La bella Storia di Silas Marner
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La bella Storia di Silas Marner

  1. 280 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La bella Storia di Silas Marner

Informazioni su questo libro

Silas Marner è uno dei personaggi "diffidenti la cui intera vita è guidata dalla necessità di trovare un oggetto esteriore al quale appoggiarsi." Derubato improvvisamente del tesoro accumulato, trasforma in oggetto della sua devozione l' orfanella Eppie. Una storia comica quanto drammatica, di sorprendente vigore.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
Print ISBN
9788817170604
eBook ISBN
9788858654569

PARTE PRIMA

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CAPITOLO PRIMO

AI TEMPI in cui i filatoi ronzavano alacremente nelle cascine, e anche le gran dame vestite di seta e di merletto possedevano piccoli filatoi di lucida quercia, era facile vedere per le contrade sperdute nei campi o annidate fra le colline certi uomini piccoli e pallidi che accanto alla robusta gente di campagna sembravano gli ultimi discendenti di una razza decaduta. I cani da pastore abbaiavano furiosamente quando uno di quegli uomini dall’aspetto forestiero appariva su un’altura, stagliandosi scuro contro il precoce tramonto invernale. Qual è infatti il cane che accoglie favorevolmente una figura piegata sotto il peso di un sacco? Invero quegli uomini pallidi di rado andavano in giro senza un carico misterioso. Il pastore stesso, benché avesse fondati motivi di ritenere che quel sacco non contenesse altro che fibra di lino oppure i lunghi rocchetti su cui si avvolgeva il filo robusto ottenuto da quella fibra, non era del tutto sicuro che quel mestiere del tessitore, per quanto indispensabile, potesse venir esercitato sino in fondo senza l’aiuto del Maligno. In quei tempi lontani la superstizione si appigliava facilmente a tutto quel che era insolito, persone o cose, o anche a chi appariva soltanto periodicamente, come il merciaio ambulante e l’arrotino. Nessuno sapeva da dove venissero quei girovaghi o dove fosse la loro dimora; e come ci si può render conto chi sia un uomo se non ci è noto almeno qualcuno che ne abbia conosciuto il padre e la madre? Per i paesani di un tempo il mondo che stava oltre la loro diretta esperienza era un luogo vago e misterioso; non avendo essi mai viaggiato, a lor modo di vedere una vita errabonda era un fatto altrettanto oscuro quanto l’esistenza invernale delle rondini che ogni anno vedevano tornare a primavera; e perfino chi si stabiliva definitivamente tra loro, se veniva da un luogo distante, non era mai immune da qualche avanzo di diffidenza; il che avrebbe impedito qualsiasi sorpresa nel caso che una lunga vita dalla condotta irreprensibile fosse finita con un’azione delittuosa: tanto più se aveva fama di sapiente o mostrava qualche particolare abilità manuale. Qualsiasi talento, sia nel rapido uso di quel difficile strumento che è la lingua, sia in qualunque altra arte sconosciuta ai contadini, era motivo di sospetto; la gente onesta, nata e cresciuta davanti agli occhi di tutti, di solito non era particolarmente sapiente o particolarmente abile, non più di quanto almeno occorresse per conoscere i segni del tempo. Il procedimento mediante il quale si acquistano abilità e destrezza, in qualsiasi campo, era loro così ignoto, che essi pensavano vi si celasse sotto qualche magia. Avvenne in tal modo che quei tessitori di lino, emigrati dalla città verso la campagna e disseminati qua e là, fossero fino all’ultimo considerati degli estranei dai loro rozzi vicini e contraessero per lo più le curiose abitudini che accompagnano la solitudine.
Uno di questi tessitori, di nome Silas Marner, viveva al principio di questo secolo in una casupola di pietra vicino al villaggio di Raveloe, in mezzo alle siepi di nocciuolo e non lontano dall’orlo di una cava abbandonata, esercitandovi il suo mestiere. Il rumore strano e nuovo del telaio di Silas, così diverso dall’allegro e naturale pulsare della macchina per vagliare il grano o del più semplice ritmar del correggiato, affascinava e spaventava a un tempo i monelli di Raveloe; che spesso smettevano di raccoglier nocciuole o di cercar nidi per far capolino alla finestra della casupola, e il timore che provavano pel misterioso movimento del telaio era compensato da un piacevole senso di sprezzante superiorità, di fronte al ridicolo alternarsi di quei suoni e all’atteggiamento curvo e stanco del tessitore. Ma qualche volta accadeva che Silas, interrompendosi per aggiustare qualche irregolarità del filo, si accorgesse della presenza di quei ragazzacci e, benché avaro del proprio tempo, quell’intrusione gli piaceva tanto poco che scendeva dal telaio, apriva la porta e li fissava con uno sguardo che bastava a farli scappare atterriti, a gambe levate. Come sarebbe stato possibile pensare, infatti, che gli occhi scuri di Silas Marner, grandi e sporgenti in quella faccia pallida, in realtà non vedevano che le cose vicinissime? come non credere piuttosto che quello sguardo terribile potesse far venire le convulsioni, la bocca storta o la gobba al ragazzo che per avventura fosse rimasto indietro? Avevano forse sentito il padre o la madre accennare al fatto che Silas Marner sapeva curare i reumatismi della gente, se ne aveva voglia, e aggiungere in modo ancor più oscuro che se si sapevano trovare le paroline adatte per parlare a quel diavolo, questi avrebbe potuto far risparmiare la spesa del dottore. Un attento ascoltatore potrebbe cogliere ancor oggi, fra la gente di campagna non più giovane, l’eco di tali strani e persistenti ricordi dell’antico culto dei demoni; è difficile per le menti rozze associare l’idea di potenza a quella di benignità. La vaga concezione di una potenza che, in un modo o nell’altro, si lascia indurre a non far male, è la forma che il senso dell’invisibile assume di solito nella mente di chi è sempre stato assillato da bisogni primitivi e nella sua vita di duro lavoro non è mai stato illuminato da una viva fede religiosa. Per questa gente, il dolore e la disgrazia sono di gran lunga più plausibili della felicità e della gioia; il lor cervello è pressoché privo di qualsiasi idea che possa far nascere desiderio o speranza, ma è invece colmo di ricordi che dànno esca continua alla paura. – Non ha nessuna idea di qualcosa che le piacerebbe mangiare? – chiesi una volta a un vecchio contadino sul letto di morte, dopo che aveva rifiutato tutto quello che gli offriva la moglie. – No, – rispose, – sono sempre stato abituato al cibo comune, e quello non posso mangiarlo. – L’esperienza non gli aveva fruttato nessun desiderio che potesse suscitare in lui parvenza di appetito.
Raveloe era appunto un villaggio in cui indugiava l’eco di antiche credenze, non ancora cancellate dalle voci nuove. Non che fosse una di quelle misere parrocchie che stanno al limite della vita civile, abitate solo da magre pecore e da pastori isolati gli uni dagli altri; si trovava invece nella ricca pianura centrale di quella che ci piace chiamare l’allegra Inghilterra, e possedeva fattorie che pagavano ricche decime, se vogliamo considerarle dal lato del valore spirituale... Ma era annidato in una valletta ricca di boschi, e ci voleva più di un’ora di cavallo per raggiungere una via di transito, tanto che la tromba della diligenza e le voci dell’opinione pubblica non arrivavano mai fin laggiù. Era un villaggio di una certa importanza, con una bella chiesa antica e l’ampio cimitero proprio al centro, e due o tre grandi case di pietra e mattoni dotate di frutteti ben recinti e di banderuole ornamentali, site sulla via principale e ostentanti una facciata più imponente di quella della casa parrocchiale che faceva capolino tra gli alberi dall’altra parte del cimitero; un villaggio insomma che rivelava subito quale ne fosse l’apice della vita sociale e diceva a un attento osservatore che nelle vicinanze non si trovava nessun grande parco e castello, ma che vi erano tuttavia a Raveloe vari capifamiglia che potevano permettersi di trascurare le proprie terre, ricavandone lo stesso abbastanza denaro in quegli anni di guerra da poter trascorrere una vita gaia e spensierata e dar ricche feste a Natale, a Pentecoste e a Pasqua.
Silas Marnes abitava a Raveloe da quindici anni. Quand’era giunto era solo un giovane pallido dagli occhi miopi, scuri, sporgenti, e il suo aspetto non sarebbe davvero sembrato strano a gente di levatura ed esperienza medie; ma i campagnuoli presso cui era venuto a stabilirsi vi trovarono particolarità misteriose che si accordavano con la natura eccezionale del suo mestiere e al fatto che giungeva da un paese sconosciuto denominato il Settentrione». Altrettanto si dica delle sue abitudini. Non invitava mai nessuno a varcare la soglia di casa e non c’era caso che arrivasse fino al villaggio a bere un bicchiere all’osteria dell’«Arcobaleno» o a far due chiacchiere col carradore. Non andava mai a trovar nessuno, maschio o femmina, se non spinto dalle necessità del lavoro o per rifornirsi di materia prima. Le ragazze di Raveloe capirono subito ch’egli non avrebbe mai tentato di strappare il consenso per sposare una di loro; e in quanto a lui, sembrava che le avesse udite dichiarare che a nessun costo avrebbero sposato un morto redivivo. Questa loro opinione della personalità di Marner era motivata, oltre che dalla faccia pallida e dagli occhi strani, anche da un altro fatto: Jem Rodney, il cacciatore di talpe, affermava che una sera, mentre tornava a casa, aveva visto Silas Marner che si appoggiava a uno steccato tenendo un gran sacco sulle spalle, invece di posarlo accanto a sé come avrebbe fatto ogni altra persona ragionevole. Disse che, quando si era avvicinato a Marner, aveva visto che aveva gli occhi fissi come quelli di un morto; gli aveva parlato e lo aveva scosso, ma quelle membra erano rigide, e le mani tenevano il sacco come fossero di ferro. Ma quando era ormai giunto alla conclusione che il tessitore era morto, questi era tornato in sé, in un batter d’occhi, come si suoi dire; aveva detto «Buona notte», e se n’era andato per la sua strada. Tutto questo Jem giurava di aver visto, e lo appoggiava col fatto che era proprio il giorno in cui era stato ad acchiappar talpe sulle terre di squire1 Cass, laggiù, vicino alla vecchia segheria. Alcuni dissero che Marner aveva certo avuto un «attacco», parola che sembrava spiegare le cose che non potevano trovare altra giustificazione; ma Macey, il sagrestano, che trovava da discutere su tutto, chiese se si fosse mai sentito dire che uno avesse un attacco senza cadere per terra. Un attacco era un «colpo», vero? E la caratteristica di un «colpo» era di togliere in parte l’uso delle membra e lasciare il disgraziato a carico della parrocchia, se non aveva figli su cui contare. No, no, un «colpo» non permetteva a uno di rimanere in piedi, come un cavallo fra le stanghe, né lo lasciava ripartire di botto, come dietro un ordine. Ma poteva forse darsi il caso che l’anima si distaccasse dal corpo e se ne andasse via e poi tornasse indietro, come un uccello che esce dal nido e poi vi torna; e così quei tali acquistavano una sapienza soprannaturale perché la lor anima, priva del corpo, andava dove s’imparavan più cose di quante ne possan mai sapere i vicini con l’aiuto dei cinque sensi e del parroco. E dove mai aveva imparato a conoscer le erbe, quel Marner, e anche le arti magiche, se avesse voluto servirsene? Il racconto di Jem Rodney corrispondeva a quanto poteva aspettarsi chiunque avesse visto come Marner aveva guarito Sally Oates e l’aveva fatta dormire come un bambino, mentre da più di due mesi, nonostante le cure del dottore, il cuore sembrava dovesse scoppiarle nel petto. Marner avrebbe potuto curare altre persone, se avesse voluto; in ogni modo conveniva trattarlo con le buone, se non altro per evitare che desse il malocchio.
Marner doveva in parte a quella vaga paura il fatto di non esser stato perseguitato per le sue stranezze; il motivo principale tuttavia era da ricercarsi nel fatto che, essendo morto il vecchio tessitore di Tarley, la parrocchia vicina, il suo mestiere lo rendeva molto ben accetto alle massaie benestanti dei dintorni e anche alle contadine più previdenti, che alla fin d’anno riuscivano ad avere una piccola provvista di filato di lino. Consapevoli della sua utilità, avevano messo da parte ogni ripugnanza, ogni sospetto che non fosse confermato da difetti in quantità o qualità della tela che tesseva per loro. Gli anni erano trascorsi senza recare nessun mutamento nell’opinione che gli abitanti del villaggio s’eran fatta di Marner; soltanto, ora non era più una novità, ma una abitudine. Dopo quindici anni a Raveloe si dicevano di Marner esattamente le stesse cose che s’eran dette al momento dell’arrivo; non si dicevano più altrettanto spesso, ma erano molto più saldamente radicate. Gli anni avevano portato solo un’aggiunta importante: ora sapevano che Mastro Marner aveva messo da parte un bel mucchio di quattrini e che avrebbe potuto comprare uomini «più importanti» di lui.
Mentre però l’opinione che gli altri avevano di lui era rimasta più o meno la stessa e la sua vita di tutti i giorni non presentava alcun mutamento visibile, la vita interiore di Marner era andata trasformandosi a fondo, come avviene alle nature passionali quando son condannate alla solitudine o la ricercano volontariamente. La sua, prima che venisse a Raveloe, era stata una vita di movimento, d’attività spirituale e d’intima comunione coi fratelli in fede, come poteva essere a quei tempi la vita di un artigiano entrato sin da giovane a far parte di qualche rigida setta religiosa in cui il laico più umile aveva la possibilità di distinguersi per il dono della parola, e in ogni caso recava il peso del proprio voto segreto nel governo della comunità. Marner godeva di molta considerazione nel piccolo mondo schivo formato dai fedeli che si riunivano in Lantern Yard. Era ritenuto da tutti un giovane dalla vita esemplare e dalla fede ardente; inoltre, da quando, durante una riunione di preghiera, era stato colto da una rigidità misteriosa e da uno stato d’incoscienza durato per più di un’ora, tanto da scambiarlo per la morte, era divenuto oggetto d’un particolare interesse. Cercar di dare una spiegazione medica a quel fenomeno sarebbe stato ritenuto da Silas stesso, nonché dal capo della congregazione e dai confratelli, un perverso rifiuto di attribuirvi qualsiasi significato spirituale. Silas era evidentemente un fratello scelto per esser sottoposto a particolari rivelazioni e, sebbene i tentativi di interpretare quell’esperienza fossero frustrati dalla mancanza di qualsiasi visione spirituale durante quello stato di apparente incoscienza, pure egli stesso e anche altri ritennero che l’effetto si palesasse in un aumento di fede e di zelo. Una persona meno sincera di lui avrebbe forse ceduto alla tentazione d’inventare una visione, di cui si sarebbe ricordato solo in seguito; una meno equilibrata avrebbe magari anche creduto alla propria invenzione. Ma Silas era onesto ed equilibrato sebben, come accade a molti uomini dall’animo sincero e appassionato, l’istruzione non avesse donato alcuna direttiva al suo senso del mistero: avvenne perciò ch’esso si sostituisse a ogni ricerca e cognizione al riguardo. Egli aveva ereditato dalla madre alcune nozioni sulle erbe medicinali e sul loro uso, piccola riserva di sapienza che gli era stata tramandata come un lascito solenne; negli ultimi anni, però, Silas aveva nutrito dubbi sul diritto di far uso di quel sapere: riteneva che le erbe non potessero aver efficacia senza la preghiera, e che la preghiera poteva bastare senza bisogno delle erbe. Così la gioia ereditata dalla madre, di andar in giro pei campi in cerca di digitale, di dente di leone, di farfara, cominciò ad assumere per lui il carattere di tentazione.
Fra i membri di quella Chiesa v’era un giovane di poco maggiore a Silas, e fra i due esisteva un’amicizia così salda e profonda, che tutti in Lantern Yard li chiamavano Davide e Gionata. L’amico si chiamava William Dane, ed era pure ritenuto un esempio luminoso di pietà giovanile, benché alquanto incline a manifestare una severità eccessiva verso i fratelli più deboli, e così convinto delle proprie doti, da considerarsi più saggio degli stessi maestri. Ma quali che fossero i difetti di William agli occhi degli altri, per il suo amico era perfetto. Marner aveva, infatti, uno di quei caratteri influenzabili e poco sicuri di sé che son sempre pronti, prima di aver acquistato una certa esperienza, ad ammirare l’autorità e ad appoggiarsi a temperamenti opposti. L’espressione di fiduciosa semplicità del volto di Marner, accentuata dallo sguardo mite e docile proprio degli occhi grandi e sporgenti, contrastava assai con l’intimo compiacimento di sé che trapelava dagli occhietti obliqui e dalle strette di William Dane. Uno dei temi più frequenti che ricorrevano nei discorsi dei due amici era il problema della salvezza: Silas confessava che non avrebbe mai potuto spingersi più in là di una speranza mista a timore, e ascoltava con meraviglia e ammirazione William dichiarare di aver posseduto una fede incrollabile nella propria salvezza fin da quando, al tempo della conversione, aveva sognato di vedere le parole «vocazione ed elezione certa» spiccare su una pagina bianca della Bibbia aperta. Colloqui di questo genere tenevano occupati molti tessitori dalla faccia pallida, le cui anime ignare erano come piccoli esseri alati svolazzanti incerti nel crepuscolo.
Era sembrato all’animo fiducioso di Silas che nessuna ombra avrebbe mai turbato la loro amicizia, neppure il nuovo più intimo affetto che era entrato a far parte della sua vita. Da alcuni mesi si era fidanzato con una giovane domestica, e per sposarsi aspettavano soltanto che i loro risparmi fossero un poco aumentati; era una gran gioia per lui accorgersi che Sara non faceva obiezione all’occasionale presenza di William durante gl’incontri domenicali. È a questo punto che, durante la riunione di preghiera, Silas cadde in preda all’attacco catalettico e, fra le varie domande e manifestazioni d’interesse dei confratelli, solamente le parole di William non s’intonarono alla simpatia di tutti per un fratello prescelto a quel modo in vista d’uno scopo particolare. William osservò che, secondo lui, quel fenomeno sembrava più una visita di Satana che una prova del favore divino, ed esortò l’amico a guardarsi dal nascondere nell’animo qualche pensiero malvagio. Silas, sempre pronto ad accettare i rimproveri e gli ammonimenti dei fratelli in fede, non provò alcuna indignazione, ma solo dolore per i dubbi dell’amico; a ciò si aggiunse ben presto una certa preoccupazione nel notare che l’atteggiamento di Sara con lui cominciava a presentare uno strano miscuglio di sforzate manifestazioni di affetto e d’involontari segni di antipatia e avversione. Le chiese se voleva rompere il fidanzamento, ma ella rifiutò: la relazione era nota a tutti i fedeli ed era stata riconosciuta e approvata durante le riunioni di preghiera; non avrebbe potuto rompersi senza indagini, e Sara non poteva addurre nessun motivo tale da poter venir accolto dalla comunità.
A quel tempo il diacono più anziano fu colpito da una grave malattia, e poiché era vedovo e senza figli, veniva assistito giorno e notte dai più giovani membri della comunità. Silas e William lo vegliavano spesso di notte, dandosi il cambio alle due del mattino. Contrariamente alle previsioni, il vecchio sembrava avviato alla guarigione quando, una notte, Silas, seduto al capezzale, notò che il respiro, di solito ben percettibile, del malato, era cessato. La candela era quasi spenta e dovette alzarla per veder chiaramente il volto del vecchio: lo esaminò con attenzione e constatò che il diacono era morto, anzi era già morto da un po’, poiché ormai appariva rigido. Gli venne il dubbio di essersi addormentato e guardò l’orologio; erano le quattro. Come mai William non era venuto? Oltremodo turbato, andò a cercare aiuto, e di lì a poco nella casa del diacono si riunirono vari amici, e fra essi il pastore; Silas andò al lavoro rimpiangendo di non aver visto William per sapere da lui il motivo della sua assenza. Ma alle sei, mentre stava per andare a cercar l’amico, giunse William, e con lui il pastore. Erano venuti a dirgli che si recasse a Lantern Yard, dove erano riuniti i membri della Chiesa, e alla sua domanda sulla causa di quella chiamata, la sola risposta fu: – Lo saprai. – Non dissero altro finché Silas non fu seduto nella sala di riunione di fronte al pastore, con fisso addosso lo sguardo solenne di quelli che per lui costituivano il popolo di Dio. Poi il pastore tirò fuori un temperino e lo mostrò a Silas chiedendogli se ricordava di averlo lasciato in qualche posto. Silas rispose che non sapeva di averlo smarrito e che credeva di tenerselo in tasca, ma tremava per quello strano interrogatorio. Lo esortarono allora a non nascondere il suo peccato, e a confessare, a pentirsi. Il temperino era stato trovato nello stipo accanto al letto del diacono defunto, e trovato proprio dov’era stata la borsa contenente il denaro della Chies...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. INTRODUZIONE
  4. NOTIZIA BIOGRAFICA
  5. GIUDIZI CRITICI
  6. BIBLIOGRAFIA ITALIANA
  7. PARTE PRIMA
  8. PARTE SECONDA
  9. EPILOGO