Alla fine di questo libro la mia vita si autodistruggerà
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Alla fine di questo libro la mia vita si autodistruggerà

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Alla fine di questo libro la mia vita si autodistruggerà

Informazioni su questo libro

Diciottenne, vergine e ignaro del mondo. Ma soprattutto, gay: almeno dai tempi della sua insana passione per l'album di figurine di Lady Oscar. Insy - che sta per insicuro, non per insipido - arriva a Roma dal profondo Abruzzo con in testa molte idee, non tutte salubri. E forse anche grazie agli anni di judo (lui era il sacco da allenamento) ha il fisico per inseguirle, nonostante la strada sia lunga: dalla sua piccola città a una tana di calabresi sul Grande Raccordo Anulare di Roma, per conquistare infine una stanza tutta per sé in una specie di comune, popolata da attivisti politici molto impegnati e da travestiti ancora più impegnati. Proprio quando comincia a scoprire il rutilante mondo delle parate, delle discoteche e delle saune, però, il destino gli fa lo sgambetto e Insy si ritrova addosso una divisa da poliziotto. Sexy? Per niente. Ma per fortuna non la sta indossando la sera in cui incontra il Vero Amore, quello che finalmente trasformerà la sequenza di avventure eroicomiche della sua vita in un blockbuster di Hollywood. Almeno per un po'. Dopo il successo del blog gay più comico, lucido e urticante della Rete, Insy Loan distilla in questo libro la sua storia e la sua filosofia anche per i non addetti ai lavori. Crudele (anche con se stesso) e un po' frustrato perché si è già fatto tutti i maschi di Roma e ora deve andare a cercarli in trasferta, demolisce uno per uno tutti i vecchi pregiudizi sulla specie a cui appartiene, creandone peraltro di nuovi. E con questa folgorante odissea omosessuale arriverà a un passo dal demolire la sua stessa esistenza. Creandone una nuova? Insy ricorderà sempre la sua prima reazione istintiva di fronte al coming out dell'amico Claudio: "Ho visto in frigo delle melanzane sott'olio. Posso mangiarle?". "In genere, la mia politica aziendale mi vieta di scopare con qualcuno la prima sera a meno che quello, l'indomani, non parta per la guerra."

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2013
Print ISBN
9788817028189
eBook ISBN
9788858655511

Pensavo peggio

La prima prova costume la faccio sempre a fine marzo. Uso solo quelli olimpionici: li chiamo così perché mi danno quel che di sportivo. E poi suona meglio di «slip». I pantaloncini invece ho giurato di non usarli mai: mi sbassano ancora di più di quanto già non abbia fatto la natura da sola.
Raccolgo tutti i miei costumini sul letto, indosso il primo che mi capita e mi piazzo davanti allo specchio per vedere come mi sta. C’è qualcosa che non mi convince: lo scorso anno lo sentivo meno stretto. Ma è anche vero che l’anno scorso non avevo messo su ’sta pancia. Mi metto di profilo: niente, si vede lo stesso. Trattengo il respiro: in effetti aiuta. Ma posso andare in giro in apnea con la faccia paonazza per lo sforzo? No. Forse se abbasso le luci si nota di meno. Ecco, sì: così va meglio. Poi però mi ricordo che col costume devo andarci al mare e la presenza di parecchia luce è una condizione ineluttabile su qualsiasi spiaggia.
«Giorgio, puoi venire un attimo da me?» strillo dalla mia camera. Lui arriva con un vasetto di yogurt in mano. «Che dici: come mi sta?» e mentre gli faccio questa domanda mi chiedo perché la sto ponendo proprio alla persona più perfida d’Italia.
«Stai meglio, con qualche chilo di più» e continua a mangiare.
«Scusa?» Sento il terrore scorrermi nelle vene. Già vedo tutti gli occhi degli altri finocchi della spiaggia puntati sulla mia pancia.
«Tanto siamo a marzo, hai tempo per buttarla giù» mi conforta Giorgio. È forse la prima volta che gli sento dire qualcosa con tono rassicurante. «Altrimenti avrai sempre il tuo pubblico. Del resto c’è a chi piacciono quelli in carne.» Ecco, tanto per non smentirsi. Si gira e se ne torna in cucina.
Chiamo Scrappy, l’esperto di look e liposuzioni:
«Scrap, mi stavo provando i costumi da bagno.»
All’altro capo del telefono, il costumista quasi affermato mi interrompe: «Ma siamo a marzo! Non hai davvero un cazzo da fare».
«Non è questo il punto. Credo di essere un po’ ingrassato» e confessandolo mi pizzico l’addome cercando di rompere le cellule adipose con le dita.
«Ah, te ne sei accorto?» mi risponde l’infame.
«Scusa, che significa: “Ah, te ne sei accorto”? Perché, si vede?» Sto per avere uno choc anafilattico di origine psicosomatica: la lingua si gonfia e inizio a soffocare.
«Be’, amo’, un pochetto sì… Ne parlavo l’altro giorno anche con Claudio.»
«Cosa? E nessuno mi ha detto nulla? Adesso come faccio a scendere in spiaggia?» La mia voce passa dal falsetto all’ultrasuono.
«Puoi sempre andare in montagna: ti metti una bella salopette di flanella che copre e nessuno si accorgerà dei chili superflui. E poi che ti frega di un po’ di pancetta? Tu puoi contare su altre qualità: sei intelligente, simpatico…» Sta annaspando, si sente.
«Vabbé, ancora ’sta storia della cultura. Sai quanto conta in spiaggia aver letto il Simposio di Platone.» Neppure io l’ho mai letto, è tanto per fare un esempio.
Finisco l’inutile conversazione con Scrappy e faccio ulteriori, disperati tentativi: anche con gli altri costumi il risultato è lo stesso. Prendo di corsa il calendario e inizio a valutare quante settimane mancano realmente prima di maggio, termine ultimo per ritrovare una forma che non sia quella di Trudy, la pupa di Gambadilegno.
Sei settimane. Bene: in sei settimane si costruiscono ponti e si tirano su cattedrali, vuoi che non riesca a perdere, quanti saranno?, tre o quattro chili? Dài Ale, ce la puoi fare. Fai affidamento sulla tua forza di volontà, sulla capacità di raggiungere gli obiettivi che ti fissi. Poi penso che sono due anni che non faccio quell’ultimo esame che mi separa dalla laurea e la fiducia nel mio carattere viene meno. Dovrò affidarmi a qualcos’altro.
Chiamo Claudio. Ho un tono talmente disperato che arriva a casa mia prima ancora che gli dica la causa di tanto dolore. Gli apro la porta in costume e basta quello perché capisca che cosa è successo.
«Fuori ci sono ancora dodici gradi!» Tentativo patetico di rassicurarmi.
«Hai mai sentito parlare del global warming? Qui è un attimo che scoppia l’estate fuori stagione e io voglio andare al mare. Senza però il rischio di essere arpionato da una baleniera.»
Claudio si siede sul letto, mi guarda negli occhi e seriamente, molto seriamente, mi dice: «Allora: è vero, sei un po’ ingrassato. Ma niente che non si possa risolvere con una corretta alimentazione e tanta palestra».
Claudio ha perso non so quante decine di chili durante il liceo e adesso ha una forma invidiabile: la sua esperienza in fatto di diete e palestra può davvero svoltarmi la vita.
«Sì, ma è strano: io ci sto attento a mangiare…» provo timidamente a giustificarmi.
«Che significa che ci stai attento? Ti ho visto: non ti tieni. L’altra sera ti sei fatto fuori tre supplì, le crocchette, la tua pizza, metà di quella di un altro che non l’aveva finita e poi pure il gelato.»
«Ma a pranzo avevo mangiato solo un panino.» Perché mi devo sentire così in colpa?
«A cena si assimila di più.» Claudio è salito in cattedra.
«Vabbè, che sarà mai? I supplì che sono, in fondo? Un po’ di riso, un po’ di mozzarella, un po’ di sugo…» cerco di minimizzare.
Claudio però mi fulmina: «Allora non ti lamentare!».
«No, no, per favore, scherzo.»
«Fai un po’ di moto, almeno?»
Ci penso tre secondi, ma sono già troppi per trovare la risposta giusta: no. L’ultima volta che ho fatto sport, in maniera continuativa, era quando avevo diciotto anni e venivo usato come sacco da allenamento a judo.
«L’anno scorso non facevo nulla, eppure…» ormai sono insopportabilmente lagnoso.
«Sì, ma gli anni passano e il metabolismo rallenta. Considera che ogni anno il metabolismo basale cala dell’uno per cento. Poi se consideri che…» Dopo cinque minuti di monologo su curve glicemiche e processi catabolici, non capisco già più nulla. La sola cosa che inizio a sentire è una gran fame.
«Ok, ok, ho capito» lo interrompo.
«Allora, d’accordo? Domani ti iscrivi in palestra da me?» mi domanda.
Ecco, nel fiume di parole della sua arringa mi è sfuggita di mano la situazione. Vedi a stare soprappensiero mentre uno ti sta parlando?
«Ovvio che mi iscrivo» rispondo fregandomi con le mie mani. Del resto, di fronte a situazioni d’emergenza, bisogna essere disposti a tutto.
Ogni essere vivente ha il suo habitat naturale al di fuori del quale rischia l’estinzione: i pinguini il Polo Sud, le gazzelle la savana, le lesbiche le officine e i gay le palestre.
Non vorrei fosse una mia visione esagerata, ma, se non fosse per l’assenza delle macchine del fumo e di un vocalist che dal palco canta «Uuuhaaaa, uuuhhee!» al ritmo della musica house, il centro sportivo in cui siamo entrati potrebbe sembrare benissimo il terzo piano del Mucca Assassina.
«Non credo esista gay a Roma che non abbia nel portafogli il tesserino di questa palestra» dice Claudio, in risposta alla mia espressione sbalordita.
Conosco, almeno di vista, tre quarti dei ragazzi che si affannano agli attrezzi o sui tapis roulant; quelli del quarto restante non li ho mai visti, ma non mi giocherei neppure dieci centesimi sulla loro eterosessualità.
Il tempo di attraversare lo spazio che porta dall’ingresso agli spogliatoi e ho già salutato una decina di persone.
«Ti sei iscritto anche tu?» mi fa uno di quelli che vedo in discoteca da sempre, ma di cui non ricordo il nome neppure con una fiala di Tiopental. «Adesso sì che ci sono tutti i froci di Roma.» Che nelle sue intenzioni dovrebbe essere una specie di benvenuto.
«Sì, mi sono un po’ appesantito negli ultimi mesi.» Mi aspetto un educato «Ma no, che dici? Stai benissimo!», invece lui: zitto.
Claudio mi fa fare un giro nello spogliatoio che è davvero bello: armadietti di mogano scuro che si aprono con una tessera magnetica, docce personali separate da vetro smerigliato per garantire la giusta privacy.
«Pensa che moderni: fino a qualche mese fa c’era anche una doccia matrimoniale, una postazione con due bocchettoni. Solo che hanno beccato due a scoparci dentro e da allora hanno tirato su un divisorio anche lì.»
Specchiere ampie con phon a disposizione dei soci e poi «la sauna e il bagno turco» mi indica Claudio, pratico dell’ambiente manco fosse casa sua. «Dicono che dopo le 22 ci facciano le orge. A me non è mai capitato, ma te lo dico.»
Ottimo: potrò ammortizzare il costo dell’abbonamento risparmiando gli ingressi nelle saune gay. Niente male davvero.
Entrando nella sala pesi, la mia attenzione viene catturata da un recinto che ha accanto un cartello con il simbolo del WWF. Dentro quest’area ci sono circa sette ragazzi che si allenano con espressione timorosa e guardinga.
«E quelli chi sono?» chiedo a Claudio.
Lui con aria distaccata risponde: «Sono gli etero. Qui sono specie protetta. Mi raccomando, non ti avvicinare e non dargli confidenza: potrebbero mordere. Pensa che ogni tanto capita addirittura di incontrare delle donne» continua a raccontare mentre ci dirigiamo alla sala Fitness. «Mi chiedo sempre cosa vengano a fare in palestra visto che i pesi non li toccano, le lezioni di aerobica le fanno male e il loro culo continua a essere chiatto. Però mi fanno tenerezza. Arrivano il primo giorno, appena iscritte, tutte acchittate. Capirai: vedono tutti questi maschi e non gli pare vero. Dopo un paio di volte intuiscono che qualcosa non va. Dalla terza in poi, se non sono appena scese dalla montagna del sapone, capiscono che c’è poco da muovere la coda. Dal quinto, massimo sesto giorno, scendono in sala con le tute di felpa infeltrita e si spremono ormai incuranti i punti neri davanti alle specchiere.»
Per perdere peso velocemente Claudio mi ha parlato di un certo «circuito cardio»: pare sia una mano santa per tornare ad avere una figura che ricordi quella di un uomo. Si tratta in sostanza di alternare serie di esercizi con poco sforzo e lunghe ripetizioni alla corsa sul tappeto e allo step per non meno di un’ora.
«Dammi retta: in un mese butti giù almeno una taglia» e dicendo questo mi lancia sul tapis e schiaccia il «+» fino a che sul display non appare il numero 10.
«Dici che partire così velocemente mi fa bene?» gli chiedo iniziando a trottare come un criceto nella ruota.
«Senti, se devi cominciare a lagnarti, dillo subito.»
«No, no, figurati. Era per chiedere.» Dopo di che ammutolisco visto che è meglio risparmiare quanto più fiato possibile per evitare di uscire dalla palestra su una barella.
Il momento più estremo della mia vita non è stato quella volta che sono finito con un master che ha preteso di legarmi con delle funi da scalatore e mi ha lasciato incaprettato nudo per quaranta minuti imponendomi di chiamarlo «padrone». È stata la prima settimana di allenamento.
La sera torno a casa talmente stanco che non ho neppure la forza di aprirmi una scatola di ceci. Crollo sul divano, catatonico, davanti alla televisione. Il cervello ordina agli arti di muoversi per prepararmi un sanissimo petto di pollo alla piastra, ma essi non rispondono. È già tanto se almeno di fronte allo stimolo della pipì ottiene una reazione fisica che mi evita l’umiliazione di pisciarmi sotto. I muscoli mi fanno talmente male che persino lo spostamento d’aria della porta sbattuta mi procura dolore.
A partire dal decimo giorno però non solo mi sento molto meglio ma, in effetti, sono più tonico e ho già perso un paio di chili.
«I primi si tolgono in fretta, gli altri ci vuole tanto tempo. Secondo me non ce la fai per maggio.» Giorgio sì che sa come darmi la carica quando la sera torno tramortito dalla palestra.
A maggio invece, alla faccia sua, ho perso tutti i chili di troppo.
Com’è, allora che sono comunque insoddisfatto? Prima di andare in palestra, tutto sommato il mio corpo mi piaceva, non ci trovavo nulla che non andasse. Iniziare ad andarci, confrontarmi con altri che hanno un fisico da modelli della Aussiebum, mi ha dato la consapevolezza di un corpo che non mi va bene. Per quanto mi sforzi, per quante rinunce culinarie mi imponga, non riesco mai ad essere contento del risultato.
Ora, lo so che la fame nel mondo, le mine anti-uomo e Paris Hilton che conduce uno spettacolo televisivo in America sono drammi ben più importanti. Ma questa è diventata la mia piccola, personale, ossessione.
«Forse è perché in fondo non lo vuoi davvero» mi avrebbe ripetuto anni dopo il mio fidanzato. E di questo in parte sono convinto anch’io. Non mi impegno abbastanza, non mi sforzo. Anche la dieta è uno sgarro continuo, altro che «un pasto libero a settimana». È che io di forza di volontà e abnegazione ne ho sempre avute pochine. Del resto, se mio padre mi chiamava «la gatta col culo di piombo», un motivo ci sarà pure stato.
Siamo a cena, una cosa intima: venticinque persone. Uno sono io. Gli altri tre sono miei amici che mi hanno persuaso a uscire dicendomi a tradimento: «Dài, andiamo a mangiare fuori». I restanti ventuno non so chi siano.
Detesto le tavolate modello pranzo di nozze dove ti ritrovi a sedere accanto a qualcuno che non conosci, di cui non ti interessa nulla e con cui sei costretto a fare conversazione anche se preferiresti piuttosto assistere ad una finale di curling. Ci si mette sempre un’ora per ordinare, all’arrivo del conto i conti non tornano mai e all’uscita...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Prima di tuffarti in piscina, controlla che ci sia l’acqua
  5. Chiedi dov’è Chieti
  6. Il buon padre voleva un maschietto
  7. A denti stretti
  8. Vorrei, potrei, dovrei
  9. Dancing Queen
  10. Il ragazzo con la pistola
  11. Pensavo peggio
  12. Istruzioni non comprese nella confezione
  13. Il meglio deve ancora venire