzo, Antonino Nastasi, (su un’idea del consigliere Antonio La Rosa), che gli ha intitolato una strada. A tanti anni dalla sua morte sono gesti molto significativi e che fanno davvero piacere. Gesti particolarmente gentili sono stati anche quelli compiuti dall’allora sindaco Luciano Forconi, dalla sua Giunta e dal Consiglio Comunale tutto di Torrita Tiberina, che hanno voluto insignire mia madre Eleonora della cittadinanza onoraria e ricordare ...

Indice dei contenuti

  1. Un uomo così
  2. Copyright
  3. Trent’anni dopo
  4. Introduzione
  5. Un uomo così
  6. Cinque anni dopo (trent’anni dopo)
  7. Nota biografica
  8. Indice