Il muro
eBook - ePub

Il muro

Una fiaba moderna

  1. 342 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Il muro

Una fiaba moderna

Informazioni su questo libro

Joshua lo sa da sempre: dall'altra parte del Muro c'è il nemico, un popolo pericoloso e violento da cui occorre difendersi, anche con la forza. Un giorno, per caso, scopre un tunnel sotto il Muro, e con molti timori varca il confine. Nella città in cui sbuca, non così diversa dalla sua, incontra Leila, una ragazzina con cui stringe subito amicizia. Non gli ci vuole molto per capire che di lì, come di qua, non ci sono nemici, solo persone che cercano di sopravvivere e parlarsi in un mondo difficile e ostile. Tornato a casa, decide di aiutare Leila e la sua famiglia. Ma imparerà presto che il muro che corre intorno alla sua città non è nulla al confronto di quello che circonda il cuore degli adulti.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2013
Print ISBN
9788817068307
eBook ISBN
9788858658314

Seconda parte

Faccio la solita strada per andare a scuola e passo a chiamare David, tenendo il pallone in bella vista sotto il braccio, mentre lui viene ad aprirmi. Vedo che lo registra con gli occhi, ma non fa commenti.
Gli dico che ho scavalcato e me lo sono ripreso da solo. Lui si limita ad alzare le spalle.
«Non crederesti mai a cosa c’è lì dentro» dico.
Non risponde, così lascio che il silenzio aleggi tra di noi. Capisco che vuole fare l’indifferente, ma so di aver suscitato la sua curiosità.
«Cosa?» dice, dopo una lunga pausa.
«Una casa» dico. «La casa più strana che abbia mai visto.»
Intanto calciamo a turno il pallone lungo la strada, ma decido di raccoglierlo. Voglio tutta la sua attenzione.
«Strana come?» dice.
«Fatta a pezzi. Demolita.»
«E cosa c’è di così strano?»
«L’atmosfera di quel posto. Ci sono vestiti dappertutto e dentro ci sono ancora i mobili, e libri, come se le persone vivessero ancora lì. Solo che è stata rasa al suolo.»
«E quindi?»
«E quindi cosa?»
«Non avevi detto che era strana?»
«È quello che è strano. A te non sembra strano?»
Alza le spalle. «Sono obbligati.»
«Chi è obbligato?»
«L’esercito. Pensa che bello che deve essere. Abbattere una casa. Immagina di essere quello alla guida. Doooosh!» Mi viene addosso nell’impeto, facendomi quasi finire per terra, come se lui fosse il bulldozer e io la casa.
Mi tiro indietro, ma lui allunga il braccio e mi colpisce sul bicipite con il gomito. Non mi massaggio e non gli do a vedere che mi ha fatto male. Un secondo dopo, nonostante i miei propositi di mantenere il segreto, nonostante sappia che non dovrei farlo, sento me stesso dire che ho trovato un tunnel.
«Un tunnel?»
«Sì, ma non devi dirlo a nessuno.»
«Che tipo di tunnel?»
«C’era una buca nel terreno e quando mi sono calato per vedere cos’era, ho scoperto un tunnel che va sotto il Muro.»
Si ferma e mi fissa con uno sguardo sospettoso.
«Un tunnel? E tu ci sei andato?»
So che sarei in guai seri se un adulto scoprisse quello che ho fatto, ma sento che il mio segreto chiede di essere svelato proprio come un gelato chiede di essere mangiato. David è la cosa più vicina a un amico che ho ad Amarias. Se non posso dirlo a lui, allora non posso dirlo a nessuno. Ma, vedendo il suo sguardo inorridito, capisco subito di aver fatto male i calcoli.
Mi immagino mentre racconto della ragazza dall’altra parte e di come mi ha salvato, e di come io non abbia potuto fare niente per aiutarla. Mi immagino mentre descrivo la casa minuscola in cui vive; la sua richiesta di cibo e le sue braccia scheletriche e gli occhi orgogliosi e tristi. Mi immagino mentre cerco di spiegare la colpa che mi punge dentro ogni volta che penso a lei, ed è in qualche modo ovvio che lui non capirà mai quello che vorrei che capisse, e non si terrà mai questa storia per sé. Ha vissuto ad Amarias per tutta la vita. I suoi genitori sono stati tra i pionieri della città. So che David non dubita mai neanche per un momento che Amarias non sia il posto che pretende di essere. La mia incertezza, per lui, sarebbe incomprensibile, sovversiva, ripugnante.
Capisco in un attimo che devo smettere di parlare, prima di rivelare qualcos’altro. Anzi, devo pensare a un modo per ritirare quello che ho già detto. Fingo una risata e gli do un pugno sul braccio. «Ci hai creduto!»
Per un momento, una scintilla di sospetto rimane nei suoi occhi, poi mi restituisce il pugno. «Non ti ho creduto.»
«Sì, invece.»
«Be’, poteva essere vero» dice. «Scommetto che i tunnel ci sono. Farebbero qualunque cosa per farci saltare in aria. Sono pazzi.» Allunga la mano e mi toglie il pallone da sotto il braccio, facendolo rimbalzare mentre parla. «Qualche volta guardo i soldati» continua, «e non vedo l’ora.»
«Di cosa?»
«Che arrivi il nostro turno. Ti immagini la sensazione? Indossare la divisa. Portare un’arma. Andare dall’altra parte e vedere tutte quelle persone, dovunque, che hanno paura di te e fanno tutto quello che dici.»
Mi volto. Non riesco a immaginarmelo. Anche a volerci provare, in questo momento non riesco a sentirlo come reale o verosimile. Il primo viso a cui penso è quello della ragazza. Mentre mi si forma nella mente l’immagine di lei davanti alla bocca di un fucile, davanti alla bocca del mio fucile, David la scaccia con la sua voce stridula ed eccitata. «E se qualcuno si oppone o crea problemi…» Mi lancia il pallone, alza un fucile immaginario e spara tre colpi invisibili. «PUM! PUM! PUM!»
I suoi occhi fanno paura adesso. Sono accesi di entusiasmo.
«È il miglior esercito del mondo» dice. «E tra pochi anni anche noi ne faremo parte. Ci pensi a quanto siamo fortunati?»
Non mi viene in mente nessuna risposta, così allungo il braccio e glielo spingo sul petto, facendolo finire contro un muro. Corro via, forzando una risata, sapendo che mi inseguirà, sapendo che è più veloce e più manesco e mi metterà a terra in un secondo. La sua ritorsione sarà di sicuro due volte superiore al mio gesto. Ma non m’importa. Continuo a correre e a ridere.
Quella mattina, faccio fatica a concentrarmi. Tutte le pagine che guardo sembrano trasformarsi nell’immagine che David ha evocato, di me in uniforme mentre tengo un fucile puntato alla tempia della ragazza. Quando provo a scacciare questa visione, ne salta fuori un’altra: i ragazzi che mi hanno inseguito e quello che sarebbe successo se mi avessero trovato dietro quella moto. Li immagino ridere di me rannicchiato per la paura, far cadere la moto con un calcio e poi iniziare a pestarmi. Quando cerco di interrompere questo flusso di pensieri molesti, il mio cervello mi riporta alla ragazza e a quell’espressione di improvvisa paura sul suo viso quando si è voltata, senza neanche un gesto di saluto.
Trangugio il pranzo più in fretta che posso, imponendomi di pensare a qualcos’altro che non sia la ragazza; sforzandomi, come ho fatto per tutta la mattina, di riportare i pensieri alla mia vita, al mio mondo da questa parte del Muro. Non appena ho ingoiato l’ultimo boccone, corro veloce al campo e mi unisco a una partita di calcio, rincorrendo il pallone freneticamente in ogni direzione, senza aspettare un passaggio o prendere una posizione, ma soltanto correndo a più non posso: uso il gioco per cancellare i cattivi pensieri che mi hanno invaso la mente. Di solito sono timido nei contrasti, ma in questa partita non ho paura ed entro in scivolata, provo piacere nello scontro tra le gambe degli altri e le mie, mentre ci contendiamo il pallone.
Comincio ad avvertire gli sguardi incuriositi della gente su di me. Vedo un branco di ragazzi dall’altro lato del campo che mormorano tra di loro e guardano fissi nella mia direzione, ma non mi fermo. Per la prima volta da quando sono entrato nel tunnel, è come se il nodo di tensione che ho dentro si stesse allentando. Gli altri ragazzi che giocano con me, di solito quasi degli amici, oggi mi sembrano distanti, senza importanza, non del tutto reali.
Quando segno un gol, infilandomi tra due difensori e scoccando un tiro nell’angolino basso sulla destra, corro per tutto il campo esultando, ma nessuno della mia squadra si unisce a me. Anzi, quasi si defilano, ma non m’importa, e alla ripresa del gioco raddoppio gli sforzi, correndo ancora più veloce dietro al pallone, entrando in modo ancora più duro nei contrasti, finché non mi rendo conto che il cuore e le gambe mi urlano di fermarmi e lo stomaco mi si stringe, fin quasi a vomitare.
Mi fermo, vado verso la linea laterale e mi siedo per terra. Nessuno si avvicina o mi chiede se sto bene.
Mentre la nausea si attenua, osservo il pallone, un po’ frastornato. Gli altri ragazzi sembrano più lontani che mai, le loro urla attutite e sorde, la loro agitazione durante la partita strana e non del tutto comprensibile.
Quando inizio a sentirmi meglio, un tiro improvviso sbuca dal nulla, diretto verso la mia faccia. L’unico modo per evitare un naso rotto è appiattirmi sull’asfalto, cosa che faccio appena in tempo, prima di sentire il pallone sfiorarmi i capelli. Quando mi rimetto seduto, il ragazzo che ha calciato mi sta fissando con un sorrisetto. Ce ne sono parecchi altri con la stessa espressione e capisco che non si è trattato affatto di un incidente, ma che era un missile ben indirizzato. Guardo dall’altra parte, fingendo di non averlo notato. Decido di concedermi ancora un paio di minuti prima di andarmene, così non penseranno di avermi impressionato.
Proprio mentre mi preparo ad alzarmi, arriva David con il suo amico Seth, un ragazzo grassoccio con il labbro inferiore cadente che luccica sempre di saliva. Seth mi odia. Incombono su di me, per cui devo allungare il collo per vederli in faccia.
«Seth vuole sapere del tunnel» dice David.
Strizzo gli occhi alla luce del sole, che nel frattempo forma una brillante aureola sulle loro teste. «Che tunnel?»
«Il tunnel che hai trovato nel cantiere.»
Osservo David, irrigidendo la bocca in una fessura a indicare la mia scarsa voglia di comunicare. «Di cosa stai parlando?»
I due ragazzi mi guardano per qualche secondo, poi, come a un segnale invisibile, scoppiano a ridere e se ne vanno.
Ho raccontato troppo a David. E non posso fidarmi di lui.
Una mano sulla spalla mi fa sobbalzare. La gola emette un rantolo strozzato che è quasi un grido. Ho metà faccia addormentata.
Per un attimo il mio cervello brancola nel buio, senza capire dove mi trovo o cosa sta succedendo. C’è una persona sopra di me, una donna, con la fronte corrugata e un’espressione ansiosa. È mia madre. Questo posto, tutto attorno a me, non è dove mi trovavo un momento fa.
Sono nella mia stanza. Sono alla mia scrivania. Di fronte a me ci sono i compiti. Devo essermi addormentato con la testa sul quaderno.
«La cena è pronta» mi dice. «Ti ho chiamato e richiamato.»
«Scusa» dico, e la parola esce sotto forma di un gracchiare secco.
«Stai bene?»
«Sì.»
«Hai un aspetto orribile.»
«Penso… penso di aver fatto un brutto sogno.»
«Cos’era?»
«Niente. Non mi ricordo. È finito.»
«Vieni a mangiare.»
«Va bene.»
Cerca di darmi una mano ad alzarmi dalla sedia, ma la allontano, scrollando le spalle.
«Arrivo tra un minuto.»
«Va bene. Ma fai in fretta. E lavati le mani. Si sta raffreddando.»
«Arrivo» ribatto. «Dammi solo un minuto.»
Lei esce dalla stanza, lasciandosi alle spalle la porta semiaperta. Richiudo gli occhi, cercando di riannodare i fili del mio incubo. Sono di nuovo nel tunnel, ma il fondo è bagnato, ricoperto da un sottile strato d’acqua, però non fa freddo e non è un problema avanzare carponi, finché non faccio caso all’odore e mi accorgo che il liquido che ho sotto le mani e le gambe è più viscoso dell’acqua. Sollevo una mano e la volto, ma non riesco a vedere niente, fino a quando una botola non si apre sopra di me e fa filtrare un raggio di luce. I palmi, le dita e i polsi sono rossi. Poi qualcosa mi afferra la spalla e io ruoto su me stesso, sapendo che è la mano del ragazzo che mi ha sputato addosso, e che avrà in mano un fucile, ma lui svanisce prima ancora di comparire, e il tunnel all’improvviso non è più il tunnel, e la mano è la mano di mia madre che mi sveglia per dirmi di andare a cena.
Lei e Liev mi guardano senza dire una parola mentre entro in sala da pranzo. È soprattutto in occasioni così che sento la mancanza di un fratello o di una sorella: momenti come questi in cui hai due paia di occhi puntati addosso che guardano tutto quello che fai, analizzano ogni piccola smorfia del tuo viso, senza nessun’altro a distrarli.
Le altre famiglie di Amarias sono, per la maggior parte, molto numerose. Se non avessero sparato a papà, sono sicuro che anch’io adesso avrei fratelli e sorelle. A volte ho la sensazione che non sia lui la sola persona che manca in famiglia: è come se avessero ucciso molto più che mio padre.
A volte mi chiedo se non ci sia qualcosa che non va in Liev e sento che le dimensioni ridotte della nostra famiglia sono parte del motivo per cui la gente ci guarda con sospetto.
Se Liev avesse un vero figlio, uno che fosse proprio suo, sono certo che lo tratterrebbe in modo diverso. L’idea di un mini-Liev in giro per casa, che crederebbe a tutto quello che dice Liev e vorrebbe essere come lui da grande, mi fa venire voglia di vomitare. Meglio non avere fratelli piuttosto che averne uno così. Tranne, forse, che in occasioni come questa, quando non c’è niente che desideri di più di un altro essere umano nella stanza che faccia qualcosa, qualunque cosa, pur di sviare quei quattro occhietti luccicanti puntati su di me.
«Ho preparato il tuo piatto preferito» dice mia madre, quando Liev ha terminato le preghiere. «Pollo arrosto.»
«Grazie» mormoro.
«Ho pensato che… dopo quello che è successo ieri…»
«Dopo quello che hai combinato» la interrompe Liev.
«Ho pensato» continua mia madre, cercando di fingere che Liev non abbia parlato, «che devi esserti preso un bello spavento, e che ti meriti un premio.»
Faccio un cenno con la testa. Non ho intenzione di ringraziarla una seconda volta.
«Tua madre è troppo buona» dice Liev. «Non te la meriti.»
“E mi merito te?” penso, ma mi trattengo. La verità è che non mi merito Liev, e neanche la mamma se lo merita. Si è infiltrato nella nostra famiglia senza che nessuno si accorgesse di quello che stava facendo, e adesso è lui che comanda.
La mamma era come impazzita dopo la morte di papà. Ha cercato di tener duro, ma per mesi sembrava una lastra di vetro tutta crepata che resisteva nella sua cornice, non si sa come. Non p...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Prima parte
  5. Seconda parte
  6. Terza parte
  7. Quarta parte
  8. Quinta parte
  9. Nota dell’autore
  10. Ringraziamenti